Soul Kitchen è un film del 2009 diretto da Fatih Akın, scritto dallo stesso regista con la collaborazione dell’interprete protagonista Adam Bousdoukos. Il film è stato presentato in concorso alla 66ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dove si è aggiudicato il premio Leone d’argento – Gran premio della giuria. un anno più tardi, nel 2010, ha ricevuto il Premio Internazionale per la Miglior Sceneggiatura Sergio Amidei.
Sinossi
Zinos (Adam Bousdoukos) è il proprietario di origine greca di un ristorante di Amburgo che sta attraversando un periodo di notevoli difficoltà: la sua fidanzata Nadine si è trasferita a Shanghai e ai suoi clienti il nuovo chef che ha assunto non va affatto a genio, tanto che hanno deciso in massa di boicottare il locale. Per Zinos si tratterà così di intraprendere una lotta su due fronti: riconquistare la fiducia della clientela e il cuore di Nadine. Due compiti che però non lo spingono decisamente nelle stessa direzione, mettendolo di fronte a scelte complicate.
La recensione di Taxi Drivers (Luca Biscontini)
“Il colore è il dolore della luce”. Anche nel suo film più divertente, Fatih Akin non rinuncia alla lezione di Goethe, monumento della cultura tedesca, inesauribile fonte d’ispirazione, sempre presente nella sua cinematografia.
Zinos è il proprietario di un ristorante sui generis, Soul kitchen, causa di innumerevoli vicissitudini, cui il nostro protagonista dovrà far fronte, rischiando tutto ciò che ha di più caro. Un fratello scapestrato, in liberta vigilata, è la iattura che travolge il mite Zinos, oltre alle difficoltà di un rapporto sentimentale con una ragazza ricchissima e distante.
La caduta, la perdita dell’innocenza, il dolore della luce: il prezzo da pagare per il colore che decora gioiosamente la tela del mondo è alto. Resistere all’interno del divenire, essere un incessante movimento, non cedere alla trappola rassicurante dell’inerzia. Soggiornare ostinatamente nella rottura immanente di una procedura di verità: l’unico modo per accedere alla Grazia, concessa a tutti gli uomini, è smettere di “perseverare nell’essere” ed essere fedeli all’eccesso della verità di un evento che ci ha trafitto, come San Paolo sulla via di Damasco. Fede, Speranza, Amore, finalmente sottratti al monopolio della trascendenza, sono le modalità che ci consentono di accedere all’immortalità, emancipandoci veramente, realizzando la definitiva “laicizzazione dell’infinito”.
Il cibo dell’anima servito nel ristorante di Zinos è ciò per cui vale sempre la pena di lottare, e lo sguardo innamorato di una donna (la fisioterapista di cui Zinos, alla fine del film, s’innamora) fornisce quella sovrumana misteriosa energia che, quando tutto è perduto, ripete la Resurrezione.
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La sposa turca (Gegen die Wand)
È un film del 2004 scritto e diretto da Fatih Akın. Il film, Orso d’oro a Berlino nel 2004, sembra inserirsi nel filone dei drammi interetniche che puntano sui conflitti di culture. Dopo un’ora il film ha una svolta mélo, che fa riandare la mente a vaghissimi precedenti fassbinderiani.
Sinossi
La bella Sibel per sfuggire alle severe regole della famiglia, devota e conservatrice, finge un suicidio, ma la messa in scena non riesce. A questo punto solo il matrimonio può salvarla, per questo chiede a Cahit, un quarantenne depresso, di sposarla. L’uomo, inizialmente riluttante, finisce per accettare e si ritrova a vivere con lei. Ma quando Cahit si innamora di Sibel, il reciproco disinteresse finisce.
Le radici e la tradizione da una parte, la modernità e il desiderio di libertà dall’altra. In mezzo: un muro di solitudine e conflitti interiori che sovrasta e annichilisce. Ma schiantandovici contro o scardinandolo al prezzo del proprio sangue, qualche barlume di speranza e di conquista esiste. Fatih Akin porta in scena una storia dura, non scevra di difetti, ma di indubbio impatto e ben recitata. Sibell è vera, scura, priva di mezze misure, un’icona (donna d’oggi) interculturale da pelle d’oca; sopravviverà a costi altissimi. Cahit è maschio disilluso, segnato dalla vita, beone, reietto, violento e infin redento, ma col treno buono perso per sempre. Turchia e Germania, occidente e medioriente, materialismo e usanze religiose (e retrogrado maschilismo sociale), droga sesso e alcool come grimaldelli per sfondar porte aprirsi possibilità illusioni effimeri orizzonti. Sempre e comunque per andare al di là del Muro. All’ombra del proprio cuore, perchè la storia è anche e soprattutto un percorso di affetti, e al ritmo di una colonna sonora efficace e significativa, i due protagonisti rimarranno indelebilmente legati per sempre. Sincero e viscerale.