Ancora una volta, il caro, vecchio (e troppo spesso sottovalutato) cinema horror italiano è fonte di ispirazione per i registi della nuova generazione. Chissà se il tailandese Sophon Sakdaphisit, già autore di Shutter ( 2008), ma per la prima volta dietro la macchina da presa, sia stato influenzato dalla visione di Demoni del nostro Lamberto Bava… L’idea portante è essenzialmente la medesima: la realtà che si fonde e si confonde con la finzione, il male che, attraverso lo schermo bianco di una sala cinematografica, aggredisce lo spettatore fino ad assorbirlo e renderlo parte attiva della rappresentazione stessa.
Su questa ’filosofia’ di base si snoda la trama del film, seppur abbastanza esile e, in diversi passaggi, più che prevedibile. Il tutto è ambientato in un cinema multiplex, dove lavorano i ragazzi protagonisti e dove uno di loro in particolare si accinge, ogni notte, a piratare furtivamente le pellicole della programmazione ufficiale. Tutto fila liscio fino a quando non si troverà faccia a faccia con una pellicola maledetta e il suo relativo spettro (forse una sorta di nemesi suggerita dai produttori del film con l’intento di punire l’azione illegale del ragazzo?) con cui, inevitabilmente, sarà costretto ad avere a che fare nei suoi sfortunati giorni a venire. Cosa e chi è questo fantasma che, tormentato, perseguita la vita dell’ingenuo Chen e di chi lo circonda? Egli dovrà entrare nel film per scoprirlo.
E cosa c’è dietro un proiettore, in fondo? C’è la paura e il desiderio che ciò a cui si sta assistendo possa realmente accadere, permettendo alla fantasia di prendere spazio, anche a quella più inconscia, oscura e inconfessabile.
Un plauso va all’uso degli effetti speciali, perchè rispettoso di un certo gusto artigianale proprio del genere horror/splatter, caratteristica che di recente sembra essere quasi scomparsa nel mestiere del truccatore. In generale, tutto il film denota una certa attenzione verso i dettagli, alla forma (senza dubbio molto di più della sostanza) e all’estetica. Connotati in comune con la maggior parte delle opere concepite e realizzate in terra asiatica.
Nota dolente, invece, sia recitazione che doppiaggio, conseguenza della sceneggiatura e dei dialoghi di scarso spessore, e dell’acerba preparazione attoriale dei giovani interpreti.
Siamo ottimisti, comunque, nel promuovere l’esordio di questa regia, sperando in un continuo rinnovamento del cinema horror, ma sempre con uno sguardo al passato, senza mai dimenticare dove e da chi sono nate le idee più geniali che continuano ad essere modello di riferimento nel presente.
Giovanna Ferrigno
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