fbpx
Connect with us

Approfondimenti

Cinema Palestina: 20 Film palestinesi da vedere

In virtù dei recenti avvenimenti storici, apriamo una finestra su una cinematografia che, per varie ragioni, risulta ancora poco visibile in Occidente.

Pubblicato

il

Cinema Palestina: 20 film da vedere

Cinema Palestina: 20 Film palestinesi da vedere. Quali titoli consigliereste?

Da qualche decennio vengono proposti nelle sale e in streaming film ambientati in Palestina – pochi a onor del vero – che evidenziano in maniera a volte tragica, a volte grottesca, i numerosi e gravi problemi che affliggono questa terra dove, ormai da più di settant’anni, si sta consumando un dramma che, per molti aspetti, può essere paragonato a un vero e proprio genocidio.

Uno stato di oppressione crescente provocato dalle politiche espansionistiche dei vari governi israeliani che negli anni si sono succeduti – con la colpevole assenza del mondo occidentale – e che mai hanno riconosciuto il diritto ai palestinesi di vivere in pace uno stato proprio.  Conflittualità che è andata aumentando a causa della costruzione di un muro della lunghezza complessiva di oltre 700 km che segrega la popolazione araba in una vera e propria prigione a cielo aperto.

È comprensibile come, in tali condizioni, con una ridotta libertà di movimento e limitati budget a disposizione, per i registi palestinesi fare film sia un’impresa estremamente complessa, oseremmo dire eccezionale.

La Palestina: un tema trattato da cineasti di tutto il mondo

Fortunatamente di Palestina hanno trattato anche cineasti di altre nazioni. Spesso si tratta di registi israeliani come, ad esempio, Uri Barbash (Oltre le sbarre, 1984; Terra di conquista, 1987); Eran Riklis (Finale di coppa, 1991; Il giardino di limoni, 2008); Amos Gitai (Guerra e pace a Vesoul, 1997 realizzato a quattro mani con il regista palestinese Elia Suleiman; Free Zone, 2005; Ana Arabia, 2013); Ari Folman (Valzer con Bashir, 2008).

Ma anche filmaker di altre nazioni hanno sentito l’esigenza e il dovere di documentare, con opere di fiction o documentari, il dramma della Palestina e del suo popolo.

Ricordando che di Palestina si era già occupato Pier Paolo Pasolini oltre cinquant’anni or sono in Sopralluoghi in Palestina per il Vangelo secondo Matteo (1965), è doveroso citare fra gli altri, in un elenco ben poco esaustivo, gli statunitensi Oliver Stone che, con il suo Persona non grata (2003) ha realizzato un ritratto dello storico leader palestinese Yasser Arafat e Julian Schnabel (Miral, 2010)  gli italiani Saverio Costanzo (Private, 2004); Pippo Delbono (Guerra, 2004); Barbara Cupisti (Madri, 2007; Vietato sognare, 2008); Stefano Savona (Piombo fuso, 2009); Maurizio Fantoni Minella (Caos totale, 2010; Il lato d’ombra, 2011, A est di Gerusalemme, 2011); Marco Proserpio (L’uomo che rubò Banksy, 2018); il libanese Ziad Doueiri (L’insulto, 2017). Oltre al film collettivo Lettere dalla Palestina (2002) realizzato da un nutrito gruppo di registi italiani: Franco Angeli, Giuliana Berlinguer, Maurizio Carrassi, Giuliana Gamba, Roberto Gianarelli, Wilma Labate, Francesco Ranieri Martinotti, Citto Maselli, Mario Monicelli, Ettore Scola, Fulvio Wetzl.

Il cinema palestinese nel nuovo millennio

Ma è nel 2002, con ancora in corso la seconda intifada, che il cinema palestinese fatto da registi palestinesi, è assurto agli onori della cronaca. Allorché il film Intervento divino, di Elia Suleiman, ottenne la nomination all’Oscar come miglior film in lingua straniera. Sfortunatamente l’Academy ne rifiutò la candidatura in quanto, secondo la motivazione ufficiale, potevano essere accettati solo film “provenienti da paesi riconosciuti come Stati dall’ONU”.

Una linea abbandonata dalla stessa Academy quando, nel 2006, accettò come candidato alla “statuetta” come miglior film in lingua straniera Paradise Now, di Hany Abu-Assad, regista palestinese nato a Nazareth e di passaporto israeliano. Quell’anno Paradise Now non vinse l’Oscar, ma venne comunque acclamato a livello internazionale vincendo numerosi premi – fra cui il Golden Globe – e rendendo visibile una cinematografia che aveva e ha tutt’ora enormi problemi di visibilità.

Visibilità che è, probabilmente, la maggior fonte di preoccupazione dei cineasti palestinesi. Infatti, come scrive lo studioso Edward Said, nell’introduzione al saggio sul cinema palestinese “Dreams of a Nation – On Palestinian Cinema” di Hamid Dabashi ( 2007): “Tutta la storia della lotta palestinese ha a che fare con il desiderio di essere visibili”.

È con questa aspirazione che si può spiegare come, a partire dal 2000, ci sia stato una nuova ondata di cineasti che hanno permesso al mondo di conoscere una cinematografia profondamente radicata nella propria terra che mostrava, in molti modi e con svariate tematiche, le problematiche che, a partire dal 1948, anno della nascita ufficiale dello Stato di Israele, affliggono questo lembo di terra affacciato sul Mediterraneo.

Brevi cenni sulla storia del cinema in Palestina

Ma il cinema palestinese, per quanto minoritario, era già presente da anni nel panorama mondiale, anche se in Europa – e in particolare in Italia dove tuttora i film palestinesi stentano ad avere mercato – prima del nuovo millennio difficilmente ha trovato spazio.

È possibile individuare alcuni periodi distinti nella cinematografia palestinese. Nel saggio “Palestinian Cinema. Landscape, Trauma and Memory” di Nurith Gertz e George Khleifi (2008), ne vengono individuati quattro.

Il primo va dal 1935 al 1948, anno della Nakba (letteralmente la Catastrofe, cioè l’esodo forzato di circa un milione di palestinesi espulsi dalle loro terre e rifugiatisi nei paesi vicini, condannati così a una condizione di perenne povertà e precarietà).

Il secondo, dal 1948 al 1967, che gli autori chiamano “L’epoca del silenzio”, nel quale nessun film palestinese è stato prodotto.

Un terzo periodo è collocabile negli anni fra il 1968 e il 1982, dopo la Guerra dei Sei Giorni e l’occupazione di Gaza e della Cisgiordania, con film prodotti per lo più in esilio.

Infine, un quarto periodo arriva sino ai giorni nostri partendo dall’invasione del Libano da parte di Israele, con i massacri di Sabra e Chatila da parte delle Falangi e di milizie libanesi con la complicità dell’esercito israeliano.

Probabilmente a questi quattro periodi chiave ne andrebbe aggiunto un quinto a partire dal 2000, anno della seconda Intifada, che ha visto la realizzazione di numerosi film con una profonda connotazione politica. Si tratta di film di finzione o documentari che, in molti casi hanno varcato i confini della Palestina approdando in Occidente sia nel mercato cinematografico ufficiale (e come abbiamo visto, in vari Festival in giro per il mondo), sia in circuiti alternativi. A di là del loro valore qualitativo (come tutti i film possono essere più o meno riusciti), rappresentano in ogni caso un modo importante per dare visibilità a un popolo in lotta che, in molti, vorrebbero vedere soccombere definitivamente.

In realtà definire un film come palestinese non è facile, per la natura apolide di un cinema che rappresenta 9,7 milioni di palestinesi sparsi nel mondo (è stimato come quasi il 75% dei palestinesi viva all’estero). Il regista nato a Beirut ma di origini palestinesi Omar al-Qattan definisce “palestinese ogni film impegnato con la Palestina”.

Da questo punto di vista potrebbero essere definiti “palestinesi” anche film realizzati da registi di tutt’altra origine. Tuttavia, in questa breve trattazione, si preferisce concentrarsi su registi nati in Palestina o, in ogni caso, di origine palestinese, individuando per ciascuno, le opere più significative artisticamente parlando ma, anche, per capire il dramma storico che sta vivendo il popolo palestinese.

20 film palestinesi da vedere

Ecco quindi alcuni suggerimenti di pellicole che, a nostro avviso, andrebbero viste per meglio comprendere quanto accade in Palestina e per rendersi conto di quanto sia complessa e drammatica la quotidianità dei palestinesi. Venti film che rappresentano altrettante “immagini al tempo dell’occupazione”.

1-Cronaca di una sparizione (Elia Suleiman, 1996). Primo lungometraggio di uno fra i registi palestinesi più famosi. Nel film lo stesso Suleiman fa ritorno alla nativa Nazareth dopo anni di esilio a New York. Incontrando amici e familiari compirà una sorta di viaggio alla ricerca dell’identità del suo popolo.

2Ticket To Jerusalem (Rashid Masharawi, 2002). Il proiezionista Jaber porta i suoi film in giro per la Palestina, cercando di regalare ai bambini dei campi profughi qualche momento di gioia. Il suo lavoro diventerà ogni giorno più pericoloso con l’inasprirsi della occupazione militare israeliana. Tuttavia Jaber, che non si dà per vinto, cerca di portare avanti un ambizioso progetto: quello di organizzare una proiezione nella zona vecchia di Gerusalemme. Un film, non perfettamente riuscito che resta in bilico fra cinema di finzione e documentario, ma comunque interessante per il particolare tema trattato: il cinema in Palestina, visto come momento di serenità e distacco dall’orrenda quotidianità.

3-Intervento divino (Elia Suleiman, 2002). È il film che consacra Suleiman a livello mondiale. Viene narrata una storia d’amore vissuta al checkpoint fra Nazareth e Ramallah. Intervento divino è un’opera decisamente singolare, costruita sull’utilizzo di nonsense, di numerosi tempi morti e della ripetizione di gesti e situazioni. Opera altamente politica che non disdegna immagini poetiche. Una su tutte: il palloncino rosso con disegnata la faccia di Arafat che si libra a superare il muro e inizia a volare libero sul territorio israeliano. Un film in cui le parole pronunciate sono pochissime (per questo, e per i toni surreali e grotteschi spesso utilizzati, il cinema di Suleiman è stato paragonato a quello di Jacques Tati). D’altra parte le parole non servono al regista (sempre presente come attore nei suoi film) a descrivere la situazione di assoluta immobilità e mancanza di prospettive in cui versa il popolo palestinese.

4-Jenin, Jenin (Mohammed Bakri, 2002). Il film di Bakri (già autore del documentario 1948 (1998) sull’esodo palestinese) ripercorre, attraverso le testimonianze dei diretti interessati, i crimini commessi il 26 aprile 2002 dall’esercito israeliano nei confronti dei profughi palestinesi del campo di Jenin in Cisgiordania. L’attacco dei soldati israeliani venne giustificato col fatto che nel campo si nascondevano terroristi palestinesi. Sta di fatto che a essere uccisi furono numerosi civili, oltre a soldati della Stella di Davide. Per questo film, censurato dall’Israeli Film Rating Board in quanto ritenuto «calunnioso» e rappresentante del solo punto di vista palestinese, Bakri ha dovuto subire numerosi processi. Fra l’altro, le disavventure alle quali è andato incontro sono raccontate nel suo successivo documentario Da quando te ne sei andato (2005).

5-Route 181 – Frammenti di un viaggio in Palestina-Israele (Eyal Sivan, Michel Khleifi, 2003). Documentario fiume della durata di circa quattro ore e mezza, realizzato dall’israeliano Sivan e dal palestinese Khleifi. È un viaggio che, seguendo quella che idealmente era la frontiera tracciata nel 1947 dall’ONU per separare i due stati, percorrendo da nord a sud il paese. I due registi hanno voluto dare il nome a una strada ideale chiamandola con il numero della risoluzione delle Nazioni Unite che sanciva la divisione della Palestina in due stati.  Il film fa emergere le storie, i ricordi, le speranze e le disillusioni di chi vi abita. Si parla di confini: quelli fisici e quelli inculcati nelle menti e nei cuori degli abitanti. In Route 181 lo sguardo dei due registi non è doppio- quello israeliano e quello palestinese – bensì univoco. E rappresenta un messaggio di pace da parte di chi è fermamente convinto che i rapporti fra i due popoli non necessariamente debbano essere segnati sempre ed esclusivamente dalla guerra.

6-Paradise Now (Hany Abu-Assad, 2005). Film agghiacciante per la sua drammaticità. A Nablus Said e Khaled sono amici di lunga data. Condividono tutto e insieme vengono reclutati per compiere attentati suicidi a Tel Aviv. Hany Abu-Assad ne segue i giorni preparatori alla missione finale. Entra nella quotidianità dei due giovani e nella loro intimità. Ne descrive, da un lato le paure, dall’altro il fanatismo religioso – e la disperazione per un futuro inesistente in una terra ormai annientata da decenni di occupazione – che li porta a diventare soldati di Allah. Un film crudo, che coinvolge emotivamente lo spettatore oltre ogni previsione.

7-Il sale di questo mare (Annemarie Jacir, 2007). Primo lungometraggio palestinese girato da una donna non senza difficoltà a causa delle leggi che impedivano agli attori gli spostamenti senza l’autorizzazione israeliana. La Jacir racconta la storia di Soraya, una giovane palestinese residente a Brooklyn che, dopo la morte del padre, decide di tornare a Ramallah dove tenta, inutilmente, di rientrare in possesso dei risparmi del nonno, esiliato durante la Nakba del 1948. Con il ritorno alla terra di origine Soraya inizierà a maturare un senso di ribellione nei confronti delle numerose ingiustizie alle quali è sottoposto il popolo palestinese.  Come accadrà anche nei suoi successivi film, la narrazione di Annemarie Jacir è imperniata sul tema del viaggio. Si tratta di un viaggio sia fisico sia interiore che i personaggi compiono. Qui Soraya (intepretata dalla poetessa di origine palestinese Suheir Hammad). affiancata da Emad (Saleh Bakri) affronta il viaggio che le permetterà di riappropriarsi delle proprie origini, da tempo dimenticate.

8-Il compleanno di Laila (Rashid Masharawi, 2008). Abu Laila è un giudice. Poiché le autorità non gli rinnovano i documenti necessari per poter esercitare, è costretto, per vivere, a fare il taxista a Ramallah. Il giorno del compleanno della figlia Laila, Abu Laila cerca in tutti i modi di rispettare la promessa fattale di portarle a casa una torta. Ma il fatto di vivere in una realtà complicata come quella quotidiana della Palestina, potrebbe anche causargli non pochi problemi e trasformare un gesto così naturale in un’operazione estremamente rischiosa. Un interessante sguardo sulla vita quotidiana in un paese oppresso e dominato.

9-Il tempo che ci rimane (Elia Suleiman, 2009). È la storia della famiglia Suleiman – e per traslazione – della Palestina dal 1948 ai giorni nostri. Film splendido, che rapisce lo spettatore sin dall’incipit, nel quale Elia Suleiman, appena giunto in Israele dopo il periodo trascorso in America, sale su un taxi sul quale, nella notte, viene colto da un furioso temporale. Si abbandona così ai ricordi della sua vita passata e della propria famiglia, ricostruendo in quattro episodi, significativi di altrettanti periodi temporali, la sua storia e quella dei rapporti sempre difficili fra Israele e Palestina.

10-Zahara (Mohammed Bakri,2009). Documentario autobiografico con il quale Bakri traccia un ritratto della zia alla quale era particolarmente affezionato, ripercorrendo, allo stesso tempo, le tappe storiche della Palestina a partire dal 1948 e omaggiando tutte le donne palestinesi.

11-Zindeeq (Michel Khleifi, 2009). Michel Khleifi, pioniere della moderna cinematografia palestinese (Nozze in Galilea, 1987; La storia dei tre gioielli, 1995, quest’ultimo è stato il primo lungometraggio girato nella Striscia di Gaza) realizza, con Zindeeq, un film su un ritorno, quello di M., cineasta palestinese interpretato dal famoso attore e regista Mohammed Bakri (di fatto l’alter ego di Khleifi). Un ritorno, seppur temporaneo, di M. nella sua terra natia e una ricerca circa le vicende che portarono alla Nakba nel 1948. Alla fine per M., ormai occidentalizzatosi, ci sarà la progressiva riscoperta delle proprie origini e una maggior consapevolezza di quanto la Palestina sta vivendo e dell’enorme sofferenza alla quale il suo popolo è costretto.

12-Quando ti ho visto (Annemarie Jacir, 2012). Secondo lungometraggio della regista, ambientato in Giordania nel 1967. L’undicenne Tarek a causa della guerra ha dovuto separarsi dal padre e vive esule con la madre in un campo profughi palestinese. Un giorno, incamminatosi da solo per far ritorno a casa, si imbatte in un gruppo di Feddayn che lo accoglieranno come loro mascotte. Un incontro che cambierà per sempre la vita di Tarek. Il film nasce da una vicenda personale della stessa regista alla quale, dopo aver girato il suo primo film, venne impedito dalle autorità israeliane il ritorno a casa per cinque, lunghi, anni.

13-Omar (Hany Abu-Assad, 2013). Protagonisti sono Omar, Tarek e Amjad, amici sin dall’infanzia e Nadia, la sorella di Tarek della quale si innamorano sia Omar che Amjad. Tutto è complicato dalla difficoltà del vivere nella Palestina occupata, con un muro incombente che ne soffoca la libertà. Inoltre i tre amici stanno preparando un attentato contro l’esercito israeliano. Omar, vincitore della sezione Un certain regard al Festival del Cinema di Cannes, è concepito sotto forma di thriller, con un’ottima sceneggiatura che riesce a mantenere viva l’attenzione dello spettatore senza rinunciare a lanciare un forte messaggio politico.

14-Giraffada (Rani Massalha, 2013). A Qalqiylia, in Cisgiordania, un improvviso raid aereo colpisce il locale giardino zoologico dove lavora, come veterinario, Yacine (Saleh Bakri). Delle due giraffe che vivono nello zoo, Rita e Brownie, una, il maschio, rimane uccisa sotto il bombardamento. Rita, rimasta sola,inizia quindi a deperire davanti allo sguardo impotente del giovane Zaid, il figlio di Yacine, per il quale le giraffe sono l’unica, vera passione. Inizierà quindi, da parte di Yacine e Zaid, con l’aiuto di una fotoreporter, la ricerca di un nuovo compagno per Rita. Verrà trovato in un uno zoo in territorio israeliano. Verrà quindi architettato un rocambolesco piano per rapire il maschio di giraffa e poter ridare la felicità a Rita. Ispirato a dei fatti realmente accaduti, Giraffada (termine che unisce la parola “giraffa” con “intifada”), è una commedia dolceamara in cui la cattività delle giraffe rinchiuse in uno zoo diventa metafora per descrivere la condizione di prigionia in cui versa la popolazione palestinese. Un bel film che non ha avuto il successo meritato e che descrive il rapporto fra un padre e un figlio e dove, alla disillusione degli adulti, si contrappone la speranza delle nuove generazioni.

15-The Idol (Hany Abu-Assad, 2015). Tratto da una storia vera The Idol è stato un vero caso internazionale. Forse il film palestinese che ha goduto di maggior visibilità a livello mondiale. Mohamed, un ragazzino che vive nella Striscia di Gaza, coltiva un sogno: quello di diventare un grande cantante. Dotato di una voce straordinaria e di una perseveranza fuori dal comune, supererà le mille difficoltà che hanno gli abitanti della Striscia nel poter espatriare, partecipando, vincendolo, a un famoso talent show dei paesi arabi. Diventerà così un idolo della musica melodica araba e un simbolo di riscatto per tutto il suo popolo sottomesso.

16-3000 notti (Mai Masri, 2016). È il primo film di fiction di questa documentarista palestinese. Le 3000 notti del titolo equivalgono agli otto anni di carcere che deve scontare Layal, una giovane insegnante palestinese ingiustamente accusata di favoreggiare i terroristi. Girato in un vero carcere in Giordania e ambientato negli anni ottanta, 3000 notti  non è altro che  una metafora della prigione a cielo aperto nella quale sono costretti a vivere i palestinesi circondati dal muro della vergogna voluto da Israele.

17-Wajib – Invito al matrimonio (Annemarie Jacir, 2017). Film ambientato a Nazareth. Abu Shadi, un professore di 65 anni molto stimato dai suoi allievi, percorrere in auto insieme al figlio Shadi, le strade della zona palestinese della città per consegnare personalmente a parenti, amici e conoscenti, il wajib, la partecipazione alle nozze dell’altra figlia Amal. I due dissentono su molte cose, attribuendo alle rispettive scelte di vita valori completamente diversi che, apparentemente, sembrerebbero allontanarli sempre più. Film di grande interesse, in alcuni momenti toccante, incentrato sui contrasti (e sulla ricerca di un equilibrio): la contrapposizione fra tradizione e modernità, che si esplicita nel rapporto fra padre e figlio, è uno dei temi portanti.  Ma Wajib – Invito al matrimonio è anche un film sulle tensioni fra israeliani e palestinesi. Tutta la pellicola è permeata da questo dissidio, dalla prevaricazione di un popolo su un altro. Ottima l’interpretazione di Mohammed Bakri e Saleh Bakri, padre e figlio anche nella vita reale.

18-Il paradiso probabilmente (Elia Suleiman, 2019). Ancora Suleiman protagonista di sé stesso in un viaggio al contrario. Dalla Palestina all’Occidente (Parigi, New York). Ne Il paradiso probabilmente Suleiman adotta sempre il medesimo registro stilistico delle sue opere precedenti: dialoghi ridotti al minimo, scene stranianti e surreali. Un viaggio che porta il regista a cercare finanziamenti per il suo nuovo film ritrovando, alla fine, le medesime situazioni, le stesse contraddizioni che aveva lasciato in Palestina dove farà ritorno. Un paese in cui, paradossalmente, i giovani hanno nonostante tutto ancora voglia di ballare in una discoteca. Incoscienza o giovanile entusiasmo?

19-Sarah & Saleem – Là dove nulla è possibile (Muayad Alayan, 2019). L’impossibile storia d’amore extraconiugale fra una donna israeliana, moglie di un colonnello dei servizi segreti e un fattorino palestinese. Ambientato a Gerusalemme, è un film che trasforma un affare privato di tradimenti in una vicenda più grande, che ha a che fare con la questione palestinese. Nel film non c’è un giudizio sulla vicenda dei due amanti. Al contrario pone svariate domande su quanto sta accadendo in quella terra soggiogata e divisa, laddove il concetto di libertà riguarda solo una parte della popolazione che la abita: quella israeliana.

20-Gaza mon amour (Tarzan Nasser, Arab Nasser, 2020). Con questo film ambientato a Gaza ai giorni nostri, i gemelli Nasser raccontano la tenera storia d’amore fra Issa, un pescatore sessantenne segretamente innamorato di Siham, una sarta, vedova e con una figlia divorziata. Ma, al di là della storia d’amore, Gaza mon amour è, soprattutto, un film politico, in cui i registi lanciano una profonda accusa nei confronti, da un lato a Israele dall’altra agli ortodossi di Hamas che impediscono alla gente di potersi esprimere liberamente senza timore di venire perseguiti. Uno sguardo dolce e amaro della quotidianità nella Striscia. Presentato, con buon riscontro di critica e pubblico, alla 77ª Mostra del Cinema di Venezia.

Scrivere in una rivista di cinema. Il tuo momento é adesso!
Candidati per provare a entrare nel nostro Global Team scrivendo a direzione@taxidrivers.it Oggetto: Candidatura Taxi drivers