Selezionato in concorso nella sezione Progressive Cinema alla Festa del Cinema di Roma, Six Jours ce printemps-là riporta dietro la macchina da presa Joachim Lafosse. A distanza di un paio d’anni dal suo precedente lavoro, Un silence, il cineasta belga realizza un’altra opera dentro la quale riversa la sua sensibilità e che sfrutta il suo sguardo acuto sulla realtà circostante.
Dopo il passaggio al San Sebastian Film Festival, la pellicola continua il suo (meritato e fruttuoso) percorso festivaliero, confermando le abilità registiche di Lafosse e la capacità di raccontare in maniera semplice, immediata e coinvolgente. Six Jours ce printemps-là arriva a tutti, senza bisogno di aggiungere nulla alla storia dei protagonisti, ma con una forza che viene dal fatto di condividerne, almeno in parte, le emozioni.
Six Jours ce printemps-là | La trama
Protagonisti della pellicola, una giovane madre single, Sana (interpretata dalla bravissima Eye Haïdara), con i suoi due figli teenager, Raphael (Leonis Pinero Müller) e Thomas (Teodor Pinero Müller). Durante la loro estate, i tre si imbarcano in macchina e raggiungono la casa al mare del nonno, a ridosso della spiaggia di Saint Tropez e immersa nel verde. Ad accompagnarli c’è Luc (Damien Bonnard), un amico di Sana che sembra avere con lei un rapporto particolarmente intimo e confidenziale.
Devi smetterla di scusarti sempre.
Man mano che la narrazione procede, infatti, viene fuori che la donna si sta separando dal marito e ha deciso di prendersi un ultimo momento di relax insieme ai suoi figli, prima che la tempesta si scateni su tutta la famiglia. Ovviamente, per far sì che la cosa funzioni, i vicini della casa al mare non devono sospettare la loro presenza, altrimenti il marito ne verrebbe a conoscenza. Peccato che i ragazzi abbiano la brillante idea di introdursi nella piscina affianco, facendosi cogliere in flagrante dal custode…
La lezione della Nouvelle Vague
Six Jours ce printemps-là raccoglie l’insegnamento della Nouvelle Vague e la fa sua, restituendo una sbalorditiva verità di sentimenti e di intenzioni. Lafosse lascia che il suo occhio spazi all’interno di questo piccolo microcosmo, composto dai due adulti e dai due ragazzi, permettendogli di muoversi con naturalezza. Ed è esattamente ciò che emerge dalla narrazione e che ne diviene la forza. Il ritratto dei personaggi, a cominciare dai due giovanissimi, li avvicina allo spettatore, che ne percepisce le sfaccettature e ne comprende le azioni. In momenti di cambiamenti e di crisi, ci sentiamo come in una bolla e talvolta si compiono scelte non considerandone appieno le conseguenze. In fondo fa parte della vita anche questo.
Sana ha a cuore il bene dei suoi figli, e vuole goderne il più possibile. Ma è anche una donna con i suoi bisogni e i suoi desideri, messa alle strette dalla sfortuna che può capitare a chiunque. Il racconto si concentra così su una piccola porzione di esistenza, su un’estate all’insegna dell’amore e della fine di tutto ciò che si conosce. Una vena nostalgica la percorre, esaltata da una fotografia che invece gioca all’esaltazione dei colori e fa da contrasto. Da un lato la consapevolezza di un futuro complicato, dall’altro la spensieratezza della vacanza con i suoi ritmi lenti e leggeri.
*Sono Sabrina, se volete leggere altri miei articoli cliccate qui.