Hunt di Lee Jung-jae è un film di azione e spionaggio prodotto interpretato e diretto da Lee Jung-jae stesso (Squid game, Liberaci dal male, New world). Al suo fianco un cast di volti celebri della Corea del Sud della stessa generazione, primo tra tutti il contraltare Jung Woo-sung (Nido di vipere, La congiura della pietra nera), ma anche Lee Sung-min (Remember, Rinato ricco), Heo Sung-tae (il bad guy di Squid Game), Park Sung-woong (New World, Snowdrop), Hwang Jung-min (Narcosantos, The point men).
Un film carismatico:
due ore di intrattenimento e di adrenalina anche se non ad altissima velocità, tra sparatorie, torture e una spettacolare esplosione da post nucleare. Un film dal budget notevole, ma che di notevole offre anche un cast che ormai eccelle a livello internazionale.
Hunt di Lee Jung-jae, la trama
Sono gli anni Ottanta e in Corea del Sud vige la dittatura. Park Pyung-Ho (Lee Jung-jae) e Kim Jung-Do (Jung Woo-sung) sono due agenti della KCIA, l’agenzia dei servizi segreti coreana, mobilitati nella protezione del presidente, la cui vita è minacciata.
La situazione diventa critica quando è evidente che nel gruppo ci sia una talpa che apparentemente si muove in collaborazione con i nordcoreani. Ma l’indagine sull’infiltrato è più complessa di quanto appariva e mette i due collaboratori di lunga data, uno contro l’altro.
Spionaggio
Hunt è il primo film da regista di Lee Jung-jae, già presentato a Cannes nel 2022. Un prodotto orgogliosamente iscrivibile nel genere spionaggio e altrettanto orgogliosamente paragonabile ad illustri predecessori come La talpa (2011), Il ponte delle spie (2015) ma anche La conversazione (1974).
Per la complessità della sceneggiatura e gli intrighi è assolutamente un film all’altezza, che non eccedere nell’azione, anche se le sequenze dinamiche non mancano. L’equilibrio tra i generi e la nota culturale coreana, sono due elementi che si abbracciano e funzionano perfettamente in Hunt di Lee Jung-jae.
Il ruolo della storia coreana
La Corea che vediamo in Hunt di Lee Jung-jae, è un Paese estremamente sopra le righe, brutale, ma che contemporaneamente si appella alla storia realmente accaduta: il periodo della dittatura di Park Chung-hee e il suo assassinio, avvenuto per mano di Kim Jae-gyu, direttore della KCIA. Tanto quanto le brutalità della gestione altrettanto antidemocratica di Chun Doo-hwan, un dittatore che fece uso della forza e della tortura anche verso i comuni cittadini.
Quindi decisamente due ore interessanti anche se un po’ difficili da seguire, soprattutto per chi non si trovi a proprio agio con i nomi coreani o che non mastichi almeno un pochino di storia recente della Corea del Sud. Si confida che, la sempre maggior esposizione a questo cinema asiatico, ci abbia anche fornito più strumenti per interpretarne la storia moderna e alcuni celebri eventi, come ad esempio il massacro di Gwangju di cui avevamo già visto in A taxi driver (2017), operato per mano del sopra citato presidente Chun.
Costante la presenza della Corea del Nord, che è il nemico “freddo”, e poi neanche così tanto, di questa guerra. La cinematografia coreana non ha dovuto ricalibrare il tiro su antagonisti diversi dopo la caduta del muro di Berlino. Non è un caso che il film in un certo senso faccia del sarcasmo proprio di questo dettaglio: ovvero della guerra infinita, della guerra mai-finita, contro i fratelli coreani.
I migliori volti del jet set coreano
Oltre ad avere chiaramente mostrato abilità registiche notevoli, Lee Jung-jae in questa ennesima conferma delle sue capacità attoriali, ha coinvolto un cast di colleghi stellare, dal primo all’ultimo elemento, anche nei ruoli spalla.
Jung Woo-sung rimbalza la sua performance con stile, diventando nemico-amico del collega, annebbiando i confini di personaggi non uniformi. Torna qui l’abilità della scrittura sudcoreana nel dipingere personaggi mai del tutto bianchi o neri, lavorando su quelle sfumature di grigio che rendono questi caratteristi più umani, e stimolanti la riflessione nel pubblico che esce dalla sala.
Quell’espressività mutevole dei due attori protagonisti, la catturano primi piani assillanti.
La tensione si costruisce nello smontare l’intreccio e la sofisticata gerarchia, pezzo dopo pezzo, fino a quando ci risulta sempre più evidente che proprio così cattivi questi agenti non lo sono. Interessante quindi l’evolversi della storia, soprattutto nella seconda metà del film.
Un intrattenimento che ci si aspetta, e che si gusta avidamente, da quel buon cinema di genere accuratamente realizzato.