Il MedFilm Festival giunge alla 29esima edizione. Dal 9 al 19 Novembre la città di Roma ospita il Cinema del Mediterraneo. Un programma fitto di proiezioni, incontri, ed iniziative importanti volte a valorizzare tutte le sponde del Mediterraneo. Uno spazio interculturale che promuove l’ascolto, la condivisione, la conoscenza.
Il festival accoglie le cinematografie di quaranta paesi (tra cui Spagna, Italia, Libano, Iran, Israele, Turchia, Palestina, Siria ecc…) per un viaggio tra storie, culture e tradizioni da sempre intrecciate e vicine, per indagare, attraverso lo sguardo acuto di giovani autori e grandi maestri, il nostro tempo presente.
Le proiezioni, gli incontri, le masterclass si terrano al museo Maxxi, al cinema Savoy, al museo Macro, al Teatro Palladium e nelle biblioteche di Roma. Sarà possibile seguire il festival anche online grazie alla collaborazione con Mymovies One.
L’immagine ufficiale del festival rende omaggio all’immensa figura di Maria Callas in occasione del centenario della sua nascita (2 dicembre 2023). Soprana voce del Mediterraneo, immagine potente, mitologica, nella trasposizione realizzata dal video artista Gianluca Abbate, di un femminile profondamente connesso alla creatività, ma anche metafora della nascita di Europa, dalle acque del Mediterraneo.
Abbiamo avuto il piacere di parlare con Ginella Vocca, fondatrice e direttrice artistica del MedFilm Festival. Una conversazione ricca di spunti e di sguardi sul presente, sul futuro e sul valore del Cinema.
Manifesto ufficiale della 29esima edizione del MedFilm Festival – Immagine realizzata dall’artista Gianluca Abbate
Intenzioni del Med Film festival – contesto storico e sociale di oggi
Grazie a quest’intervista abbiamo l‘opportunità di approfondire le importanti tematiche che il Med Film Festival, e quindi il Cinema del Mediterraneo, porta sullo schermo. Il Festival dà voce alle problematiche, alle complessità che interessano l’aerea. Proprio per questo non possiamo fare a meno di pensare a quello che sta accadendo, da più di un mese a questa parte, a Gaza. Una crisi che interessa appunto il Medio Oriente. Com’è riuscito il festival a gestire una situazione del genere? Quali sono state le difficoltà, le riflessioni, e quindi quali sono le intenzioni del festival di quest’edizione?
La domanda è corretta. Allora cominciamo dal principio, ovvero dal giorno in cui è successo, dal 7 ottobre.
Noi avevamo già chiuso tutto il nostro programma che prevedeva film da ogni sponda del Mediterraneo, quindi anche da Palestina, Israele, Egitto. Grande shock, naturalmente, come per tutti, grande smarrimento, perdita di equilibrio proprio emotivo. Ma poi abbiamo deciso che tutto sarebbe continuato, proseguito così come l’avevamo immaginato, anzi a maggior ragione, perché la nostra posizione è coerente da 29 anni.
Il nostro compito è quello di far vedere alle persone quali sono le culture di questi paesi. Perché purtroppo la narrazione comune ci indica un unico indistinto dentro il quale invece c’è tantissimo. Si dimentica all’improvviso quanto sia importante andare a vedere le molteplici identità culturali che animano questa parte di mondo, che è ricchissima di cultura, di testimonianze, dall’antichità ad oggi.
Perché siamo concentrati sul fervore dell’attività creativa di quest’area? Perché bisogna dare un controcanto. Non si può parlare di quest’area sempre come un unico indistinto per cui ci sono soltanto persone che si aggirano nei deserti, o vengono spostate a milioni da un territorio all’altro, oppure muoiono in mezzo al mare. Perché di conseguenza diventano persone di serie B, senza diritti, senza identità, quindi persone a cui tutto sommato è quasi normale che accada tutto quello che accade.
Ed ecco perché noi siamo riusciti a stare in equilibrio, a stare forti sulle gambe, e a portare avanti il nostro programma
anche in un momento di smarrimento davvero significativo per tutti. Perché quello che è successo, quello che sta succedendo, è un buco nero nella coscienza collettiva.
Quindi attraverso il cinema, attraverso i film, abbiamo la possibilità di andare a vedere le storie dei singoli, di confrontarci anche con delle realtà culturali insospettabili. Di scoprire, ad esempio, che in Yemen non si fa cinema. Ci sono pochissime sale. Ma, quel poco che si fa è molto preciso e puntuale anche su temi importanti come l’interruzione di gravidanza, e scoprire che può essere fatta in ospedale legalmente dentro una certa data di gestazione.
Tutto questo lo si apprende anche attraverso il cinema. Andare a vedere un film è entrare in un paese non dalla finestra, ma dalla porta principale. Sedersi e mangiare gli stessi cibi, ascoltare la stessa musica, vivere le stesse dinamiche di quel mondo. Ecco perché è stato facile. Non è successo nulla perché si sa che il festival è un luogo di rispetto e di ascolto, e speriamo che vada avanti così e di arrivare fino in fondo senza problemi.
La selezione dei film
Come vengono scelti i film del MedFilm Festival? In base a quali criteri?
Abbiamo un comitato di selezione, composto da sette elementi, più la responsabile della programmazione, Martina Zigiotti. Noi cominciamo da subito e già abbiamo in mente qualcosa, ma il nostro primo step parte con Berlino. Quindi andiamo a Berlino, studiamo il programma e incontriamo i distributori. Da lì in poi, tutti i festival che si susseguono, dai più importanti ai meno noti, e cerchiamo i film più interessanti dell’area.
Sicuramente siamo subissati da iscrizioni, abbiamo tantissimi film che si iscrivono autonomamente sulla piattaforma Film Freeway. Diciamo che se ne iscrivono circa 700 l’anno. Poi abbiamo questo comitato che mangia film. Quindi li guardiamo, li selezioniamo.
La magia che succede ogni volta è che piano piano la selezione assume una forma. É la selezione che ci dice quali sono i temi principali. Non siamo noi che cerchiamo qualcosa su qualcosa. Il nostro tema è il Mediterraneo, l’area geografica va fino al Medio Oriente. Dopodiché sono i film che ci parlano e ci indicano le tematiche. Quindi sono loro che si palesano, sono i temi che si palesano a noi.
Prima assoluta del documentario The Dreamers Afghan Women’s Resistance di Alessandro Galassi – Urgenze
Soffermiamoci sulle proiezioni speciali e in particolare sulla prima assoluta del documentario The Dreamers Afghan Women’s Resistance di Alessandro Galassi. Non posso fare a meno di notare la volontà del Festival di mettere in luce la femminilità, un femminile connesso alla creatività. A partire dall’immagine iconica di Maria Callas, che è l’immagine stessa del festival di quest’edizione; al premio alla carriera ad Angela Molina; e alle giurie composte soprattutto da donne; per arrivare al film di Galassi. Perché è importante vedere questo documentario oggi? Qual è l’urgenza di porre l’attenzione sulle donne in questo momento storico?
Quest’anno era impossibile non vedere l’affermazione di questo tema nella selezione. Autrici, protagoniste, giurate, queste donne si sono proprio imposte. Sono qui attraverso i film, attraverso la giuria. É stata proprio una marcia ferma.
Poi è arrivato questo documentario. Abbiamo parlato con il quotidiano Avvenire, che ci segue sempre con attenzione, e con Nove Onlus, che è un’associazione che opera in Afghanistan, che ci ha contattato per parlarci di questa opportunità. Ovvero di questo documentario, girato due mesi fa, quindi recentissimo. Abbiamo visto il film che è anche molto piacevole come opera filmica e non abbiamo avuto dubbi.
Questo è un documentario importantissimo sulle scuole segrete dove studiano le ragazze afghane. Io vorrei ricordare che in questo momento c’è un esodo di afghani dal Pakistan, che sono stati buttati fuori e che sanno quindi di tornare in un Afghanistan che è piombato nel più cupo medioevo esistenziale talebano del paese.
Queste ragazze sono bellissime, colorate, si connettono al mondo attraverso i social, e non vogliono rinunciare a formarsi. Anche perché il violento salto indietro è avvenuto in un passato recente. Queste sono ragazze che andavano tranquillamente a scuola, all’università, ed erano riuscite a ritornare a una semi normalità. E ora di nuovo ributtate indietro. Loro e i loro docenti hanno una forza, una resilienza, una grazia.
Un documentario molto interessante, ed è fondamentale tenere alta l’attenzione. Perché è vero che stando qui, in questo momento della storia, noi riusciamo ad avere una vita, non mi viene un aggettivo se non banale, diciamo una buona vita, dove possiamo esprimerci. Forse sì, siamo vittime di un tempo violento che corre troppo. Le nostre vite sono ostaggio dei soldi. Però, se uno vuole, può rifugiarsi in campagna e vivere del proprio raccolto. Insomma siamo liberi, e invece ci sono persone esattamente come me e lei, che non lo sono.
Il valore del cinema nella società
Il festival prevede diverse collaborazioni. Da una parte il progetto Voci dal Carcere (corti realizzati da e con i detenuti), ma anche la collaborazione con gli studenti. Penso al progetto del Med ‘Cinema a Scuola’; alla sezione del festival ‘Sguardi al Futuro’; e alla giuria speciale del Progetto Methexis, composta da detenuti e dagli studenti. Che ruolo ha il cinema nella scuola e nel carcere. E che significato ha questa collaborazione tra studenti e detenuti?
Per Voci dal carcere, per alcuni film della selezione, sono stati fatti dei permessi speciali. I detenuti che hanno realizzato i corti sono venuti al cinema Savoy. É stato un momento bellissimo, potentissimo. Sto vivendo questa edizione come se fosse un’esperienza, come se andassi a scuola, sto cercando di capire.
Il cinema ha un valore enorme quando è un cinema di pensiero, di approfondimento, di bellezza, di domanda. Il cinema ha un significato importante perché è un luogo dentro cui ci possiamo specchiare, e ci possiamo vedere anche diversi da come ci immaginiamo. Quindi un detenuto si vede diverso da come s’immagina e si vede, perché è ancora capace di essere creativo, di esprimersi, di cercare altrove oltre la condizione di detenuto.
il cinema ha un valore enorme, sociale. Forse per questo si tende a volerci vedere invece separati, chiusi nella propria stanzetta, chi si può permettere Sky, Netflix, tutte le piattaforme del mondo che io apprezzo, attenzione. Ma il mondo non è quella cosa o l’altra, il mondo deve essere complementare. Quindi bisogna spingere la gente ad andare al cinema, perché poi, quando si va e si casca dentro una storia, un approfondimento, torniamo alla tragedia greca. Ovvero al valore che aveva per la polis portare il popolo a teatro a fare un lavoro di catarsi. Si tratta dello stesso processo.
Io sto riscoprendo l’importanza del cinema perché un po’ l’avevo persa, era diventato un meccanismo, un automatismo. Invece quest’anno io lo rivedo, lo risento come momento importantissimo per ritrovarsi, per ritrovare se stessi nella collettività.
Il processo invece della giuria di studenti e detenuti è un altro momento magico del festival. Sono venuti studenti dal Qatar, dal Marocco, dalla Francia, dalla Spagna, dalla Turchia e da altri paesi dell’area. Loro incontreranno i detenuti per la seduta plenaria durante la quale verrà decretato il cortometraggio vincitore della sezione competitiva corti.
L’incontro in genere tra studenti e detenuti è molto potente ed emozionante. Anche perché entri nel carcere e lasci tutte le tue cose, lo zaino, il telefono. Entri in qualche modo nudo nella struttura. Dietro di te si vede il cancello e cammini nei corridoi, incontri qualche detenuto che fuma una sigaretta in un angolo dove c’è la finestra. Poi li incontri e loro sono felici di vederti e di lavorare con te, e di fare i giurati con una serietà, una cura, e un’ attenzione che spesso lasciano molto spiazzati gli studenti. E da questo incontro vengono fuori veramente lezioni di vita e di cinema anche insospettabili.
Med Film Festival in Marocco
Lo scorso giugno si è svolta la seconda edizione del MedFilm Festival in Marocco. Quali sono i motivi e gli obiettivi di questa iniziativa?
Sono vent’anni che andiamo in giro e portiamo il cinema italiano in questi paesi, facendo cioè il viaggio inverso. Poi la pandemia ci ha fermato e per due anni non siamo andati. Ma siamo usciti diversi dalla pandemia, con una coscienza mediterranea, non più italiana. Cioè, abbiamo maggiormente messo a fuoco qual è il nostro processo di trasformazione anche come evento culturale.
Per cui, abbiamo deciso di portare non il cinema italiano in Marocco, ma il Cinema Mediterraneo nel Mediterraneo. Ancora una volta per creare un’identità, per vederci riflessi in qualcosa che appartiene a tutti i paesi dell’area. É una cosa che continueremo a fare. Dopo il Marocco andremo in un altro paese, e non è detto che non ci si spinga fino al Medio Oriente. Quindi è iniziato un nuovo percorso internazionale del festival che non è quello soltanto di far vedere Roma, ma di far vedere tutto il mondo.
Questo festival è talmente tante cose, è talmente bello, reale che emoziona. Noi siamo sempre bambini, rimaniamo curiosi e se la curiosità non trova un luogo dove andare, poi si intristisce. Invece è una delle nostre peculiarità: la curiosità. La curiosità è voler vedere, conoscere, è quello che ci ha fatto superare le colonne d’Ercole. Quindi mi piace essere in questa dinamica, mi piace moltissimo.
Titoli da non perdere al MedFilm Festival 2023
Il festival è iniziato da qualche giorno. Quali sono i film, gli eventi che non possiamo assolutamente perdere?
Abbiamo About Dry Grasses, l’ultimo capolavoro di Nuri Bilge Ceylan. Poi, Jours d’été , un altro film molto particolare, marocchino, un regalo che ci ha fatto Faouzi Bensaidi, uno degli autori più importanti attualmente in Marocco. Il film, che ha la sua prima internazionale da noi, è il riadattamento del Giardino dei Ciliegi di Anton Cechov a Tangeri, una commedia molto dolce che si fa vedere come un piacevole libro, che quando finisce ti dispiace che sia finito.
Non si deve perdere Sconosciuti puri di Mattia Colombo e Valentina Cicogna, per cui faremo anche un incontro con Amnesty. Il documentario racconta la storia della dottoressa Cristina Cattaneo e del suo team, che cercano di dare un nome ai corpi che arrivano nella sala autopsie. La dottoressa tenta di ricostruire l’identità di queste persone che hanno perso la vita, per avvisare i parenti e per dare loro una dignità. Naturalmente spesso si parla di migranti. Un film che parte dalla morte per tornare alla vita.
Semidei di Fabio Mollo e Alessandra Cataleta, un’opera prima, un documentario che ho amato moltissimo. Interessante anche La Voluntaria di Nely Reguera, nella sezione Iberiana. Questo film, che ha un’apparenza molto semplice nella narrativa, parla dell’atteggiamento di una volontaria, una borghese che decide di andare a lavorare per un’associazione, per una ONG che si occupa di migranti e di bambini rifugiati. Ad un certo punto, il film prende una direzione inaspettata e diventa il nostro specchio. Nonostante le migliori intenzioni intellettuali, la donna non riesce a sostenere emotivamente la richiesta di un bambino che lei decide di adottare. Un film dolorosissimo perché è proprio il nostro specchio.
Sempre dall’Iberiana c’è Secaderos di Rocio Mesa, ed è un coming of age in mezzo alla natura. Un film molto bello, delicato, sul futuro della nostra esistenza, tra campagna e città; su dove indirizzare la propria vita una volta diventati quasi adulti, poco più che adolescenti.
The Burdened di Arm Gamal sul tema dell’interruzione di gravidanza in Yemen. The Mother of all lies di Asmae El Moudir, film marocchino candidato agli Oscar 2024, e vincitore a Cannes nella sezione Un Certain Regard per la Miglior Regia. Si tratta di un’opera prima, ed è la trasposizione e la rielaborazione di un trauma, personale e collettivo.
Dncing on the Edge of a Vulcano di Cyril Aris. Un film libanese che ci mostra l’esplosione devastante del porto di Beirut del 2020. Immagini artistiche di un’opra filmica che sono completamente diverse rispetto a quelle che abbiamo visto nelle cronache. Un’esplosione che ha devastato migliaia di vite, ma non è riuscita a piegare questo team di creativi. Un inno al cinema. Per concludere, il film israeliano The Vanishing Soldier di Dani Rosenberg, che racconta la società israeliana dal suo interno, senza discutere del conflitto bellico ma ponendo l’attenzione sul conflitto interiore degli Israeliani.
MadMeetings
Cosa sono i MedMeeting?
Siamo alla settima edizione dei MadMeetings, quarta edizione dei MedFilm Works in Progress, e seconda edizione dei MedPitching. Grazie ai quali sono arrivati qui dieci produttori e registi, per creare degli incontri con altrettanti produttori italiani per discutere sui progetti in via di sviluppo.
Invece i MadWIPs hanno portato alcuni film in post produzione, sei dei quali sono stati selezionati dal comitato di selezione, e tra questi c’era il grandissimo Rashid Masharawi, che peraltro ha vinto il premio OIM ovvero 10.000 euro a fondo perduto.
La piattaforma dei MadMeetings è il futuro del festival perché consente agli artisti, ai produttori, ai vari sistemi industriali del cinema di contattarsi, di incontrarsi, di scambiarsi idee, soggetti, soldi, creatività, e strumenti.
Quindi noi stiamo puntando moltissimo su questa piattaforma perché è l’unica piattaforma dell’industria italiana specificatamente dedicata all’area del Mediterraneo. Quindi stiamo investendo tantissimo, abbiamo dei riscontri molto importanti da parte degli autori che ci iscrivono. Pensiamo al film Yurt che l’anno scorso ha vinto il Mad WIPS, oltre che i 10.000 euro dall’OIM, ed è andato dritto alle Giornate degli Autori a Venezia.
Quindi diciamo che il livello è molto alto. Un’altra parola va spesa su due premi fondamentali: il Premio Stadion Video, che è una società di produzione di DCP, che lavora moltissimo in Italia; ed il Premio OIM. Ovvero l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni, un’Agenzia delle Nazioni Unite, che collabora con noi affinché vengano realizzati film tra persone provenienti dai diversi paesi dell’area.
Ed è un successo straordinario. Come finalmente si incrociano: l’economia, la creatività e la protezione dei diritti umani. Io veramente più di così non saprei cosa chiedere.
Tutte le info del MedFilm Festival a questo link: il programma completo del festival.