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Focus Italia

#Venezia77 Daniele Luchetti, Lacci e una filmografia che racconta l’Italia

In attesa di Lacci il film che aprirà Venezia 2020 vi raccontiamo in questo articolo la filmografia di Daniele Luchetti, che compie oggi 60 anni.

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In attesa di vedere Lacci a Venezia, il film di Daniele Luchetti che apre la prestigiosa kermesse italiana facciamo il punto su un regista che ha saputo raccontare l’Italia attraverso i suoi film.

Gli esordi: Domani accadrà e I Piccoli Maestri

Scrivevamo qualche tempo fa  che era proprio con il cinema di Daniele Luchetti che l’Italia stava ritrovando la sua più accesa verità espressiva.

Questo perché già dal suo esordio, nel lontano 1997 con  Domani accadrà, Daniele Luchetti (ospite al FARE CRITICA FESTIVALFARE CRITICA FESTIVAL dove ha ripercorso la sua carriera dal punto di vista, appunto, critico) non ha mai smesso di raccontare, cinematograficamente, l’Italia.

E lo ha fatto anche storicamente, nel 1998, indagando l’Italia nel periodo della Resistenza con  I piccoli maestri, tratto dal libro omonimo di Luigi Meneghello, e politicamente, nel 1991, con  Il portaborse, un titolo quest’ultimo ancora attualissimo nonostante siano passati ormai quasi trent’anni. 

Lacci Luchetti

Mio fratello è figlio unico

Daniele Luchetti lo avevamo incontrato a Fondi, nell’ambito del glorioso FondiFilmFestival, organizzato dall’associazione culturale dedicata al regista fondano Giuseppe De Santis.

Ma non è stata una prima volta quella di Fondi,  perché una occasione di incontro con Luchetti il cronista l’aveva già avuta qualche anno prima, quando cioè il regista aveva portato la sua troupe a Latina per girare il film  Mio fratello è figlio unico, tratto dal romanzo Il Fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi dello scrittore pontino  Antonio Pennacchi.

Daniele Luchetti, sul set a Latina, spiegando i motivi che lo hanno spinto a fare il film dal romanzo, parlava di avere trovato nelle pagine di Antonio Pennacchi una sorta quasi di autenticità, anche di forte rispecchio con la sua realtà più personale:  “la mia esperienza umana è uscita dalle pagine de  Il fasciocomunista, completamente autenticata. Il romanzo di Pennacchi è stata l’occasione giusta per raccontare in un film, attraverso il filtro semplifico dello scrittore, una mia realtà”

Ma, detto questo, scoppiarono poi delle polemiche tra il regista e lo scrittore, con il regista che continuava a rivendicare la sua autonomia dalla pagina scritta  e lo scrittore che non riusciva a capire come la sua storia stava diventando, in fin dei conti, quella di un altro. 

Ma il film è stato, e rimane ancora oggi un bel film, noi azzardiamo, forse tra i migliori della filmografia di Daniele Luchetti.

Ed è stato un vero successo anche al botteghino, determinato certo dal cast perfetto,  Riccardo Scamarcio, Elio Germano, Alba Rohrwacher, Angela Finocchiaro, Massimo Populizio, Luca Zingaretti.

In concorso al Festival di Cannes nel 2007  Mio fratello è figlio unico  ottiene vasti consensi nonostante la storia sia una tipica storia italiana, una storia addirittura politica, anzi una storia politica autentica di una provincia italiana, quella di Latina nei primi anni sessanta, città di fondazione del regime fascista.

Spiegava Daniele Luchetti: “la visibilità, quasi toccata con mano, di quel romanzo mi aveva proprio appassionato, anche in termini di ambiente, un interesse mai raggiunto prima verso le città di fondazione fasciste”.

Daniele Luchetti, cresciuto alla scuola laboratorio Gaumont di Renzo Rossellini, un tempo sicuramente l’alternativa possibile a Roma al Centro Sperimentale di Cinematografia, ma sarà poi il genio cinematografico di Nanni Moretti  produttore  che intuirà in Daniele Luchetti l’autore che potrà diventare e con la sua Sacher Film e con il socio del tempo, Angelo Barbagallo, ne agevola il debutto in solitaria con  Domani accadrà. La carriera di Daniele Luchetti nel cinema è lanciata.

Il portaborse

Sempre con la produzione Sacher di Moretti e di Barbagallo Daniele Luchetti gira nel 1991 il film  Il portaborse, una storia italiana diventata fondamentale, una pellicola che sapeva di truffe, corruzioni, inganni, soprusi indegni, sceneggiato insieme a Sandro Petraglia e Stefano Rulli.

Il film in Italia fu decisamente un evento, non si esagera quando diciamo che riuscì a sottolineare un epoca. Il portaborse andò al Festival di Cannes, le critiche in Francia furono entusiaste ed in Italia si instaurò presto un dilemma: il personaggio del film, il ministro infame Cesare Botero, impersonato tra l’altro proprio da Nanni Moretti, a quale politico poteva assomigliare di più?  Di fatto si incazzarono, e tantissimo, i socialisti: era l’alba in Italia di un momento storico politico sconvolgente, di profondo disagio, che si sarebbe chiamato poi Mani Pulite.

Oggi, quando non è immediatamente impegnato tra copioni e set, Daniele Luchetti continua ad offrire la sua esperienza ai giovani studenti del Cento sperimentale, tra le sue ambizioni c’è soprattutto la speranza di contribuire a forgiare e ad innervare talenti giovani capaci di restituire al cinema italiano le glorie nobili del passato. 

Non per niente, pensiamo, la sua esperienza di cineasta deriva in gran parte dalla appassionata lettura giovanile del movimento cinematografico del neorealismo: “una traccia concreta del mio modo di fare cinema ha radici profonde proprio nel cosiddetto pedinamento della realtà, che è un fattore di assoluta grammatica del cinema neorealista”.

La nostra vita

La genèsi del suo film, La nostra vita (tra l’altro unico titolo italiano in concorso al Festival di Cannes nel 2010, interpretato da Elio Germano e Isabella Ragonese, che ha visto a Cannes il palmares per Germano come miglior attore ed in Italia il David di Donatello per la Ragonese come migliore attrice) ad esempio, ha, in assoluto più degli altri film precedenti, un percorso di questo tipo, una storia scritta proprio scendendo sul campo.

Spiegava infatti Daniele  Luchetti: “qualche anno prima di realizzare La nostra vita  mio cugino, che lavorava ad Ostia come sorvegliante di un complesso di case popolari in attesa di essere consegnate ai legittimi assegnatari, mi chiama e mi dice di raggiungerlo perché nell’atto della consegna, che era in programma da lì a qualche giorno, si verificano sempre situazioni che possono corredare, proprio concretamente e sul campo, le trame di un film realistico. Ancora non avevo, in realtà, nulla in mente che andava nella direzione del film. Buio completo.  La nostra vita infatti proprio non esisteva ancora nemmeno come soggetto di indicazione. Ad Ostia resto qualche giorno tra quella folla di persone, che in un tempo più politicizzato venivano definite proletarie, ma oggi questa parola non ha più tantissimo senso. Tra loro, intanto, assimilo, quelle che sono le ansie, le paure, anche gli attimi che sono di pura felicità e di serenità, le delusioni persino, i racconti delle loro vicissitudini per arrivare ad un momento che, in molti di loro collimava con il raggiungimento di un obiettivo. L’esperienza, sul campo, è stata proprio forte, lì ho visto cose che poi hanno generato il desiderio di fare  La nostra vita.  Mentre la storia cominciava a prendere forma nei miei pensieri, passo anche diverse settimane tra i cantieri allestiti, in mezzo agli operai, addirittura l’attore coinvolto,  Elio Germano, comincia a lavorare tra di loro, così come poi avrebbe dovuto fare nel film, imparando sul campo la logistica, i movimenti, il carattere rude del mestiere”.

Momenti di trascurabile felicità

Una sorpresa poi,  piacevole certo, è stata l’dea del suo ultimo film, Momenti di trascurabile felicità, tratto dai libri di Francesco PiccoloMomenti di trascurabile felicità e Momenti di trascurabile infelicità, realizzato dopo la commedia Io sono Tempesta e dopo l’idea di dedica di un pensiero al pontefice con Chiamatemi Francesco – Il Papa della gente. I due libri di Piccolo, che erano anche una ipotesi di racconti, senza in definitiva una trama prestabilita, difficilmente si prestavano ad una trascrizione per immagini, i vizi e le stonature della vita quotidiana di ognuno di noi,  questo il senso dei due libri, creavano appunto delle difficoltà di gestione per la grammatica cinematografica eppure Daniele Luchetti ha voluto assolutamente tentarne ugualmente la traduzione. Ed artisticamente non ha fallito. Poi il responso al botteghino forse non lo ha premiato, ma questo sicuramente abbraccia un altro discorso.  Ma se dobbiamo esprimere una opinione oggi, la nostra idea migliore rimane quella di un Daniele Luchetti che si agita nelle storie degli anni settanta, perché lo ha fatto sempre benissimo, forse perché, come ci ha spiegato a suo tempo, non vi erano mai motivi nostalgici che lo riportavano in quelle atmosfere visto che, tutto sommato, non ha mai provato per quei tempi “importanti” particolari malinconie.

Lacci Luchetti

In attesa di Lacci di Daniele Luchetti a Venezia 77

Noi comunque che abbiamo ben salda in mente tutta la sua filmografia,  Juke-box, Domani accadrà, La settimana della sfinge, Il portaborse, Arriva la bufera, La scuola, I piccoli maestri, Dillo con parole tue, Mio fratello è figlio unico, La nostra vita,  Anni felici, Chiamatemi Francesco, Io sono Tempesta, Momenti di trascurabile felicità, non smettiamo di pensare che, in definitiva, messi uno dietro l’altro questi titoli assumono ancora, come in un puzzle, i connotati, poetici, sociali, irreali anche, necessari per la testimonianza, ancora e sempre, di una Italia che cresce, o se guardiamo meglio, possiamo notare anche il suo contrario: una Italia che proprio decresce.                                

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