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34 Torino Film Festival: Daguerrotype di Kiyoshi Kurosawa (Onde)

Un altro film di fantasmi, ambientato in Europa, con richiami al gotico ottocentesco, al cinema anglosassone degli anni Sessanta, con una lunga ed estenuante sceneggiatura con colpi di scena telefonati, che rivela fin da subito il fantasmatico, togliendo un po’ di surprise e la suspense, se non la paura

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Si esce dalla sala interdetti dalla visione di Daguerrotype, l’ultima opera di Kiyoshi Kurosawa, l’autore di Kairo e di Cure, uno dei creatori del J-Horror, la corrente giapponese che ha innovato il genere all’inizio del nuovo secolo. Un altro film di fantasmi, ambientato in Europa, con richiami al gotico ottocentesco, al cinema anglosassone degli anni Sessanta, con una lunga ed estenuante sceneggiatura con colpi di scena telefonati, che rivela fin da subito il fantasmatico, togliendo un po’ di surprise e la suspense, se non la paura. Una messa in serie un po’ troppo semplificata, con cambi di campo non sempre esplicitati coerentemente, e degli attori in una recitazione ingessata (Tahar Rahin in Jean), oppure sopra le righe (Olivier Gourmet interprete di Stéphane) o ancora inconsistente (Constance Rousseau nel ruolo di sua figlia Marie).

Jean, giovane parigino senza particolari qualità e predisposizioni, viene assunto come assistente del famoso fotografo di moda Stéphane, rimasto vedovo dell’amata moglie, e aiutato dalla figlia Marie, di cui ben presto Jean s’invaghisce e poi s’innamora.

Se nella prima parte il film risulta di un certo interesse, con l’ossessione per le foto in dagherrotipo a grandezza naturale, che in qualche modo per Stéphane è un modo per racchiudere lo spirito della moglie, nel suo sviluppo narrativo si sfilaccia ben presto. S’introduce pure una speculazione per comprare un terreno di proprietà del fotografo che non ne vuole sapere. Si arriva a un finale convulso con il suicidio di Stéphane, l’omicidio dello speculatore da parte di Jean e un sogno a occhi aperti di un matrimonio con Marie (ma ormai il gioco è del tutto scoperto, con la messa in scena della fantasia fantasmatica di Jean).

Il tutto si potrebbe anche interpretare come un episodio di schizofrenia acuta di Jean (soprattutto nella seconda parte di Daguerrotype), un tentativo da parte dell’autore giapponese di rappresentare la pazzia dell’amore assoluto (prima quello di Stéphane per la moglie morta e poi quello di Jean per Marie), ma la struttura narrativa è poco chiara, e il gioco della memoria e dei ricordi confusi e totalizzanti sembra riverberarsi nei frame della pellicola. Un vero peccato, un’occasione mancata per Kurosawa.

Antonio Pettierre

  • Anno: 2016
  • Durata: 131'
  • Genere: Horror
  • Nazionalita: Francia, Belgio, Giappone
  • Regia: Kiyoshi Kurosawa