The Elephant Man, un film biografico del 1980 diretto da David Lynch. Il film è stato adattato dai libri The Elephant Man and Other Reminiscences di sir Frederick Treves e The Elephant Man: A Study in Human Dignity di Ashley Montagu. Il film è stato ben accolto all’epoca della distribuzione, e il successo coinvolse Anthony Hopkins, John Hurt, Hannah Gordon e altri membri del cast.
John Merrick, che una rara malattia ha reso mostruoso, è maltrattato e esibito in un baraccone di Londra. Raccolto da un medico, incuriosisce aristocratici e artisti, presto conquistati dalla sua intelligenza e sensibilità. Ma lo sfortunato “uomo elefante” non è ancora al riparo dai malvagi. Emozionante capolavoro di Lynch basato su una cronaca vera e fotografato in un fulgido bianco e nero da Freddie Francis.
Uno dei film più convenzionali di Lynch (che di fatti si beccò più nomination agli Oscar per questo che per il resto della carriera), in un bellissimo bianco e nero, nella elegante e sporca Londra del diciannovesimo secolo. Il tema del mostruoso, del deforme e del viscido che tanto era stato rappresentato alla fine degli anni ’70 e poi durante gli anni ’80, tra gli altri da Cronenberg, Carpenter, Scott, Yuzna e Gordon, viene adattato ad un ambiente sì fiabesco, ma non fantascientifico né horror. L’horror lo provano solo i personaggi nella storia: quelli che guardano inorriditi l’uomo elefante e, soprattutto, il mostro stesso, paradossalmente (almeno per i canoni cinematografici), non il carnefice ma la vittima della vicenda. Lynch, però, lascia il pubblico con un affaticamento dei muscoli della fronte, a dimostrare che, per quanto lo spettatore si senta superiore ai malvagi contemporanei di John Merrick, anche il suo sguardo, come quello degli aristocratici londinesi, è schifato e pateticamente compassionevole.
Lynch regala appena un paio delle sequenze oniriche che ci si aspettava, memori del suo strepitoso esordio Eraserhead (altro capostipite, quella volta metafisico, della corrente body horror). Cronenberg, deluso come me, descrive il film come una “victorian valentine” nel quale non riconosce un Lynch puro. Resta, oggettivamente, un prodotto di qualità altissima, costruito da grandi professionisti, e con momenti di grande cinema. Uno dei migliori film sul razzismo, l’alienazione sociale e l’ipocrisia umana. Regia pacata (per gli standard) ma ottima; sceneggiatura ben scritta; bellissima fotografia e grande interpretazione di Hopkins e Hurt.