Sinossi: New England, primi del ‘600. William, fervente cristiano, insieme alla moglie ed ai cinque figli, viene allontanato dalla comunità puritana in cui vive. Si reca così nei pressi di un bosco nella speranza di vivere in modo umile e sereno, praticando agricoltura e allevamento per sfamare la propria famiglia. Tuttavia, qualcosa di sinistro è in agguato ad attenderli. Un giorno Samuel – il bambino più piccolo, neonato, affidato alla sorella – scompare improvvisamente e, nonostante le ricerche, non viene più ritrovato.
Recensione: Dal quinto Vangelo secondo Tommaso: “Egli disse: Coloro che cercano cerchino finché troveranno. Quando troveranno resteranno turbati. Quando saranno turbati si stupiranno, e regneranno su tutto […] Colui che penetra il senso segreto di queste parole non assaporerà la morte”.
Si perpetua nei secoli, nella storia, nelle religioni, nella letteratura e nelle arti la ricerca del destino dell’uomo. Domande universali ed eterne che ci colmano l’animo di interrogativi senza fine, di interpretazioni di questioni troppo grandi per la nostra mente. La nostra mente: che ci ha permesso di dare vita al fuoco, di costruire navi, curare le malattie, coltivare campi e scrivere libri, ma anche di uccidere, tradire, fare uso del potere per ingannare il prossimo e se stessi. La nostra intelligenza: che ci ha permesso di scavare a fondo nella psiche creando archetipi e simbolismi che ci aiutino ad inquadrare meglio le cose, la realtà. Ma quegli stessi simbolismi e archetipi, che col passare del tempo sono diventati religioni e credenze, leggende e fiabe, assillano ancora la nostra esistenza, riempendola di angoscia, paura e allo stesso tempo di fascinazione.
Il regista Robert Eggers, originario proprio dei luoghi dove è ambientata la sua pellicola The Witch (stilizzato come The VVitch ), dopo ben 5 anni di preparazione, studio su riviste, diari, documentazioni riguardanti processi, racconti e resoconti scritti di stregoneria storica, dà alla luce il suo appassionato progetto regalandogli forme inquietanti, che recano giustizia al genere horror in tutta la loro esaltazione e raffinatezza.
Ci ritroviamo in un territorio “limite”, sia geograficamente che concettualmente: il New England del 1600, dove per più di 40 anni era in corso la caccia alle streghe da parte dei coloni inglesi. Fu un territorio tanto martoriato dalla superstizione quanto dalla follia degli uomini. Oltre 150 persone processate (dove per “persone” si intende la maggior parte donne, e per “processate” torturate e spinte alla confessione o alla condanna a morte) poiché credute impossessate dal demonio. Ecco il limite. Quel filo sottile del dubbio a cui ci hanno abituato, per citarne appena un paio ma significativi, autori come King e Kubrick: accade tutto nella mente o esiste davvero quella luccicanza? Quel dono di vedere oltre il “normale” fa parte della mente o è una percezione di qualcosa di impalpabile e malvagio?
Quello che vediamo sullo schermo, da subito, è estremamente crudo e diretto. Lo vediamo dalla perfetta ambientazione storica, dai costumi, dal linguaggio, dai dettagli dei volti e della scenografia, dal sapiente sonoro e dalle musiche curate da Mark Korven (ma se prima di essere nato questo film avesse avuto una colonna sonora sarebbe stata Filosofem del musicista norvegese black metal Burzum), ma soprattutto dall’atmosfera che si respira, come se fossimo stati all’improvviso catapultati nel tempo, in un’era ormai lontana persino per l’immaginazione. Ci si sente isolati. Ed è proprio questa sensazione di isolamento iniziale, che poi ci accompagna per tutto il film e resta attaccata addosso anche dopo la visione, a creare un forte disagio. Il tono narrativo non è di natura romantica né poetica, ma fiabesco nell’accezione più totale del termine. Non a caso, ricorrono temi cari ad Eggers che aveva affrontato in un suo cortometraggio precedente (Hansel e Gretel), e ritroviamo sullo schermo alcune figure e personaggi dotati di elementi noti in alcune fiabe (senza svelare troppo e invitando ad osservare con attenzione i molti riferimenti, vedremo spuntare una Cappuccetto rosso…)
Eccola la fiaba che si racconta ai bambini, quella colorata, con gli animali e le casette nel bosco, ma sotto sotto crudele, che cela altri significati. La famiglia. Una famiglia, composta da 2 genitori (William, interpretato da Ralph Ineson, un volto poco noto ma molto espressivo e Katherine, con il viso scavato della scozzese Kate Dickie, nota ai più per il suo personaggio di Lysa Tully Arryn ne Il Trono di Spade) e 5 figli, viene allontanata e bandita dalla comunità puritana. Uno sgarbo da parte di William verso i capi, che lui reputa “falsi cristiani” (sgarbo che rimane taciuto nella sceneggiatura lasciando scorrere, anche in questi accenni volutamente incompiuti, una bella tensione narrativa) e il nucleo familiare si ritrova a vivere a stento in una casa nella foresta, lontano da tutto e tutti. Il più piccolo è Sam, appena un neonato, che scompare in circostanze misteriose, immediatamente, dopo soli 10 minuti circa dall’inizio del film. L’ha preso un lupo? Una strega? Il padre, fermo nei suoi principi cristiani, ma pur sempre cercando di essere un punto di riferimento razionale per tutti, incita la famiglia a mantenere salda la fede ma anche la ragione. Ma lo spettatore lo sa, ha visto, e quello che ha visto è raccapricciante.
Dopo poco tempo anche al fratello Caleb accade qualcosa di spaventoso e anche agli altri 2 figli, i due gemellini Mercy e Jonas, e persino agli animali della fattoria. La madre è in preda alla disperazione e crede che la famiglia sia maledetta: si accanisce in particolar modo con la più grande delle figlie, Thomasin (una promettente Anya Taylor – Joy), che ritiene la responsabile di questi drammatici avvenimenti, dapprima desiderosa di abbandonarla a un’altra famiglia e subito dopo inveendo contro di lei chiamandola strega.
Si intrecciano le credenze di ognuno: l’ossessione della madre dettata dalle sue convinzioni religiose, la speranza del padre del voler combattere il male, qualunque esso sia, e le credenze dei gemellini che sembrano anch’essi in balia di uno strano incantesimo o delle proprie innocenti fantasie di bambini. I gemellini, infatti, canticchiano spesso filastrocche il cui protagonista è il loro caprone nero che chiamano Black Phillip, a loro candido dire in grado di parlargli e svelargli segreti.
La vicenda porta al centro la giovane Thomasin, attraverso la quale scopriamo l’epilogo del vortice da cui è partito tutto. Un epilogo da cui nulla finisce e nulla ha principio, se non il caos.
Giovanna ‘Joe’ Ferrigno