È tutto pronto per le 72esima edizione del Trento Film Festival, in programma dal 26 aprile al 5 maggio. Per l’occasione abbiamo intervistato Mauro Gervasini, responsabile del ricchissimo programma cinematografico di quest’anno. Consulente selezionatore del Festival del Cinema di Venezia e firma storica della rivista FilmTV, che ha diretto dal 2013 al 2017, Gervasini è autore di libri come “La Collina degli Stivali: I 100 Migliori Western di Tutti i Tempi”, “Cuore e Acciaio: Le Arti Marziali al Cinema” e “Se Continua Così: Cinema e Fantascienza Distopica”. Questo è il suo primo Trento Film Festival e ci racconta il suo rapporto con la montagna, i temi portanti dell’edizione di quest’anno e l’importanza di raccontare il territorio attraverso il cinema.

La montagna
Questo è il suo primo anno da responsabile del programma cinematografico del Trento Film Festival. Come si è approcciato a questa realtà, e qual era il suo rapporto col festival e con la montagna, grande protagonista dell’evento?
La montagna è il punto di partenza. Il sottotitolo stesso del Trento Film Festival è proprio “Montagna e Cultura”. Chiaramente si estende anche ad altre realtà e attività, come l’avventura e l’esplorazione. È tutto declinato intorno ad ambienti anche estremi, in primis la montagna, di cui sono sempre stato appassionato. Facendo questa selezione mi sono reso conto che essere appassionati di montagna e viverla come la vivevo io prima, avendone una frequentazione abbastanza assidua anche per motivi familiari, non è la stessa cosa rispetto a certi tipi di approccio più agonistici, come l’alpinismo e gli sport estremi. Mi sono dovuto mettere nella prospettiva di dover studiare e imparare questo tipo di attività, perché poi il cinema la racconta. Una delle sezioni cardine del Trento Film Festival si chiama ALP&ISM, ed è dedicata al cinema che racconta l’impresa alpinistica, ma non solo. All’interno della selezione di quest’anno ci sono film sul base jumping, sul freeride, sullo sci, sulla corsa in montagna…quindi va inteso in maniera estesa. Mi sono divertito molto perché mi sono reso conto che non bastava lo sguardo cinematografico a cui ero abituato, facendo il programmatore da una dozzina d’anni, ma che bisognava mettere in gioco anche altre conoscenze e competenze. In questo mi sono fatto aiutare. Ho collaborato con un gruppo di selezionatori, alcuni dei quali arrivano da questo tipo di esperienze, a livello alpinistico, e loro mi sono stati di grande aiuto.
I temi dell’edizione
Quale filo conduttore tematico ha voluto dare a questa edizione e alla selezione cinematografica?
I denominatori tematici comuni non si cercano mai all’inizio, perché sarebbe scorretto, non sapendo ancora su quali film puoi contare. Si rischia di portare avanti una selezione falsata. Di solito i fil rouge si trovano alla fine, quando si ha il quadro completo del programma. Quest’anno abbiamo 120 film, quindi un gran bel numero. In questa edizione è molto forte il tema del tentativo di riequilibrare il rapporto tra uomo e natura. E quando intendo “uomo” non intendo solo l’individuo singolo, ma anche la comunità. C’è una sezione del festival chiamata Terre Alte, che ragiona molto su come le comunità possano continuare a vivere la montagna nel miglior modo possibile, di fronte ai cambiamenti climatici, al turismo di massa e a tutta una serie di problematiche che stanno investendo la montagna stessa. Mi sono reso conto che questo è un tema che ricorre anche nel cinema irlandese. l’Irlanda è paese ospite nella sezione Destinazione…. Questo tema di riequilibrare il rapporto tra uomo/comunità e natura è presente in questo film meraviglioso che presentiamo in anteprima italiana insieme alla Irish Film Festa, che si intitola That They May Face The Rising Sun…chi vedrà il film capirà questo titolo strano! È tratto da un testo letterario, il regista si chiama Pat Collins. Questo film interpreta alla perfezione quello che dicevo, pur non essendo un film di montagna. In Irlanda le montagne non ci sono, la più alta è di 1300 metri. Però c’è questa dimensione di ruralità che tira le fila di tanti film che ci sono nel festival.
L’Irlanda
A proposito dell’Irlanda, cosa ha spinto lei e i suoi collaboratori a scegliere questo paese nella sezione “Destinazione…” di quest’anno?
È stata una scelta anche personale, essendo un paese che amo molto, la conosco e ci sono stato più volte. Mi sembrava giusto, visto che non era mai stata scelta come paese ospite a Trento. Ho giocato un po’ in casa! Ovviamente ho ragionato anche dal punto di vista del contenuto. Non volevo fare una retrospettiva sulla storia del cinema irlandese, che è interessantissimo, ma comunque “giovane” da un punto di vista produttivo. L’Irlanda è un paese estremamente importante dal punto di vista musicale e letterario, mentre il cinema ha sempre vissuto un po’ all’ombra del Regno Unito o per estensione degli Stati Uniti. Per tantissimi anni, quando si pensava al cinema irlandese, veniva in mente Un Uomo Tranquillo di John Ford, che pur essendo lui di origine irlandese è un film americano! Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, anche sulla spinta della cosiddetta British Renaissance, il rinascimento cinematografico britannico che c’è stato anche grazie ai capitali delle televisioni, è nato un cinema autoctono cha ha avuto una sua storia importantissima e da cui sono usciti molti registi e autori importanti. Da Neil Jordan allo stesso Martin McDonagh, regista de Gli Spiriti Dell’Isola. C’è stata una generazione di cineasti e di moltissimi attori e attrici. Io ho voluto scegliere solo film nuovi. Il più vecchio è del 2020, il documentario sui The Pogues e Shane MacGowan Crock Of Cold. Ma stiamo parlando di film che hanno al massimo 3 anni e mezzo/quattro. Volevo che fossero tutti film contemporanei, anche per dare una vetrina di com’è il cinema irlandese oggi e della sua incredibile varietà. Ci sono film animati, noir, drammi, documentari, commedie, c’è An Irish Goodbye, il cortometraggio che ha vinto l’Oscar l’anno scorso…c’è una grande varietà, e di 16 film 7 sono in anteprima. Quindi volevo mostrare anche film che sarebbe stato difficile far vedere in altri modi.

Cinema di genere
Lei è molto legato al cinema di genere, presente anche in questa selezione. Quanto è importante il cinema di genere in questo tipo di festival? Soprattutto considerando che certi generi stanno diventando sempre più di nicchia.
Il cinema di genere inteso come generi classici all’interno del Trento Film Festival è comunque minoritario, perché la vocazione del cinema di montagna è una vocazione documentaristica. Essendo io particolarmente appassionato di alcuni generi sono riuscito a trovare un film distopico ambientato in montagna, intitolato Pyramiden. Però è un’eccezione rispetto a quello che è il programma nella sua totalità. Riguardo la domanda generale, il problema del cinema di genere oggi è che alcuni generi non hanno più la stessa attrattiva sul grande schermo perché ce li ritroviamo nelle serie televisive, sul piccolo schermo e nelle piattaforme streaming. Penso agli action, ai polizieschi…soprattutto certi generi legati al cinema americano, che da vent’anni sta vivendo una crisi profondissima. Il discorso è molto ampio e complesso, però il cinema di genere sicuramente non è sparito. L’ultimo film che ho visto al cinema è stato Civil War, un film di fantascienza distopica. Dal punto di vista performativo, un genere che riesce sempre ad avere una media di presenze e di produzione molto alta è l’horror. L’horror ha un suo pubblico che è sempre rimasto fedele a questo genere, e quindi è l’unico che ha ancora una produzione sistematica. Gli altri invece latitano…da quanto tempo non si vede un bel poliziesco americano sul grande schermo? O un western. Kevin Costner ha appena fatto un film western, Horizon: An American Saga, che sarà a Cannes e avrà anche un’uscita in sala. Speriamo sia bello!
Giovani e territorio
Il Trento Film Festival è una realtà molto giovanile, che coinvolge tanti ragazzi e studenti, ai quali è dedicata la sezione T4Future. Quanto è importante avvicinare i più giovani a questo tipo di festival?
Il programma di T4Future e altri dedicati alla didattica sono pensati per bambini e ragazzi fino alle scuole medie. Se pensiamo agli universitari, si va verso un pubblico ancora diverso. Io ho preparato un programma che vuole essere divertente e aperto a qualunque tipo di pubblico, dai bambini fino agli anziani. Sapendo su chi posso contare di più rispetto al tipo di proposta che faccio. In selezione abbiamo anche un film horror intitolato Cuckoo, che era alla Berlinale. È un horror tedesco della Universal. Questo film sarà una proiezione di mezzanotte, e io mi aspetto un pubblico giovane, soprattutto di studenti e universitari. Trento è una città che ha un’università storica. Sicuramente i più giovani tra gli spettatori, i ventenni, sono quelli che hanno la maggior voglia di andare al cinema. Ce lo dicono le statistiche. Negli Stati Uniti la fascia d’età che maggiormente frequenta i cinema va dai 18 ai 25 anni. Chiaro che le grosse masse di spettatori si muovono per i blockbuster. Però se proponi un prodotto accattivante, le persone di quella fascia d’età sono quelle che hanno più voglia di andare al cinema. Nei festival è tutto un altro campo da gioco, perché si va per vivere l’atmosfera, non sono visioni sporadiche, c’è chi fa l’abbonamento e organizza il suo percorso. Ci sono festival in Italia che hanno fondato la loro storia sul rapporto con i giovani. Penso al Torino Film Festival, che è stato fondato dall’Associazione Cinema Giovani. Il festival stesso, prima di inglesizzare il nome, si chiamava Festival Internazionale Cinema Giovani. Ci sono questi festival che hanno un rapporto privilegiato con il luogo dove sorgono, e Trento è sicuramente tra questi. C’è anche un pubblico maturo e di esperienza, perché facendo vedere dei film sull’alpinismo e sulle imprese sportive in montagna non c’è età. Noi abbiamo alpinisti importantissimi a livello internazionale che hanno meno di trent’anni, però poi c’è anche Messner. C’è un ampio ventaglio di età.
Lei pensa che ci sia bisogno di più cinema “territoriale”? Inteso come prodotti che raccontino come stanno cambiando determinati luoghi a livello ecologico e ambientale.
Non ne farei una questione troppo programmatica perché perderebbe la sua spontaneità. Però noi sottolineiamo il fatto che esista un cinema territoriale che merita di essere visto e mostrato. A Trento c’è una sezione chiamata Orizzonti Vicini, dedicata esplicitamente alle produzioni del Trentino Alto Adige, o a quegli autori che vengono dal Trentino Alto Adige che raccontano storie anche ambientate altrove. La considero una sezione importante, perché è quella che mantiene il rapporto col territorio. Ci sono 14 film tra lungometraggi e cortometraggi, e quindi mi fa piacere essere riuscito a trovare dei film che raccontassero un territorio e la sua complessità, che poi è il territorio che ospita e di cui il festival è emanazione. Ci sono film che arrivano dalle più disparate nazionalità: America Latina, Taiwan, Giappone, Cina…un po’ di tutto. Però mi sembrava importante mantenere questa finestra sulla territorialità.
