In concorso alla ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione Progressive Cinema, 40 secondi racconta i momenti precedenti alla tragedia che ha coinvolto Willy Duarte Monteiro. Il ventunenne di origini capoverdiane e residente a Colleferro ha trovato la morte alle tre di mattina del 6 settembre 2020. Con estrema delicatezza, acume e maestria, Vincenzo Alfieri confeziona un’opera importante e potente, che bandisce l’indifferenza e grida alla verità. Lo sviluppo attraverso quattro differenti punti di vista ne agevola il ritmo, forte di un montaggio eccezionale e di una colonna sonora altrettanto d’effetto.
Supportato da un cast impeccabile, dove spiccano Francesco Gheghi, Enrico Borello, Francesco Di Leva e l’esordiente Justin De Vivo, il film prende le mosse dal romanzo della giornalista Federica Angeli, 40 secondi. Willy Monteiro Duarte, la luce del coraggio e il buio della violenza.
40 secondi | La trama
In una torbida giornata di inizio settembre, le vite di un gruppo di giovani romani sta per cambiare per sempre. Cacciato dall’impresa familiare dello zio, a causa di una distrazione, Maurizio (Gheghi) si ritrova a elemosinare un impegno a personaggi poco raccomandabili, ma che gli promettono una visibilità mai immaginata prima. Considerando che è da poco stato scaricato dalla ragazza, l’idea di attirare l’attenzione gli appare molto ghiotta. Ad aiutarlo nell’impresa, Cosimo (Borello).

Michelle (Beatrice Puccilli) nel frattempo è anche lei in crisi, ingabbiata in una relazione che le impedisce di essere se stessa ed esprimersi liberamente. I fratelli gemelli Lorenzo e Federico (Giordano Giansanti e Luca Petrini) mandano avanti i loro affari, senza guardare niente e nessuno in faccia, godendosi la vita notturna e la fama che hanno nel quartiere. Infine Willy (De Vivo) lavora in un ristorante rinomato e insegue un sogno, sempre più vicino, almeno sino a quando non finisce in una rissa in difesa di un amico.
Nessuna giustificazione
Scritto a quattro mani da Alfieri e Giuseppe G. Stasi, 40 secondi ha la forza e il merito di portare il pubblico dentro la storia. Ed è una delle storie più nere e indelebili del nostro paese. Willy aveva ventun anni quando ha perso la vita in meno di un minuto, a causa delle percosse di due giovani come lui. Sebbene le differenze tra vittima e carnefici sembrino incolmabili, in realtà si tratta di esseri umani guidati da emozioni e istinti. In un caso, a muovere Willy è stata la volontà di difendere un amico, o meglio di impedire qualcosa di irrimediabile (che purtroppo poi è avvenuto).  Nell’altro, la rabbia e la frustrazione prendono il controllo delle mani dei fratelli, che si scagliano con una violenza inaudita e incomprensibile contro un ragazzo inerme.

Simili azioni non hanno – e non possono avere – giustificazioni, lo sa bene Alfieri, che si tiene però ben lontano dal giudizio, nel tentativo di raccontare una verità troppo a lungo taciuta. L’unica giustuzia possibile resta questa, nella speranza e con il desiderio che cose di questo genere non accadano mai più. I protagonisti sullo schermo, con la sola eccezione forse di Michelle, vivono in condizioni difficili, su cui gravano, per un motivo o per un altro, responsabilità non adatte alla loro età. C’è chi, come Willy, può contare sull’amore di una madre e una sorella presenti, e chi invece combatte con un senso di inadeguatezza opprimente e costante. Resta il fatto che morire per un commento fuori luogo, in una escalation di violenza e brutalità, è qualcosa di inammissibile.
*Sono Sabrina, se volete leggere altri miei articoli cliccate qui.