Dopo aver girato tre cortometraggi e un mediometraggio che hanno ricevuto diversi riconoscimenti in manifestazioni del calibro di Cannes e di Locarno, Juho Kuosmanen esordisce finalmente nel lungometraggio con Hymyileva Mies, che rappresenta una piacevole sorpresa tra le visioni presentate nella sezione Festa Mobile al TFF del 2016.
A uno sguardo superficiale, si potrebbe pensare erroneamente di trovarsi davanti all’ennesima storia di un pugile al cinema. E nei meri fatti in realtà è così, ma durante la visione ci si rende immediatamente conto di quanto quest’opera, così curata e piacevole da vedere, non solo non si esaurisca nel racconto della sfida di un piccolo uomo per ottenere il titolo mondiale, come si è visto tante volte, ma presenti una serie di non pochi elementi pregevoli, che per modalità di messa in scena e per tematiche poste in risalto, nonostante la trama ordinaria, oltre a fargli assumere forma propria, ne impreziosiscono la fattura rendendola un lavoro assolutamente valido e annoverando Kuonsanen tra i giovani autori degni di attenzione, che d’ora in poi vale la pena tenere d’occhio.
Innanzitutto il regista sceglie la via di un bianco e nero estremamente efficace che conferisce alla rappresentazione una certa eleganza, avvalendosi inoltre di un’ottima fotografia, per la quale si affida a J.P.Passi. Per quanto riguarda le particolarità narrative che fanno sì che il racconto si discosti da una trama già ampiamente nota, Kuonsanen sceglie di portare alla luce la storia vera dell’incontro per il titolo mondiale dei pesi piuma che Olli Maki, pugile finlandese, affrontò nell’Agosto del 1962, carico delle aspettative riposte in lui da parte di tutto il paese, in testa il suo manager che gli ha aveva costruito ad hoc un personaggio mitizzato, assicurando sia a lui stesso che alla stampa e all’opinione pubblica che avrebbe dato notorietà e prestigio alla nazione, regalando il titolo alla Finlandia, salvo poi esitare in una rovinosa delusione.
In tutto questo il regista sceglie un registro leggero e positivo per porre comunque l’accento su qualcosa che può anche arrivare ad essere drammatico, e in particolare sul conflitto che esiste da sempre all’interno del mondo dello sport professionistico, tra la disciplina e lo slancio proprio individuale dell’atleta, necessari entrambi per raggiungere i risultati.
Olli viene inserito in una categoria che non è la sua solita e nella quale per rientrare deve mantenere un determinato peso corporeo, cosa che risulta essere piuttosto difficile se non quasi impossibile, portandolo ai limiti della resistenza fisica. Ed appare quindi evidente come frustrare eccessivamente le istanze naturali di un atleta, anzi di qualsiasi individuo imponendogli ritmi, regole, alterazioni della propria spontaneità, lungi dal portare beneficio, favorendo la qualità delle sue prestazioni, rischia di mortificare la sua forza d’animo, e quindi di essere controproducente. Così diventa addirittura deleterio allontanarlo da chi gli è caro e dall’appagamento dei suoi bisogni primari, affettivo, alimentare e sessuale, nonostante questo sembri essere l’indicazione più opportuna a favore della prestazione fisica.
Kuonsanen ce lo comunica orientando l’attenzione sul genuino rapporto tra Olli e la sua fidanzata, dal quale emergono, attraverso diverse scene che risultano particolarmente naturali e autentiche, la priorità e la dolce urgenza rispetto a qualsiasi desiderio o mira di fama o ricchezza.
Dunque una piccola storia umana, a tratti divertente, a tratti più seria, questa che Kuonsanen ci propone, regalandoci un prodotto di tutto rispetto e di non poco pregio che soddisfa le aspettative per una visione calda e piacevole.
Roberta Girau