Un vero e proprio professionista dei kolossal James Cameron.
Gli inizi del professionista di kolossal James Cameron
Canadese originario di Kapuskasing, dove nasce nel 1954, James Cameron si trasferisce a 17 anni negli Stati Uniti. Qui, dopo essersi infruttuosamente iscritto al college, scopre la passione per il cinema grazie alla visione di Guerre Stellari (1977) di George Lucas.
L’iconico film di fantascienza colpisce così tanto il giovane James, che questi per il suo lavoro d’esordio realizza a sua volta un cortometraggio sci-fi dal titolo Xenogenesis (1978), storia delle peripezie spaziali di un uomo e una donna alla ricerca di un pianeta dove iniziare un nuovo ciclo della vita umana.
L’opera, nonostante la breve durata (12 minuti), mostra da subito, seppur a livello embrionale, alcuni dei temi e degli elementi che sovente ricorreranno nella successiva filmografia cameroniana (il forte interesse per la tecnologia, la presenza inquietante delle macchine e dei robot, il gusto per gli effetti speciali), dimostrando così che già allora lo stesso autore avesse ben in mente la direzione da dare al proprio cinema.

L’esordio nel lungometraggio con Piraña paura
Dopo aver collaborato con Roger Corman come tecnico degli effetti speciali, per James Cameron arriva finalmente il momento di esordire con il suo primo lungometraggio, Piraña paura (1981), sequel del grande successo horror Piraña (1978) firmato da Joe Dante, a sua volta componente di quel filone catastrofico che, da Lo squalo (1975) in poi, vede come protagonisti il mare e i suoi pericolosi abitanti (tra questi, L’orca assassina (1977) diretto da Michael Anderson).
Il film ha per protagonista Anne (Tricia O’Neil), un’istruttrice di immersioni subacquee, la quale, dopo una serie di morti violente e misteriose, scopre che le acque dell’isola dei Caraibi dove lavora sono infestate da pesci geneticamente modificati dotati di una particolare aggressività.
Pur mostrando limiti evidenti, la pellicola mette in luce le capacità registiche di Cameron, che con un piccolo budget a disposizione riesce a far risaltare una serie di elementi spesso ricorrenti nelle sue future opere sia di finzione che documentaristiche, come la presenza del mare e il gusto particolare per le riprese subacquee.

Il successo internazionale con Terminator
Due anni dopo il debutto cinematografico, per il cineasta canadese giunge l’ora di girare un nuovo lungometraggio, di cui peraltro aveva già immaginato la storia durante la lavorazione di Piraña paura.
Parliamo di Terminator (1984), sci-fi d’azione ambientato, tra sfumature cyberpunk e scenari post-apocalittici, in una Los Angeles notturna e distopica. La storia vede contrapposti il cyborg Terminator (Arnold Schwarzenegger), al servizio della rete d’intelligenza artificiale Skynet, e l’umano Kyle Reese (Michael Biehn), i quali, direttamente provenienti dal 2029, sono entrambi alla ricerca di Sarah Connor (Linda Hamilton). Il primo ha l’incarico di uccidere la donna, il secondo quello di salvarle la vita. Il tutto perché Sarah è destinata a partorire il futuro capo della resistenza umana che un giorno impedirà alla stessa Skynet di prendere il sopravvento sull’umanità dopo aver scatenato un conflitto nucleare.
Nonostante il budget risicato (circa 6 milioni di dollari), Terminator si rivela un grande successo che mette in scena quella lotta uomo-robot già anticipata in Xenogenesis. Il racconto sospeso tra presente e futuro – sceneggiato direttamente da Cameron assieme a Gale Anne Hurd – colpisce il pubblico e gran parte della critica. L’inquietante espressione monolitica di Schwarzenegger, la regia dinamica e densa di suspense e una sottotrama romantica che, smarcandosi dagli stilemi narrativi di un certo cinema americano, anziché indebolire il plot principale, ne rafforza la struttura, contribuiscono a fare dell’opera seconda del regista canadese un autentico cult-movie che, a sua volta, darà vita a una lunga saga a oggi composta da altri cinque lungometraggi cinematografici e una serie televisiva.

Aliens – Scontro finale
I kolossal di James Cameron – La sfida vinta: Aliens – Scontro finale
Grazie alla consacrazione ottenuta con Terminator, Cameron, dopo aver partecipato alla sceneggiatura del film Rambo 2 – La vendetta (1985) di George Pan Cosmatos, ottiene la possibilità di girare la sua terza pellicola.
Si tratta di Aliens – Scontro finale (1986), secondo paragrafo della tetralogia iniziata dall’ottimo Alien (1979) di Ridley Scott.
La trama, costituendo una sorta di continuum col capitolo iniziale, vede come protagonista la tenente Ellen Ripley (Sigourney Weaver) – unica sopravvissuta dell’equipaggio spaziale sterminato dall’alieno del racconto scottiano – la quale, dopo 57 anni di ipersonno, viene mandata sul pianeta LV 426 dove si trova una colonia di umani con cui si sono misteriosamente interrotti i contatti. Una volta lì, Ripley scoprirà che il pianeta stesso è infestato dagli xenomorfi, creature parassite simili a quella già affrontata in passato.
Con Aliens – Scontro finale, James Cameron accetta una sfida importante e non priva di insidie. Si tratta, infatti, di dare prosecuzione a un film di grande successo già assurto a cult fantascientifico. Il rischio di deludere le aspettative potrebbe intimidire molti. Non però il regista canadese, il quale, facendo ricorso a degli ottimi effetti speciali e riprendendo alcuni dei temi già accennati in Xenogenesis (l’universo high-tech, la protagonista femminile dal carattere forte e risoluto), realizza con mano ferma uno sci-fi/action teso e serrato, caratterizzato dal climax ascendente mozzafiato e arricchito dalla grande interpretazione di Sigourney Weaver.
Il lungometraggio ottiene un eccellente riscontro di critica e pubblico. Infatti, mentre al botteghino, a fronte di un budget di 18 milioni di dollari, incassa la complessiva somma di circa 130 milioni di dollari, agli Oscar 1987 ottiene l’ambito premio per i migliori effetti speciali e per il miglior montaggio sonoro. Un successo, questo, che incoraggerà la produzione di altre due pellicole della saga: Alien³ (1992) di David Fincher e Alien – La clonazione (1997) di Jean-Pierre Jeunet.

James Cameron e la passione per le profondità del mare: The Abyss
A tre anni da Aliens – Scontro finale, James Cameron realizza The Abyss (1989), claustrofobico racconto d’avventura girato sullo sfondo della Guerra Fredda e della minaccia atomica, in cui si narrano le vicende di un gruppo di persone su di una piattaforma sottomarina – tra cui Virgil ‘Bud’ Brigman (Ed Harris), l’ex moglie Lindsey Brigman (Mary Elizabeth Mastrantonio) ed il tenente Hiram Coffey (Michael Biehn) – chiamate alle operazioni di recupero di un sommergibile nucleare colato a picco a 7500 metri di profondità nel Mar dei Caraibi. Nel corso dei lavori, si verificherà un grave incidente alla piattaforma stessa, mentre alcuni dei protagonisti, entrati in contrasto tra loro, verranno a contatto con una misteriosa entità subacquea.
Considerato da molti tra le migliori opere di Cameron – ma ritenuto anche il suo film più sottovalutato -, The Abyss – vincitore del Premio Oscar 1990 per i migliori effetti speciali – sviluppa quell’interesse/amore del regista canadese per il mare e le sue profondità già manifestato en passant in Piraña paura. Il racconto, infatti, è ricco di suggestive immagini sottomarine che confermano come l’acqua sia l’elemento fondante del suo cinema (su tutti, si vedano Titanic (1997) e i documentari di inizio del terzo millennio). Restano le presenze aliene, ma la loro natura, rispetto al passato, è benigna, come a voler rimarcare il valore positivo della diversità. D’altronde, nell’ambito di una possibile catastrofe nucleare, quelli “cattivi” sono possono che essere gli umani; quantomeno coloro che nel pregiudizio e nella contrapposizione fondano il proprio insano sistema di relazioni.

Il ritorno alle origini: Terminator 2 – Il giorno del giudizio
Nel 1991, per James Cameron giunge il momento di tentare di doppiare il successo del primo Terminator. Il regista canadese gira infatti Terminator 2 – Il giorno del giudizio (1991), sequel del film del 1984, in cui Sarah Connor (Linda Hamilton), creduta pazza per le sue apocalittiche affermazioni su di un imminente disastro nucleare, si trova rinchiusa in un ospedale psichiatrico, mentre suo figlio John (Edward Furlong), adolescente sveglio e inquieto, nonché futuro capo della resistenza contro i cyborg, vive in affido presso un’altra famiglia. L’arrivo dal futuro di due androidi – l’uno (Robert Patrick) col compito di assassinare il ragazzo, l’altro (Arnold Schwarzenegger) con quello di proteggerlo – sovvertirà le cose e trasformerà madre e figlio in due autentici eroi.
Con un budget a disposizione di circa 100 milioni di dollari, James Cameron realizza un sontuoso secondo episodio del fortunato franchise giocando inizialmente sulla straniante inversione di ruolo del personaggio incarnato da Schwarzenegger, il quale, dismessi i panni del villain del primo Terminator, assume le vesti del cyborg buono. Impreziosito dagli straordinari effetti speciali, l’opus cameroniano n. 5 si rivela visivamente sfolgorante. L’alta spettacolarità del consistente plot action e il ritmo serrato non impediscono, tuttavia, un efficace scavo psicologico dei protagonisti (in specie, madre e figlio), consentendo così al giovane Furlong di dar dimostrazione di quel grande talento attoriale che ritroveremo in film come American History X (1998).
T2 riscuote un enorme successo di pubblico, incassando una cifra superiore ai 500 milioni di dollari. E agli Oscar 1992 riceverà ben 4 statuette per gli effetti speciali, il trucco, il sonoro e il montaggio sonoro, dopo essere stato candidato anche per la miglior fotografia e il miglior montaggio.

Il passaggio alla commedia d’azione con True Lies
Tre anni dopo Terminator 2 – Il giorno del giudizio, il regista canadese torna sul grande schermo con un’action-comedy che si rifà al film-commedia francese La totale! (1991) di Claude Zidi. Parliamo di True Lies (1994), pellicola in cui il protagonista Harry Tasker (Arnold Schwarzenegger), creduto un soporifero rappresentante di dispositivi informatici dalla moglie Helen (Jamie Lee Curtis) e dalla figlia Dana (Eliza Dushku), si scopre essere in realtà un ultradinamico agente segreto che finirà per coinvolgere l’intera famiglia nelle sue pericolosissime missioni.
Cameron alleggerisce decisamente i toni con questo lungometraggio ad alta intensità spettacolare che, giocando tra humour e azione, segna la terza (e ultima) collaborazione con l’ormai star hollywoodiana Arnold Schwarzenegger. Il budget però resta decisamente pesante, risultando True Lies il primo film della storia a superare il costo di 100 milioni di dollari. Una somma tutto sommato ben investita, se è vero che la pellicola, a fronte della non entusiastica accoglienza della critica, incasserà complessivamente quasi 380 milioni di dollari.

La consacrazione di James Cameron con il kolossal Titanic
Il 1997 rappresenta per James Cameron l’anno della definitiva consacrazione. È allora, infatti, che lo stesso cineasta fa uscire nelle sale cinematografiche il suo Titanic, epico racconto in cui, nel corso del famigerato, tragico viaggio del transatlantico che dà il nome al film, si narrano, in un lungo flash-back, le vicende sentimentali improntate all’omnia vincit amor tra l’altolocata Rose DeWitt Bukater (Kate Winslet), viaggiatrice di prima classe, e l’artista squattrinato Jack Dawson (Leonardo Di Caprio), relegato alla terza.
Al di là della storia romantica, comunque abilmente raccontata, ciò che più colpisce di Titanic non può che essere lo spettacolare impianto visivo, esaltato – come ormai di prassi nei film cameroniani – dagli effetti speciali a dir poco eccezionali e dalla cura assoluta dei dettagli (frutto di anni di ricerche e studi basati su immagini e reperti del relitto, disegni, simulazioni e consulenze di esperti vari) attraverso cui lo stesso regista mette in mostra la sontuosa, minuziosissima ricostruzione a grandezza naturale del transatlantico britannico, descrivendone con tragico realismo il naufragio avvenuto il 15 aprile 1912.
Titanic richiederà per la sua realizzazione uno sforzo produttivo di circa 200 milioni di dollari, a cui bisognerà aggiungerne altri 85 per la promozione. Un investimento molto ben ripagato, dal momento che il lungometraggio si trasformerà presto in un autentico fenomeno di massa che, attirando spettatori in ogni parte del mondo, lo porterà all’incasso complessivo dell’eccezionale cifra di 2,2 miliardi di dollari circa.
Ad oggi, Titanic risulta il terzo film di ogni tempo per somma incassata, superato soltanto da Avatar (2009) dello stesso Cameron – di cui parleremo qui di seguito – e da Avengers: Endgame (2019) di Anthony e Joe Russo. Il clamoroso successo al botteghino troverà pieno riscontro agli Oscar 1998, dove il film, dopo aver ricevuto 14 candidature, riceverà ben 11 statuette, tra cui quelle per il miglior film, per la miglior regia e – ça va sans dire – per i migliori effetti speciali.
La stagione dei documentari sottomarini
Sazio dei trionfi cinematografici del suo ultimo lungometraggio, James Cameron sceglie di allontanarsi temporaneamente dai racconti di fiction per dedicarsi completamente alla sua passione per le riprese subacquee. Ed è così che il cineasta realizza una serie di documentari sul mondo sottomarino che lo terranno occupato per gran parte dell’inizio del primo decennio degli anni 2000. Tra questi, spicca Ghost of the Abyss (2003), con cui il regista canadese, a sei anni distanza da Titanic, torna a filmare il relitto dell’omonimo transatlantico.

Avatar e i record d’incassi
Il ritorno al cinema di fiction da parte di Cameron avviene nel 2009, allorquando esce nelle sale cinematografiche Avatar, sci-fi d’azione ambientato sul pianeta Pandora popolato dalle creature Na’vi, che vede impegnato il clan Na’vi degli Omaticaya nella strenua difesa del proprio territorio incontaminato.
Quest’ultimo, infatti, è oggetto delle mire profittatrici della compagnia interplanetaria terrestre RDA, la quale, capitanata dal cinico colonnello Miles Quaritch (Stephen Lang), vuol farne proprie le preziose risorse anche a costo di sterminarne gli abitanti.
Il tutto sullo sfondo della storia d’amore tra Neytiri (Zoe Saldana), principessa degli Omaticaya, e l’umano Jake Sully (Sam Worthington), ex marine prima al servizio della RDA e ora convertitosi alla causa Na’vi, il quale assieme alla direttrice del programma “Avatar” Grace Augustine (Sigourney Weaver) aiuterà la popolazione indigena a impedire che i famelici speculatori raggiungano il proprio scopo.
Attraverso un racconto dal forte messaggio ecologista e anti-imperialista, James Cameron si richiama ai temi dell’attualità legati all’equilibrio uomo-natura, ai limiti della rincorsa al profitto e al diritto dei popoli indigeni ai propri territori ancestrali, ricorrendo – come sua consuetudine – al magistrale utilizzo degli effetti speciali che, esaltati dalla tecnologia 3D, regalano al pubblico in sala una straordinaria esperienza immersiva.
Ed è proprio per questo che la vittoria degli Oscar 2010 per i migliori effetti speciali, per la miglior fotografia e per la miglior scenografia appare persino scontata: Avatar è pura esaltazione visiva, autentica delizia dello sguardo. E poco importa se la trama appare stereotipata, se le caratterizzazioni dei personaggi risultano deboli. Al di là di tutto, quel che conta è lo spettacolare viaggio di tre ore che la pellicola offre ai suoi spettatori.
La produzione del film richiede un budget monstre di 237 milioni di dollari, ma il riscontro al botteghino è davvero straordinario: il film batte ogni record d’incasso (2,79 miliardi di dollari), superando anche il suo predecessore Titanic e venendo scavalcato solo da Avengers: Endgame, che nel 2019 raggiunge la somma di 2,8 miliardi di dollari. Si tratterà soltanto di un dato passeggero. Infatti, grazie ad un nuovo ciclo di proiezioni per il mercato cinese nel 2021, Avatar riconquisterà il gradino più alto del podio, tornando ad essere il film più “ricco” della storia del cinema.
Ora non ci resta che attendere di poter assistere alla proiezione del nuovo Avatar: La via dell’acqua, film sequel del kolossal del 2009 che già nel titolo rinnova il connubio tra James Cameron e il suo elemento preferito; e che, visti i suoi immediati predecessori, non potrà non ambire a battere ogni record d’incasso. Sarà dunque lui il nuovo re del box office? In attesa di conoscere la risposta, non possiamo che fare un salto al cinema, grazie a 20th Century Fox, a partire dal 22 settembre per vedere/rivedere il buon vecchio Avatar in versione rimasterizzata.