Si parla tanto della depressione post-partum, una realtà molto più diffusa di quanto non si immagini, soprattutto fra le donne giovani, alla prima esperienza di maternità. La vita non è più la stessa e una strana sorta di malinconia per quello che era prima e per quello che sarà sembra impossessarsi di chi vive questa situazione nuova unica, dirompente.
Proprio di questo tema parla il film messicano Dante y Soledad, della regista Alexandra de la Mora, presentato a Entre Dos Mundos, il VII Festival Iberoamericano di Firenze, dopo il successo ottenuto al 21° Festival Internacional de Cine de Morelia, in Messico.
Ispirato al racconto El matrimonio de los peces rojos (‘Le nozze dei pesci rossi’. In: Bestiario sentimentale, Ed. La Nuova Frontiera) della scrittrice Guadalupe Nettel, il film Dante y Soledad, esordio al lungometraggio di fiction di Alexandra de la Mora, esplora infatti gli stati d’animo di Inés, una giovane donna tornata a casa con la sua bambina dopo aver partorito, e si ritrova alle prese con le nuove sfide della maternità e con una inattesa depressione post-partum.
Dante y Soledad: due pesci come confidenti privilegiati
Inés non si aspettava una simile reazione: tornata a casa si ritrova a navigare in un mare di tristezza profonda e incomprensibile, onnicomprensiva di tutto e tutti: verso la figlia, il compagno, il mondo intero, alterato e quasi oscuro. Inés vive ora come in una bolla, in un tempo ed uno spazio sospesi. Unici confidenti ad alleviare le sue pene sono i pesci d’acqua salata del suo acquario, Dante e Soledad.
Attraverso una chiave onirica e quasi surrealista, il film indaga il mistero della maternità, dei sentimenti di angoscia e tristezza inspiegabili che una donna può provare, che la fanno sentire lontana dal mondo reale. Parlare con la coppia di pesci la rasserena e fa da spunto ad un viaggio introspettivo, intrapreso dalla donna, che si dipana tra sogno e realtà.
“Il film riguarda il momento in cui si diventa madre – racconta la regista – e come quella transizione implichi una sorta di ‘morte’ dell’individuo, per lasciare il posto a qualcosa di più grande, più forte e allo stesso tempo vulnerabile”.
Un’esperienza bella e dolorosa, da raccontare
La regista, Alexandra de la Mora, racconta nel film una storia in parte autobiografica, quella di un’esperienza che, nonostante la realizzazione personale e il sostegno di un compagno nella paternità, può avere comunque risvolti difficili e dolorosi.
“Volevo iniziare la mia carriera di regista con un punto di vista onesto, in modo che chi vedeva il film si sentisse allo stesso modo. Quando l’attrice, Irene, mi ha chiamato per chiedermi se l’avrei diretto, avevo appena avuto la mia prima figlia, stavo vivendo quella emozionante fase della maternità e mi sembrava affascinante vedere come potesse essere motore di crescita. Ma mi sono anche resa conto che, nonostante il sostegno emotivo del mio partner, ero un po’ in una bolla. Questo mi ha fatto riflettere sulle persone che non hanno lo stesso sostegno, e mi ha fatto prendere coscienza della realtà di tante donne. Avevo mia figlia a casa nostra. L’esperienza fu profondamente dolorosa e nulla a casa sembrava alleviarla. Mi sentivo come se qualcosa dentro di me fosse morto per far posto a questo bambino. Con il passare dei giorni sono emerse complessità che ho dovuto affrontare. E sentivo il bisogno di raccontare questa esperienza.”
Alexandra de la Mora: Attrice e regista messicana cofondatrice dello Spazio Supernova di Roma, esperimento artistico, spazio espositivo e culturale. Dopo una lunga carriera come regista di cortometraggi, esordisce nella regia con il lungometraggio di finzione ‘Dante y Soledad’.