Jours d’été, ultimo luminoso film del regista Faouzi Bensaidi, tra le voci più interessanti e lucide del Marocco di oggi, è stato presentato al Medfilm Festival durante la serata di premiazione. Liberamente tratto da Il giardino dei Ciliegi di Anton Cechov, il film è una lettera d’amore al suo paese in veloce trasformazione, e alla sua compagnia di attori che da anni danno corpo ai personaggi dei suoi film.
Un’opera profondamente umana e sensibile, con un tocco estetico e poetico sorprendente, con personaggi accattivanti che si muovono incerti tra i ricordi del passato e le incombenze del presente. Tra la tradizione e le novità dei tempi moderni. Tra le illusioni di prima e le speranze del dopo.
Con: Mohamed Choubi, Mohamed El Mazzouji, Mouna Fettou, Faouzi Bensaidi
Trama di Jours d’été
I membri di una famiglia schiacciata dai debiti si riuniscono in una evanescente Tangeri, scappando dai ricordi più dolorosi ma allo stesso tempo attaccandosi ad un passato che non vogliono dimenticare. La casa di famiglia e le altre proprietà saranno vendute in autunno. Progressivamente, i giorni d’estate si fondono con un passato distante, dove le memorie diventano nebbie.
Dimora di un mondo perduto
Un’atmosfera magica e sognante attraversa il film e la poderosa dimora di Tangeri, ambientazione suggestiva di tutta l’opera. Colori vivacissimi illuminano l’arredamento della casa che brilla di rosso, giallo, celeste. Tinture calde che decorano il luogo rendendolo unico e caratteristico. Le grandi finestre, sempre spalancate, ci mostrano il fuori: il giardino, gli alberi, il cielo. Un vento leggero circola tra le stanze e fa vibrare le stoffe, i vestiti, i capelli.
Un luogo che sembra avere un’anima, un passato che smuove il presente colmo di nostalgica memoria. Il film inizia con l’alba, ovvero il risveglio della casa; alcuni inservienti che attendono i proprietari; il ritorno della luce che fioca entra dalle fessure; il movimento degli animali che entrano in casa e scorrazzano liberi da una stanza all’altra. Come se quel perimetro fosse il loro, come se gli appartenessero. In effetti la tenuta verrà presto venduta, abbandonata, insieme al peso dei ricordi, belli e brutti.
La nostalgia pregna ogni centimetro della casa e del giardino, dove il vecchio si confonde col nuovo in un tempo sospeso, rarefatto, ambiguo. C’è il tempo della festa, della risata, dell’incontro amoroso, del pianto. Un insieme di emozioni che esplodono e implodono fino alla fine, fino alla perdita della dimora. Eppure abbandonare il posto equivale a lasciare una parte di sé, anche ingombrante e debilitante. Un peso che viene meno. Un inizio possibile. Così, la pioggia, che accompagna l’addio all’abitazione, pulisce, purifica, rende neutrale. La pioggia come le lacrime sancisce una fine, un capitolo che si chiude.
L’impronta teatrale dell’opera s’intravede nella costruzione scenica del film, nella scelta dei campi medi e dei piani totali che racchiudono i vari personaggi, e ce li mostrano mentre compiono le proprie azioni. Una composizione armonica ed architettonica dell’inquadratura, elegante e sapiente, dove possiamo scorgere i movimenti e i gesti di tutti attraverso una trasparenza, carica però di mistero.