Il 3 aprile 1924 a Omaha in Nebraska nasceva Marlon Brando, oggi considerato una delle maggiori star nella storia di Hollywood. Con il suo talento ha segnato decenni del cinema statunitense, divenendo uno degli attori più carismatici nella storia del cinema. Tra i primi interpreti del Metodo Stanislavskij negli USA, grazie al suo immedesimarsi nei ruoli ha rinnovato radicalmente lo stile recitativo statunitense a favore di un approccio psicologico più marcato dei personaggi da interpretare. Tra ruoli indimenticabili, controversie e attivismo, ripercorriamo la sua vita e la sua carriera, proprio in occasione di quello che sarebbe stato il suo centesimo compleanno.
Marlon Brando. Le origini
Bud (così soprannominato in infanzia) ebbe un rapporto tendenzialmente ostile con il padre, causato dai suoi lunghi periodi lontano dalla famiglia, trascorsi tra bordelli e night club. Completamente opposto era invece quello con la madre, Dorothy Julia Pennebaker. Egli puntualizzò a più riprese che il solo unico motivo che lo spingeva a recitare era per fare una buona impressione su di lei, in passato celebrità locale dell’Illinois. Da sempre di carattere ribelle, il giovane Brando fu espulso da una scuola militare e cominciò a frequentare scuole di arte drammatica. Fu prima allievo di Stella Adler e poi seguì i corsi di Lee Strasberg all’Actors Studio. Esordì a Broadway proprio in questi anni e terminati gli studi ottenne i primo ruoli di spicco sul palcoscenico. Il suo Stanley Kowalski nel dramma Un tram che si chiama Desiderio di Tennessee Williams gli valse il successo teatrale nel 1947.
Marlon Brando. Il successo sul grande schermo
Guadagnatosi una certa fama, Brando ottenne il ruolo anche per la trasposizione cinematografica del romanzo. Il film, diretto da Elia Kazan, ebbe un riscontro molto positivo e la critica elogiò la sua performance. Il primo riconoscimento di rilievo arrivò quando vinse il Prix d’interprétation masculine al Festival di Cannes, per il ruolo di Emiliano Zapata in Viva Zapata! (1952), ancora di Elia Kazan. La vera consacrazione però avvenne con Fronte del porto(1954). Il film è incentrato sulla redenzione di Terry Malloy, un ex pugile oramai redento, divenuto lavoratore portuale e costretto a fronteggiarsi con la malavita locale. Un personaggio che Brando portò sul grande schermo con un intensità tale che gli permise di aggiudicarsi il suo primo Academy Award. Inutile riportare che il film fu diretto da Kazan, con il quale in questi anni si instaurò un importante sodalizio.
«Ma non è questo. È questione di classe! Potevo diventare un campione. Potevo diventare qualcuno, invece di niente, come sono adesso.» Terry Malloy
Dalle stalle alle stelle
Tra gli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, Brando consolidò il suo ruolo di star di Hollywood con altre pellicole di rilievo. Si tratta di Bulli e pupe di Joseph L. Mankiewicz (1955), Pelle di serpente di Sidney Lumet(1960) e I due volti della vendetta(1961), western epico diretto ed interpretato da lui stesso, che però non ottenne il successo desirato. È in questo periodo che i media conoscono più a fondo il suo interesse per l’impegno sociale, grazie alla partecipazione nella Marcia su Washington per il lavoro e la libertà, il 28 agosto 1963. Dopo gli esigui riscontri ottenuti con Gli ammutinati del Bounty(1962) nel ruolo di Fletcher Christian, Brando recitò in numerosi film che non ottennero il plauso della critica e che si rivelarono insuccessi al botteghino. Tra questi La contessa di Hong Kong(1967) di Charlie Chaplin, con Sophia Loren, il quale si rivelò un clamoroso flop commerciale. Escluso Queimada di Gillo Pontecorvo (1969), i restanti anni Sessanta furono quindi disastrosi per l’attore, considerato già finito da numerosi addetti ai lavori del settore.
Il Padrino e il ritorno di gloria di Brando
Nel 1971, durante la preproduzione de Il Padrino, la Paramount Pictures si scontrò con Francis Ford Coppola nell’assegnazione della parte di Vito Corleone. Il giovane regista spingeva proprio per Marlon Brando, nonostante l’alto ingaggio richiesto e il periodo non favorevole per l’attore. Brando inizialmente non era propenso ad accettare, ma a seguito della sottoscrizione di particolari clausole sottoscrisse il contratto. Il resto è storia. L’attore lavorò assiduamente sul personaggio, dandogli una caratterizzazione fisica estremamente personale. Il suo intento era quello di conferirgli un aspetto da bulldog; infatti, recitò con un particolare apparato costruito appositamente da un dentista . Grazie a Il Padrino (1972), Marlon Brando si aggiudicò il suo secondo Oscar, questa volta per il Miglior Attore non Protagonista. Tuttavia non si presentò alla cerimonia e tantomeno ritirò il premio, in segno di protesta contro il trattamento riservato agli indiani nativi d’America da parte degli Stati Uniti. A rifiutare la statuetta andò Sacheen Littlefeather, attrice e attivista di origini nativo-americane.
I gloriosi anni Settanta
Un altro ruolo celebre che permise a Brando di riconquistare la nomea persa durante il declino fu quello di Paul ne Ultimo Tango a Parigi. La pellicola di Bernardo Bertolucci, con Maria Schneider, fu un’esperienza struggente per l’attore che si sentì ‘violentato’ dal regista. Quest’ultimo gli consigliò di inserire elementi riguardanti la sua vita personale nel personaggio, rendendo il film per metà un’autobiografia dello stesso Brando. Inoltre, Ultimo Tango a Parigi divenne un caso di censura tra i più noti nella storia del cinema. A causa delle scene esplicite di sesso, Bertolucci affrontò della cause legali e subì una censura di 15 anni.
Negli anni successivi, egli partecipò alla complicata realizzazione di uno dei capolavori del cinema anni ’70, Apocalypse Now(1979), ancora una volta con Coppola alla regia. Brando interpretò il colonnello Kurtz e diede non pochi problemi durante le riprese, presentandosi spesso in ritardo, privo di memoria delle battute e in sovrappeso. Nonostante ciò, l’attore regalò un’ennesima performance memorabile, e anzi alimentò l’aura di mistero del suo ultimo vero personaggio, testamento di una carriera magnifica e controversa.
Gli ultimi anni e la morte di Marlon Brando
Nel 1980 Brando annunciò il suo ritiro dalle scene. Ormai demotivato come attore e deformato nel fisico a causa di una crescente obesità, si limiterà a recitare esclusivamente per denaro, con cameo di pochissimi minuti retribuiti con grandi compensi. Le ultime apparizioni di rilievo avvennero con Un’arida stagione bianca(1989), grazie al quale ottenne una candidatura all’Oscar al miglior attore non protagonista, e in due film in collaborazione con un giovane Johnny Depp. Trascorse gli ultimi anni della sua vita in una lussuosa villa a Mulholland Drive, sulle colline di Hollywood. Sofferente di diabete e avendo ormai raggiunto un peso di quasi 140 kg, l’attore morì il 1 luglio 2004 nel Centro Medico dell’UCLA (University of California at Los Angeles) a Westwood.
Eredità
Marlon Brando è stato molto probabilmente il più grande attore di tutti i tempi. Ha dimostrato col tempo una certa scioltezza nel fronteggiarsi con ruoli sempre diversi, mettendo in gioco sé stesso, la sua stabilità e la sua instabilità in ogni singolo lavoro. Sono celebri i racconti dai quali emergono le sfaccettature della sua persona e del professionista che era. Un attore fuori dagli schemi che si imputava nel non voler imparare tutte le battute, così da lasciare spazio all’improvvisazione, così da riuscire a vivere il personaggio.
I dati confermano che è anche l’attore più pagato di sempre, ma Brando prima di questo era un uomo dal carattere forte, ribelle ed esagerato. Molti che hanno lavorato con lui vi ebbero rapporti difficili a causa della sua intrattabilità e dei suoi frequenti sbalzi d’umore. Elementi che emersero anche dalla sua vita sentimentale costantemente discontinua e condizionata talvolta da relazioni conclusesi in aule di processo. Una vita segnata da alti e bassi. Un artista che forse non abbiamo mai veramente compreso.