Sono disponibili tutte le 9 stagioni di 24 su Netflix: prodotta dalla Fox e andata in onda dal 2001 al 2010, la serie vede protagonista Jack Bauer, agente dell’antiterrorismo di Los Angeles, tra complotti antigovernativi e intrighi internazionali.
Nel corso degli anni, 24 è diventato un prolifico media franchise: tra il 2005 e il 2007 sono stati prodotti lo spin-off mobile 24: Conspiracy, il videogioco 24: The Game e la webserie The Rookie, nel 2008 è stato tratto il film per la televisione 24: REDEMPTION che si colloca temporalmente tra la sesta e la settima stagione della serie, nel 2014 sono state realizzate la graphic novel 24: Underground e la miniserie 24: LIVE ANOTHER DAY che si pongono come sequel degli eventi narrati in 24, infine nel 2016 viene creato lo spin-off/reboot 24: LEGACY.
All’ombra delle Torri
Lo sanno anche i sassi, ormai, che i serial degli ultimi vent’anni circa (partendo da X-FILES fino a DEXTER, passando per I SOPRANO e ovviamente LOST) hanno rinnovato -decostruendo e ricostruendo- l’immaginario cinematografico, sul livello narrativo, quello iconografico e quello tecnico, di più e forse a tratti meglio del cinema stesso.
Va poi detto che sono però molto pochi i serial attorno i quali questa (ri)nascita è avvenuta, e di sicuro c’è tra questi 24, creato da Joel Surnow e Robert Cochran, che sono partiti da un’idea di base semplice e geniale: se la struttura classica di un serial è circa di 24 puntate (o almeno lo era un decennio fa, più o meno), e 24 sono le ore di una giornata, perchè non portare in tv un prodotto che segua una giornata di (dis)avvenuture del protagonista?
Nasce così Jack Bauer -con il volto e la recitazione prorompentemente e perfettamente fisica diKiefer Sutherland-, agente del CTU di Los Angeles, personaggio centrale del serial che segue appunto le sue frenetiche ore di lavoro.
Concluso con l’ottava stagione (più un film perdibile e un tentativo di reboot sfiatato), questo vero e proprio capolavoro ha riscritto le dinamiche della fiction del piccolo schermo, anche e soprattutto attraverso lo split screen che dà l’opportunità di seguire più vicende contemporaneamente o anche lo stesso segmento narrativo da ma più punti di vista.
Perché proprio il frazionamento dei punti di vista -portato al successo sul grande schermo dal maestro Brian De Palma e da lì in poi abusato malamente- è stato uno dei punti di forza che hanno fatto sì che 24 sfondasse come un maglio l’immaginario collettivo, la critica e il pubblico: questo anche se la creazione di Surnow e Cochran nasce all’ombra delle due torri gemelle distrutte. 24 è in tutto e per tutto figlio della distruzione culturale dell’11 settembre: niente e nessuno è più al sicuro, perché ognuno può colpirti alle spalle.
Split-screen e tempo reale
Il terrorismo ha intriso il tessuto sociale al punto da trasformare chiunque in un potenziale nemico: è per questo che in 24 non esiste un cast fisso (ad esclusione ovviamente di Jack Bauer), perché ogni personaggio può sparire in ogni episodio. Nessuno è più al sicuro, e quindi non esistono più sicurezze: ne deriva una macchina a spalla tremolante e convulsa, una frattura in ogni segmento narrativo.
Il fratello nerboruto di HOMELAND, insomma: se il serial con Claire Danes era però sottile e acuminato, indagando le dinamiche geo-politiche del nuovo millennio e studiando le zone d’ombra metaforiche ed esistenziali, 24 testimonia lo sforzo di prendere di petto la situazione e mette in scena il disorientamento spaziotemporale e la frantumazione di ogni coordinata di riferimento, in un panorama culturale, sociale e politico disgregato quanto enigmatico.
Va comunque precisato che il taglio tecnico e la sostanza morale del serial non sono mai scollegati, né secondi, rispetto ad una sceneggiatura puntuale senza falle: scoppiettante meccanismo ad orologeria, 24 riesce ad essere anche un thriller ad altissima tensione che tiene incollati alla poltrona fino all’ultima inquadratura, dell’ultima ora, dell’ultimo giorno. Perfetto.
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