E se le Muse fossero delle entità che fin dall’alba dell’umanità suggeriscono l’ispirazione ai poeti? E se i versi delle poesie fossero delle formule che danno piacere, senso della bellezza, amore, ma che instillano anche tristezza, sofferenza (fisica e spirituale) e morte? Con La settima Musa, Jaume Balagueró mette in scena una storia horror, dal sapore gotico, creando un’atmosfera rarefatta dove la letteratura diventa un percorso di indizi alla ricerca delle Muse che controllano la vita dei poeti, trasformandoli in strumenti per inondare il mondo di parole magiche che in qualche modo creano e distruggono i destini dell’umanità.
Dublino ai giorni nostri. Il professor Samuel Solomon (Elliot Cowan) tiene una lezione su Dante all’Università. Ha pubblicato la sua raccolta di poesie, che lo ha reso conosciuto, e ha una giovane studentessa come amante segreta. Dopo quasi tre anni, la ragazza, alla fine di una notte d’amore, si suicida nel bagno dell’appartamento, tagliandosi le vene. Un anno dopo, il professore lascia l’insegnamento e vive solitario e triste nel ricordo della defunta amata, ma all’improvviso inizia ad avere lo stesso incubo ogni notte su un gruppo di donne velate che ne uccide un’altra in una vecchia casa. Sconvolto ne parla con la sua collega e amica (interpretata dall’attrice tedesca Franka Potente), che lo rassicura e lo invita a tornare a insegnare. Accade però che il fatto si verifica veramente nella realtà. Solomon va nella casa e incontra una giovane donna che ha avuto lo stesso sogno. Scoprono che lì nascosto un segreto, un antico amuleto che le Muse rivogliono indietro. Dopo una fuga dalla casa per l’arrivo della polizia, Solomon perde le tracce della donna e si rivolge all’amica per capire il mistero che si nasconde dietro le Muse.
Il regista spagnolo scrive la sceneggiatura de La settima Musa a partire dal romanzo La dama numero tredici di José Carlos Somoza, stravolgendone la storia e riducendo le Muse a sette, ognuna con la sua specialità: mentire, punire, creare il destino degli uomini, dare l’amore; esse attraversano il tempo e lo spazio, nascoste alla vista di tutti. Solomon si trova così in un tourbillon di eventi misteriosi che lo porteranno a scoprire una crudele verità su se stesso e sul mondo che lo circonda, arrivando a sacrificare tutto ciò che ama per salvarsi. Jaume Balaguerò, famoso per la serie horror Rec, scritta e diretta insieme a Paco Plaza, con La settima Musa ritorna alle atmosfere delle sue prime opere, come Nameless – Entità nascosta (1999), Darkness (2002) e Fragile – A Ghost Story (2005), dove la composizione scenica essenziale, le atmosfere lugubri, l’utilizzo di una fotografia in cui i colori scuri e desaturati erano elementi essenziali alla formulazione visiva della suspense di narrazioni di fantasmi del passato, di riti esoterici e del tema dell’affermazione del Male. Il cinema del giovane regista ha il suo punto debole nelle sceneggiature, non sempre scritte in modo organico, e La settima Musa non fa eccezione: risulta alquanto macchinosa e piena di buchi la storia delle Muse che appaiono e scompaiono senza un vero perché, concentrando il tutto sul dramma personale di Solomon e della sua ricerca di una verità. Ma se la sceneggiatura è molto confusionaria, in questo ultimo film Jaume Balagueró riesce a sfruttare al meglio le atmosfere grigie e piovose delle città irlandesi e a creare una certa bellezza ipnotica nella costruzione della messa in scena e nella composizione delle inquadrature, senza cadere mai nello splatter fine a se stesso.
La settima Musa risulta così un film non completamente riuscito, ma sufficientemente fascinoso nelle atmosfere da horror classico e con un tema profondo tutto sommato interessante: meglio un mondo con la poesia – che crea dolore e passione, amore e odio, felicità e tristezza – che uno in cui la poesia è morta, perché la sua assenza finale (rappresentata con l’ultima inquadratura) porta a una realtà forse pacificata, ma piatta e anonima.