Non che se la passassero bene prima, ma i filmmakers cinesi dal 1° marzo 2017 si troveranno a battagliare con la nuova legge sul Cinema approvata di recente dal Partito. La Cina, insomma, si sta muovendo per strutturare seriamente questo mercato in espansione, che è a minuti dallo scavalcare Hollywood. Il resto del mondo sta a guardare, cosciente del fatto che non potrà avere alcuna voce in capitolo né tanto meno influenzare la redazione di questo regolamento che, infatti, ha caratteristiche dichiaratamente socialiste.
Esattamente, quello da cui i produttori locali – e non solo loro, ma anche tutti coloro che sognano di collaborare in qualche forma con la Cina del cinema – dovranno astenersi dal trattare sono i contenuti contro la legge e la costituzione, che nuocciano all’unità nazionale, alla integrità territoriale, che espongano segreti nazionali o mettano a repentaglio la sicurezza, la dignità, l’onore e gli interessi della Cina, che diffondano il germe del terrorismo o dell’estremismo. Sono inoltre proibite forme espressive che possano diffamare la cultura e le tradizioni cinesi. E qualunque collaborazione con soggetti che siano stati “dannosi alla dignità, onore e interessi della Cina” o che si siano resi pericolosi per “la stabilità sociale o abbiamo urtato i sentimenti del popolo cinese” è interdetta. E qui, ecco, entra in causa il resto del mondo. Entrano cioè in causa le produzioni straniere e il loro storico produttivo, che andrà spulciato da commissioni sconosciute, nascoste dentro i ranghi di un sistema che da fuori è incomprensibile.
Per fortuna, quanto meno, si è cercato di chiarire più espressamente cosa questa State Administration of Press, Publications, Radio, Film and Television (SAPPRFT) andrà a giudicare come censurabile, dopo che la confusione e le punizioni sbilanciate e umorali hanno regnato sovrane per anni. Quel che rimane indiscutibile è il fatto che, se la ghigliottina cala sul tuo collo, non c’è nulla che ti possa riabilitare: se cioè il provvedimento adottato è la messa al bando, ecco, la distribuzione (o l’apparizione in pubblico) ti verrà negata. Brad Pitt non si vede da sette anni (in Tibet)…
Invece, la richiesta fatta a gran voce dagli operatori del settore di implementare un sistema di rating simile a quello americano non ha portato ad alcun risultato: ovvero, le dita nel naso verranno punite tanto quanto i pugni in faccia, a discrezione di quella quarantina di uomini senza volto che decidono. Di solito costoro si appoggiano alle commissioni di vigilanza degli altri ministeri, mettendo in moto tutta la macchina del Partito e rendendo molto difficile aggirare il sistema: ben poco sfugge al taglio del machete, e, se capita, non è raro assistere a cambi di programma dell’ultimo minuto (vogliamo ricordare il povere Tarantino fermato in sala??).
Le produzioni straniere interessate alla Cina possono sollevarsi solo per quanto riguarda la quota: se da una parte cioè non è stato aumentato ufficialmente il numero di 34 film a cui è permesso essere distribuiti nelle sale cinesi, d’altro canto però le co-produzioni favoriscono di un percorso facilitato, e anche il 2016 ha mostrato che questo numero è facilmente aggirabile. Cosa vuol dire co-produrre con la Cina? Avere un co-produttore, quindi un’entità che investe parimenti nel progetto; oppure avere un incaricato in loco che si occupa di supportare la produzione a fronte di un finanziamento estero; o ancora, il commissionare la produzione ad una compagnia cinese. Detto questo, rimane un punto fermo il fatto che la Cina non ci pensa lontanamente ad aprire le porte a distribuzioni estere, e le pellicole importate saranno ancora un affare esclusivo delle due controllate nazionali China Film Group e Huaxia Film Distribution.
Non mi sto qui a dilungare sulla distribuzione online: un capitolo che tra strategie di Netflix andate a monte, spietata concorrenza interna e dispersività dell’etere, necessiterebbe di una trattazione a parte. Tuttavia internet entra in gioco nella questione cinematografica quando invece si tratta di distribuzione pirata. Per lungo tempo questa è stata per alcuni una spina nel fianco, e per altri l’unica e sola fonte di un’offerta alternativa – e ci mettiamo dentro tutto, dal film di genere, al recupero d’archivio, all’indipendente scomodo.
Ecco, la prima notizia è che è stato ufficialmente inaugurato il 23 novembre il primo circuito di film d’essai della Cina. Un primo passo fatto che coinvolge un centinaio di sale, che pare si espanderanno in numero, frequenza e luoghi. Chiaramente anche a questo palinsesto è richiesto di attenersi ai regolamenti dettati da SAPPRFT, ma quanto meno il bel film vincitore del festival non si troverà a dover battagliare con il blockbusterone partorito da Marvel e supportato da un marketing che neanche una squadra di calcio può sperare. Più possibilità “ufficiali” di vedere un film renderanno meno probabile la necessità di piratarli online o in DVD.
Contemporaneamente, si sta ufficialmente procedendo ad una battaglia verso la pirateria online e gli scopiazzamenti d’autore, con alcuni casi addirittura approdati in tribunale. La SAPPRFT ha siglato un accordo con NexGuard per applicare i suoi avanzati sistemi di tracciamento digitale (filigrana elettronica) a tutta la filiera del prodotto video, inclusi i cinema. Questo non significa “cari autori, state tranquilli”. Tranquilli un tubo, il mio rivenditore DVD di fiducia ancora mi presenta copie di DVD a 1,5 euro con le teste degli spettatori che se ne vanno a spasso e ben prima dell’uscita nei cinema in Italia. Chissà, in un futuro…
Tornando però alle novità della legge sul cinema, e affondando nel discorso che in questa sede ci sta più a cuore, ovvero le sorti dei filmmaker indipendenti: c’è chi pensa che il nuovo sistema di approvazione remerà contro le sorti di questi autori, che di gatte da pelare ne hanno già anche senza l’aggiunta di nuova burocrazia. Infatti, il nuovo circuito di approvazione verrà decentrato nelle varie regioni, senza più quindi dipendere unicamente dall’organo centrale. Pertanto se la provincia di Pechino non approva una sceneggiatura, si potrà ad esempio tentare con la regione di Guangzhou oppure, chessò, con lo Henan. Questo suona bene, se non fosse che è proprio la nuova distribuzione di incarichi a chiudere le porte anche a quella flebile possibilità a cui alcuni registi si aggrappavano, ovvero quella di presentare un film finito con qualche “licenza poetica” in più rispetto alla sceneggiatura approvata.
Con la nuova legge infatti, la pre-approvazione avviene sul trattamento e l’approvazione definitiva soltanto a ridosso delle riprese: se qualcosa dovesse mai andare storto, come gestirebbe un produttore un sostanziale cambio di programma a poca distanza dal set? Nella versione precedente, un autore aveva la propria sceneggiatura sottoposta a controllo anche prima della fase di ricerca fondi: un finanziatore che accettava una sceneggiatura approvata arrivava, se così si può mai dire, a cuor leggero in fase di ripresa. C’era certo il rischio di ulteriori tagli sul film finito, ma come dire, con certi regimi semi-totalitari non si può mai stare tranquilli… Ora, questo sottile equilibrio si è rotto del tutto: chi, tra gli autori e i produttori, si sognerà mai di giocare con la sorte e spingersi in territori di argomenti minati?
La storia ci insegna che è nei periodi di maggior controllo e restrizione che sono state prodotte le opere migliori. Premetto che non sono per la totale liberalizzazione del cinema del lassismo; ma, se a questi poveri giovani filmmaker si nega ogni possibilità di parlare, anche solo un pochettino, di gioco d’azzardo, droghe, pornografia, violenza, terrorismo, superstizione e tutto ciò che possa nuocere all’immagine del socialismo, cosa rimane??
Love Boat e La casa nella prateria, probabilmente.
Rita Andreetti