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‘La sposa cadavere’– la morte più viva della vita

Quando la morte si rivela più viva della vita, in un viaggio tra romanticismo gotico e satira sociale

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Cosa ci rende davvero vivi? L’amore? I ricordi? Oppure la libertà di scegliere il nostro destino? Ci troviamo in un universo dove la vita è regolata da rigidi obblighi sociali e dove la morte costituisce paradossalmente una realtà più libera, gioiosa e vibrante della vita stessa. La sposa cadavere (Corpse Bride, 2005), diretto da Tim Burton e Mike Johnson rappresenta il viaggio poetico tra due mondi. E lo fa attraverso un racconto costituito da desideri infranti, promesse mantenute e seconde possibilità.

Opera della Warner Bros. Pictures, candidata all’Oscar per il miglior film d’animazione, è stata realizzata con una delle tecniche più affascinanti e complesse del cinema: la stop-motion digitale. Una tecnica che è riuscita a portare con sé l’atmosfera inconfondibile che ben conosciamo di Burton. Tra gotico e fiabesco e black humour e romanticismo struggente.

Tra due mondi: Victor, Victoria ed Emily

“Nel film c’è davvero una piccolissima parte della fiaba originale. Quasi tutto è stato il frutto del nostro lavoro. Volevo rappresentare un forte contrasto: da una parte questa società repressa e repressiva che è la terra dei vivi, dall’altra quest’altro tipo di vita rappresentata come la terra della morte.”

Racconta il regista. Al centro della storia c’è Victor Van Dort, un giovane timido e impacciato, promesso in matrimonio combinato a Victoria Everglot. I due s’ incontrano e, sorprendentemente, s’ innamorano davvero, ma la loro felicità è ostacolata dalla rigidità delle famiglie e dal destino stesso. Un errore fatale, mentre prova le promesse di matrimonio nel bosco, porta Victor a inserire l’anello nuziale sul dito di Emily, una sposa morta tragicamente il giorno delle nozze. Da quel momento, viene trascinato nel mondo dei morti, un luogo sorprendentemente pieno di musica, luci e calore. Un mondo a lui estraneo, in contrasto con la cupezza e la rigidità del mondo dei vivi.

Emily è il cuore emotivo del film: pelle blu, abito strappato, occhi enormi e malinconici. Il suo passato la perseguita, ma il suo desiderio di amore la mantiene in un certo senso ancora viva. La vediamo oscillare tra gelosia e compassione, tra dolore e accettazione:

“Mi hai mentito! Solo per tornare da quell’altra donna.”

Per poi essere anche pronta a riconoscere il sacrificio di Victor:

“Hai mantenuto la tua promessa. Mi hai liberata.”

Questo segnala in lei un cambiamento psicologico significativo. La vittima è dunque diventata protagonista della sua stessa liberazione, dimostrando la sua crescita personale, accompagnata dalla presa di coscienza.

Un’opera di artigianato digitale

Per Burton, La sposa cadavere rappresenta il primo lungometraggio in stop-motion completamente girato in digitale. A differenza dei precedenti lavori, come Nightmare Before Christmas, qui la produzione utilizza le Canon EOS-1D Mark II abbinate a ottiche Nikon, mentre il montaggio è affidato a Jonathan Lucas e Chris Lebenzon, che usufruiscono di Final Cut Pro. Questo lavoro di squadra dà così vita a un’estetica che fonde il fascino del cinema classico con la precisione del digitale.

I pupazzi sono veri e propri capolavori di ingegneria: per animare le teste, è stata sviluppata per la prima volta la tecnica gear and paddle, un sistema di ingranaggi e pale esterne che permette micro-espressioni praticamente infinite. Ogni sorriso, ogni sguardo malinconico di Emily, ogni esitazione di Victor prende vita grazie a movimenti millimetrici. È un’opera che vive letteralmente frame dopo frame, e proprio per questo trasmette un’umanità palpabile.

I colori come linguaggio emotivo

“I colori sono fortemente legati ai personaggi e alla situazione. Ci sono i vivi e c’è la terra dei morti. Come il mondo, si tratta di un insieme di colori che si mischiano l’uno con l’altro.”

Il film parla attraverso le immagini tanto quanto attraverso i dialoghi. Burton costruisce un vero e proprio codice cromatico per raccontare i suoi personaggi e i due mondi che abitano. Nel regno dei vivi prevalgono i toni freddi: grigi, blu spenti, neri opachi. Ogni cosa sembra scolorita, come se la vita fosse stata svuotata dalla vitalità stessa. Il cielo è malinconico, triste, cupo. Spesso nemmeno visibile, poiché i due innamorati si trovano spesso all’interno di spazi chiusi. Lo stesso spazio angoscioso, da cui sembra non esserci via di fuga. Proprio come dalle responsabilità imposte. Le quali riflettono i loro volti pallidi, che non possono dare spazio alle emozioni.

Nel mondo dei morti, invece, i colori esplodono: verdi acidi, viola intensi, arancioni caldi. Qui la morte è festa, movimento, comunità. I colori sono puri, saturi e luminosi, e rappresentano un’atmosfera piacevole e piena di vitalità e libertà. Qui i personaggi sono felici e accoglienti. Lo vediamo proprio dal loro aspetto, che riflette un senso di gioia e di liberà da un mondo repressivo.

Eccetto Emily, la sposa cadavere. Il suo corpo e i suoi vestiti sono di un colore blu pallido e freddo, come se una parte di sé stesse ancora nel mondo dei vivi. Non è gioiosa come gli altri. Porta infatti il colore blu, che come vediamo in Inside out, simboleggia tristezza all’interno dell’immaginario collettivo.

Emily è dunque il ponte tra questi due mondi. Il suo abito da sposa strappato e la pelle blu raccontano visivamente il suo stato sospeso: è un corpo spezzato, ma un’anima viva. Persino le farfalle blu, che ricorrono nel film, diventano simbolo di trasformazione, rinascita e libertà. Questa dialettica cromatica amplifica dunque le emozioni stesse. Rendendo il viaggio di Victor anche un viaggio visivo, una transizione dal controllo alla liberazione, dalla paura al desiderio, dall’immobilità alla vita intensa.

Satira, humour nero e il mondo alla rovescia

Oltre al romanticismo gotico, La sposa cadavere è anche una commedia sociale sottile ed al contempo pungente. Burton usa i personaggi secondari per smontare le ipocrisie della società vittoriana: famiglie ossessionate dallo status, matrimoni combinati, unioni fatte più di calcoli che di sentimenti. Una realtà che sembra lontana, ma che non lo è. Basti pensare al film di Celine Song: Material Love, in cui l’amore deriva spesso da calcoli ben precisi.

La famiglia Everglot, con le sue alte ambizioni e le sue tasche vuote, diventa il simbolo di un’aristocrazia decadente, mentre i Van Dort, nuovi ricchi privi di raffinatezza, incarnano il desiderio di riscatto sociale. Tutti sembrano vivere in funzione dell’apparenza, e in questo senso Burton ribalta la prospettiva: nel mondo dei vivi si soffoca, nel mondo dei morti si respira. Persino i nomi non sono affatto casuali:

“Mi serviva soprattutto per cercare di evidenziare come nel mondo dei vivi la gente sia molto sistematica, rigida. Siamo nell’epoca vittoriana, l’uomo si chiama Victor, la donna Victoria…. Non c’è fantasia, ma si segue la burocrazia.”

L’umorismo nero attraversa ogni scena: scheletri che scherzano sulla propria morte, canzoni che trasformano il lutto in festa, battute che alleggeriscono i momenti più malinconici. È un cinema che non teme l’ambivalenza, e che trova poesia nella decadenza e nella speranza dell’oscurità. Burton non ci racconta semplicemente una storia: ci invita a guardare i confini tra vita e morte, tra desiderio e dovere, tra quello che siamo e quello che potremmo essere.

La sposa cadavere

  • Anno: 2005
  • Durata: 77 minuti
  • Distribuzione: Warner Bros
  • Genere: animazione, fantastico, musicale, sentimentale, drammatico
  • Nazionalita: USA, Regno Unito
  • Regia: Tim Burton