Un regista giovane e talentuoso, Jonas Carpignano, di padre italiano e madre statunitense nativa delle Barbados: dopo aver vissuto tra New York e Roma per anni, si è ormai stabilito a Gioia Tauro e con A Chiara, selezionato e presentato alla Quinzaine des Réalizateurs 2021, firma il terzo film di una ideale trilogia su temi e personaggi calabresi. I due film precedenti, Mediterranea e A Ciambra, entrambi selezionati e presentati al Festival di Cannes (rispettivamente alla Semaine 2015 e alla Quinzaine 2017), hanno ricevuto premi e riconoscimenti anche in altre manifestazioni cinematografiche, oltre a riscuotere un grande successo di pubblico.
Dedicato A Chiara e alle altre
La giovane Chiara cui è intitolato il film di Carpignano, benché da subito si pensi a una storia realmente accaduta per l’ intensa veridicità delle interpretazioni, è un personaggio di fantasia, che simboleggia i tanti familiari ignari del coinvolgimento dei propri padri, zii e nonni nella criminalità organizzata (alcuni non hanno voluto sapere, altri, come Chiara, erano effettivamente all’oscuro di tutto). Ma la brava esordiente Swamy Rotolo e la sua famiglia sono inserite realmente nel contesto descritto, perché il soggetto del film è stato ideato dal regista italo-americano.
Come molti film sulla mafia, A Chiara inizia con scene di gioiosa serenità nella vita quotidiana di una famiglia calabrese, seguite da una grande festa di compleanno, il raggiungimento della maggiore età di una delle figlie. Si presentano i personaggi: una madre casalinga, un padre affettuosamente presente, tre figlie, Chiara, quindici anni, Giulia, che ne compie diciotto, e Giorgia, la piccola di casa. La prima parte del film celebra dunque la serenità e il benessere, anche economico, della famiglia. Finché qualcosa accade. Chiara va a fumare di nascosto una sigaretta con un’amica e al suo ritorno vede esplodere la macchina di famiglia mentre, contemporaneamente, suo padre fugge a piedi scavalcando un muro e dandosi così alla latitanza.
Dall’adolescenza all’età adulta
Da questo momento il film cambia tonalità e colori: si fa da parte, per Chiara, il mondo spensierato dell’adolescenza, delle risate, delle amiche e del rumore, e si fanno strada i suoni del sospetto, mentre si aprono le porte dell’oscurità e a poco a poco la ragazza apre gli occhi sulla verità, che nessuno vuole dirle, che nessuno osa pronunciare, mentre inizia la sua indagine personale in solitudine alla ricerca del padre, in luoghi oscuri e segreti: il nascondiglio sotto la casa, i luoghi dello spaccio, i video sui social che dipingono suo padre come latitante dedito al traffico di droga. Quello che compie Chiara è un vero e proprio viaggio agli inferi, ma anche una formazione ‘sul campo’ all’età adulta: in questa esplorazione perde il volto dell’innocenza e abbraccia le responsabilità dell’essere adulti, con le sue ferite aperte.
Una realtà ambivalente, difficile da descrivere
A Chiara racconta non una, ma tante storie, e solo in parte si sofferma sulle vicende della Ndrangheta calabrese, che pure costituiscono il gravoso sottofondo e rendono l’atmosfera cupa e spessa. Lo sguardo del regista vuole raggiungere piuttosto il cuore degli spettatori e porre la loro attenzione sul lato umano che esiste in ciascuno dei personaggi, compreso il padre, che piange per la commozione al compleanno della figlia e si trincera dietro alla necessità (“per gli altri la mafia è un problema, per noi è questione di sopravvivenza”), insieme a tutti i giovani dei quartieri come la Ciambra, cresciuti troppo in fretta e senza riferimenti, e ai familiari di chi è coinvolto nella criminalità, come Chiara e le sue sorelle.
Lo spaccato descritto da Carpignano è composito: da un lato l’amore innegabile del padre mafioso e della madre connivente per le figlie, dall’altro il degrado socio-ambientale in cui ci si trova inevitabilmente a crescere e l’assenza di opportunità che rappresentino reali agganci a un diverso tipo di vita. Infine la necessità, o forse l’alibi della necessità, legata alla possibilità di guadagnare in modo ‘facile’: 220 mila euro in un‘ora, ‘solo’ impacchettando e trasferendo la droga. Gioca infine il meccanismo psicologico della minimizzazione, che sgrava dalle responsabilità. “Io non uccido nessuno e non vendo droga”, risponde il padre alla figlia che gli chiede conto del suo ruolo nell’organizzazione, come se essere responsabili di un solo segmento del processo, non fosse di per sé criminoso e rappresentasse elemento sufficiente per mettere a tacere la propria coscienza.
La verità a ogni costo
Chiara verrà a sapere tutto e troverà il padre che vive in un buco sotto terra, lo guarderà negli occhi e vorrà sapere i fatti dalla sua stessa voce. Solo allora potrà prendere la sua decisione. Infatti, nel frattempo, la ragazza viene contattata dai Servizi Sociali per le sue continue assenze a scuola e, come prevede la legge italiana per allontanare i minorenni dai luoghi di mafia, può essere inserita in un programma di affido a un’altra famiglia in una città, possibilmente lontana – nessuno sa dove – per cominciare una nuova vita e spezzare una catena che si potrebbe tramandare di padre in figlio. Ma non è una decisione facile, e Chiara fugge una prima volta dal treno e da sé stessa.
A Chiara è un film denso e fluido, che si lascia guardare tutto d’un fiato, che racconta con sguardo coinvolto e non giudicante un luogo e una situazione del nostro Paese, pur tanto drammatici, aumentando di ritmo – ottimo il lavoro sul suono – insieme alle scoperte e al battito cardiaco della protagonista, che rappresenta in qualche modo tante ragazze e ragazzi di Gioia Tauro.
Il film uscirà in Italia distribuito da Lucky Red in collaborazione con Academy Two.
Annette l’amore e l’odio secondo Leo Carax