Un moderno Sofocle in Amare amaro. Intervista al regista Julien Paolini
"Amare amaro" cerca di portare al giorno d'oggi la tragedia greca di Sofocle "Antigone". Per capire meglio le intenzioni del film ci ha aiutati il regista Julien Paolini
Disponibile dal 15 febbraio su Prime Video e distribuito da 102 Distribution, Amare amaro è la trasposizione sullo schermo della commedia greca di Sofocle. Per capirla meglio abbiamo fatto quattro chiacchiere con il regista Julien Paolini.
Qualche domanda a Julien Paolini per Amare amaro
Innanzitutto volevo chiederti il perché di questo film o meglio perché hai scelto proprio questo testo e lo hai trasportato in un altro luogo e in un altro tempo? Ti senti in qualche modo legato in prima persona alla storia?
Nei progetti che scrivo e nei film che faccio c’è sempre la volontà di parlare del mondo di oggi che è un mondo un po’ contrastato e con tempi particolari. E cerco di parlare anche dell’umano e dell’umanità. E del fatto che spesso la società nei suoi meccanismi è inumana e Antigone di Sofocle ha permesso questa cosa. Per me è (stato) un esercizio: riuscire a raccontare una cosa del genere usando un testo classico e antico per far vedere che non è cambiato nulla perché si tratta di un’opera e di una storia super attuale anche al giorno d’oggi.
Si può dire quindi che hai voluto raccontare la tua vita, quella di Julien Paolini attraverso Amare amaro?
Sì, io sono figlio di un immigrato italiano in Francia per cui sono cresciuto tra i due paesi. Sono nato in Italia e sono arrivato in Francia a 7/8 anni. Sono cresciuto nella periferia parigina dove c’erano molti come me, figli di immigrati. E anche dove una piccola società multi identitaria e multiculturale ha sempre sofferto di un rapporto particolare legato all’integrazione e alla differenza. Si tratta di qualcosa di non risolto, una pace che non è stata fatta con il passato e con la storia coloniale del paese. Mentre in Sicilia c’è un rapporto più semplice con queste cose perché la regione è stata invasa da tanti popoli e dunque è multi identitaria e multi culturale per definizione. Quando ho cominciato a capire questo luogo e viverlo mi sono innamorato del fatto di essere a casa anche essendo lontano da casa.
In base a quello che hai detto in Amare amaro c’è un personaggio che può fare le tue veci e può essere considerato Julien Paolini?
Il personaggio protagonista di Gaetano è l’incarnazione della figura dello straniero. Ma anche di chi ha condiviso due culture e due identità. E che soffre per questo. Alla fine è il mio modello invertito. Io quando sono in Francia non rappresento l’italiano. Forse era mio padre che rappresentava meglio il personaggio di Gaetano per il fatto di essere uno straniero, ma anche per via dell’accento, dell’apparenza. In Amare amaro si mette in scena il francese in Italia. Io, invece, ho vissuto l’esperienza opposta: famiglia italiana in Francia.
Un aspetto tecnico che ho apprezzato particolarmente è quello dei silenzi frequenti, spesso uniti ad una fotografia molto bella che mostra i paesaggi, a volte quasi disabitati. Ho avuto l’impressione che volessi quasi lasciar parlare loro invece di dare una tua opinione.
Era un modo, ancora una volta, per parlare del mondo di oggi. L’atmosfera di un mondo piuttosto inumano, freddo, nel quale il personaggio si ritrova perché anche lui, da bravo siciliano, non parla molto, non fa sapere i propri sentimenti. C’è questa cosa un po’ acerba anche in lui. E questo si mescola con una grande poesia e malinconia presente in quella Sicilia invernale che non conosciamo solitamente. Ma anche perché come dicevo all’inizio, ho vissuto in periferia e il film è girato nella periferia di Palermo dove è ancora più evidente questa poesia del vivere ai margini della città e del mondo. Ed è un’atmosfera che mi piace molto.
Infatti, anche se è chiaro che è ambientato ai giorni nostri, non ci sono riferimenti moderni.
Questa è un’altra cosa che istintivamente fa parte delle scelte registiche. Mi viene naturale. Il fatto di non mettere tecnologie, di non dare un senso preciso al tempo e non capire se è oggi o non è oggi cerco di inserirlo in ogni mio film. Perché alla fine i film belli, quelli che mi hanno dato la voglia di fare il regista erano quelli eterni, quelli universali che poi sono diventati dei classici. C’è sempre questa volontà e, per me, la cosa più bella sarebbe che questo film diventasse un classico in grado di attraversare i tempi.
L’altro aspetto che mi è piaciuto è l’aver mantenuto la teatralità o almeno questo è quello che ho percepito io. Spesso le inquadrature sono statiche e anche i personaggi che hanno, però, il compito di smuovere la scena con i loro dialoghi. Come mai questa scelta?
Mi ero reso conto adattandolo il film che nel suo DNA doveva avere qualcosa della tragedia greca, del teatro greco. Questo si sposava molto bene con il fatto che io amo le figure del western che fanno il cinema popolare e le figure dello straniero, della sindaca, del maresciallo, della fidanzata dell’eroe che si scontrano e si confrontano hanno proprio questa teatralità e mi è piaciuto usarla per dare un senso di western al film.
Il fatto che il film nasca da un’opera per il teatro ha influito.
Sì, me ne sono reso conto non quando ho iniziato il progetto, ma preparandolo. Quando stavo cercando di capire quale sarebbe stato lo stile del film mi sono reso conto che non potevo lasciare andare una regia moderna e giovane, anche se è il primo film lungo che giro e ho 34 anni. C’era questo fatto che il DNA del film era quello e ho sposato completamente questa cosa.
Vorrei chiederti qualcosa sulla frase “Il mio uomo non parla, ma agisce” che, secondo me, segna la spaccatura e la divisione in due della storia e anche il cambiamento di Gaetano che smette di subire e basta.
Alcune interviste, come questa, mi danno la possibilità di riscoprire il film tramite altri punti di vista. In questo caso il tuo perché davvero non l’avevo visualizzato come un punto di partenza di un’altra parte del film. È simbolico del personaggio, del suo rapporto in generale con le sue lotte, le sue passioni e il suo rapporto amoroso, ma questa frase non era nata per essere un momento di svolta. Però mi piace, adesso lo riguarderò con questa prospettiva nuova.
Le tematiche del film
Tornando a uno dei temi centrali, quello del “contrasto” tra due paesi e due mondi diversi, ho notato che esso è “enfatizzato” oltre che dalla lingua anche dai modi di fare. Si tratta di una cosa voluta o di qualcosa che è nato, quasi per caso, ma che alla fine si è imposto sullo schermo? Perché secondo me è evidente la differenza tra Italia e Francia. E si percepisce comunque un influsso francese.
La battuta che hai citato prima era la definizione del personaggio, ma anche di eroi veri, che hanno lottato e lottano, come, appunto, Gaetano. Per rappresentarlo c’era la volontà di fare un film più silenzioso nel quale chi si esprime alla fine non fa e chi non si esprime, invece, fa e va in fondo, lasciando una traccia. Alla fine era più quella la direzione. Per quanto riguarda l’influenza francese è buffo perché qui in Francia quando è uscito hanno detto che ci sono influenze italiane. E, quindi, dipende sempre dal punto di vista. Si tratta comunque di un film prodotto in Francia in lingua italiana che, come me, non ha un’identità chiara.
Un altro tema è il rapporto della famiglia, sia tra padre e figlio che tra fratelli. Quest’ultimo è un rapporto che cambia dopo la morte di uno dei due. Julien Paolini si è basato solo sul testo di Sofocle o ha preso spunto da qualche altra situazione o aspetto per Amare amaro?
Con lo sceneggiatore Samy Baaroun con il quale ho adattato Antigone c’era la volontà di lavorare sulle leggi della famiglia opposte a quelle della società. Questo faceva parte di quello che ci piaceva di più. Sono tematiche che mi ispirano molto, sulle quali lavoro perché, secondo me, sono al cuore del modo di essere della società italiana e spesso qui, vivendo in Francia, fanno parte anche dei cliché degli italiani. Mi è sempre interessato parlare di questo. Anche i miei prossimi film parleranno di famiglia e di legami familiari.
Quindi è un aspetto che torna?
Sì, poi il senso di Antigone era più che le leggi della famiglia, le leggi della morale e della natura, viste anche in modo cristiano per cui c’è anche questa essenza qua: un insieme di valori morali.
E a questo proposito un altro tema, che, in qualche modo, ne è la diretta conseguenza, è l’accettazione di sé e degli altri. L’accettazione in quanto diverso, ma catapultato, per scelta o meno, in una realtà nuova e l’accettazione dell’altro sia dal punto di vista dell’estraneo che del non estraneo costretto ad entrare in contatto con il nuovo. Cosa ha significato per te dirigere un aspetto del genere e far vedere entrambi i punti di vista?
È stata la cosa più difficile che abbia fatto prima d’ora. Non è stato un set facile perché molto intenso e alla fine si è trattato di cinema indipendente, quindi si fanno tante cose in poco tempo con tanti attori e tanti personaggi. Il risultato è un film corale in due lingue con una squadra italiana e francese. C’erano tanti punti da gestire. Sicuramente la considero l’esperienza più interessante, ma anche la più difficile che ho avuto in questa giovane carriera di regista.
Verso la conclusione torno invece all’inizio e ti vorrei chiedere di dirci qualcosa sulla frase che hai scelto “un uomo morto non ha bisogno di essere ucciso due volte”. L’hai scelta solo ed unicamente per legarla alla storia o vuole essere un monito in generale allo spettatore?
È una frase pazzesca di Sofocle che ho scoperto solo dopo, ma che riassumeva perfettamente l’idea. Sul fatto che il personaggio non andava ucciso moralmente di nuovo, ma andava rispettato il suo nome. E anche se alla fine Gaetano non adorava suo fratello, una persona da non apprezzare moralmente, però pensava che dovesse comunque essere onorato della morte. Mi è piaciuta tantissimo ed è diventata la frase iniziale. Poi la scelta finale di montaggio è stata non mettere “tratto da Antigone”, ma solo questa frase in grado di dare comunque un grande spunto.
Il rapporto dell’autore con l’opera
Che rapporto ha Julien Paolini con Sofocle? E con L’Antigone?
Come tutti conoscevo l’Antigone. L’avevo letta e studiata negli anni in cui ero alla scuola di attori. Per studiare cinema facevo teatro, in una scuola a Parigi. Quando c’è stata la volontà di raccontare queste tematiche il testo di Antigone è stata un’idea dello sceneggiatore. E tutto è nato proprio come un esercizio. Io non sono un appassionato né di Sofocle, né della tragedia stessa. Per quello è nata la volontà di avere il coro che dava ossigeno alla tragedia, portando anche un po’ di commedia nel film con interludi e parentesi.
E la musica è una delle prime cose che si nota a tal proposito.
Quello della musica è uno spunto molto bello, prima dello sceneggiatore, ma anche del compositore Pasquale Filastò (che ha lavorato con Nicola Piovani per la musica de La vita è bella, La camera del figlio). È stato lui che durante il montaggio, piano piano, ha sottolineato la comicità tramite la musica e ha portato un equilibrio nel film.
E la cosa bella è che non stona.
Se ho la fortuna di andare avanti e fare altri film, Amare amaro credo sarà uno dei miei film più intellettualizzanti e colti. Io stesso, da spettatore, quando ho finito di montarlo ero sorpreso di vedere un film che non mi aspettavo sarebbe stato così. Questo perché è nato da una piccola parte che il regista non può ammaestrare perché nasce da sola. Gli attori portavano delle emozioni che andavano preservate dal piano sequenza. E tutto questo ha fatto sì che il film fosse costruito con questo senso di non modernità e un certo fascino in un’atmosfera particolare. E poi i mezzi di un primo film indipendente con budget ridotto hanno influito. Forse con più mezzi avrebbe avuto più inquadrature e un ritmo più rapido. Anche questi sono stati elementi che non ho potuto controllare.
C’è un autore, un regista al quale Julien Paolini si è ispirato per Amare amaro o al quale si ispira in generale?
Ce ne sono davvero tanti. Un paio da citare sarebbero Michael Cimino, che ha fatto film pazzeschi che sono spesso film lirici, romantici ma che raccontano l’umanità dell’uomo con questi personaggi spesso marginali. Ecco, quella è una grande influenza e in quel caso i film sono western moderni. Ma anche tutta l’affiliazione a Francis Ford Coppola che risale fino a James Gray, registi e autori che raccontavano la famiglia e facevano un cinema che analizzava la società e il tempo. Oggi, però, secondo me i registi più bravi sono italiani con Garrone e Sorrentino, che fanno un cinema interessante e accattivante. Sorrentino, in particolare, racconta la società italiana come nessuno penso l’abbia raccontata prima.
Progetti futuri per Julien Paolini dopo Amare amaro?
Al momento sto facendo i compiti di scrittura, prima di poter girare film. Ci sono due progetti, uno legato a Amare amaro, anche prima che questo uscisse e che ora sta andando avanti. Si tratta di un film di mafia che parla del traffico dei migranti che portiamo avanti in Sicilia con il produttore Vincenzo Cusumano. Anche questo ha un DNA della tragedia e della Sicilia, ma ora mi rendo conto che sta diventando un film di mafia più entertaining. L’altra è una fiction, che sto scrivendo insieme a un altro regista, di cui non posso dire ancora nulla.
Amare amaro è prodotto da Rosebud Entertainment Pictures, Scirocco Films, La Réserve, con il sostegno di Sicilia Film Commission.
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