Lux Æterna, presentato al Festival di Cannes 2019, segna un ulteriore passo nella continua esplorazione dell’assurdo da parte di Gaspar Noé . Proprio quando sembra che ogni limite estremo della narrazione sia già stato oltrepassato, il regista francese interviene per dimostrarci il contrario: il cinema resta un’arte in divenire e i suoi confini sono tutt’oggi estensibili. L’opera trova un equilibrio sorprendente tra racconto classico e sperimentazione, sfiorando a tratti il territorio della videoarte, ma identificandosi infine in una delle forme più pure di metacinema. Sarà il contrasto fra normalità e improbabilità a dare credibilità al suo finale, un epilogo sofferente in cui Noé riafferma la verità fondante della sua intera carriera: l’arte nasce e muore nel caos.

Il controverso autore si affida a un’evidente direzione attoriale fortemente improntata all’improvvisazione. Se da un lato le premesse si rivelano promettenti, dall’altro il risultato finale lascia intravedere una visione complessiva intensa ma non sempre sorretta da una chiara definizione dei rapporti tra i personaggi.
Lux aeterna. Dirigere l’improbabile
La pellicola segue le riprese del primo film da regista di Béatrice Dalle, dedicato all’antica usanza di bruciare le streghe. Sul set, però, la tensione all’interno della crew cresce fino a esplodere in un finale in cui le attrici, tra cui Charlotte Gainsbourg, lasciate sole legate al palo del rogo, sono travolte da un vortice visivo epilettico e violento alle loro spalle, che diventa un vero e proprio assalto sensoriale, fino alla dissoluzione totale delle figure delle attrici tramite dissolvenza.

Attraverso tecniche come lo split screen e l’inserimento di materiali d’archivio, il regista franco-argentino spinge all’estremo la rappresentazione della realtà di molti set cinematografici, con le loro follie imprevedibili e, talvolta, necessarie. L’arte può nascere dal caos, ma il caos, a sua volta, può generare solo distruzione e morte: questo sembra essere il grido di Gaspar Noé, seppure avvolto da un’intenzione autoriale che sceglie spesso l’ambiguità.
Un buon film, specie se sperimentale, non deve necessariamente contenere un messaggio -imporlo significherebbe tradire la natura stessa del cinema come sfogo o impulso irrazionale. Eppure, è difficile non cogliere nel lavoro di Noé un significato, forse accidentale ma nitido, che finisce per riportarci bruscamente alla realtà.
La visione di Noé: problematiche narrative
Lux Æterna, pur animato da intenzioni autoriali notevoli e degne di ammirazione, si colloca tra quei film sperimentali che aspirano a essere più di quanto riescano a diventare. L’opera di Noé si presenta come uno sfogo urgente, che però non raggiunge una reale profondità, limitandosi a suggerirla. La libertà espressiva del noto regista visionario – indubbiamente invidiabile – contribuisce a decostruire e ricostruire il modello classico di narrazione audiovisiva. Tuttavia, questo non basta: Noé tenta di condensare una molteplicità di conflitti, ma il conflitto, per essere incisivo, necessita di una struttura solida. Qui, invece, tutto si disperde in un caos fine a sé stesso, ricco di simbologie ma povero di concretezza.
L’unico micro-conflitto realmente ben costruito è quello che vede Charlotte Gainsbourg alle prese con le telefonate alla baby sitter del figlio, ferito da un compagno di scuola: un tentativo di essere presente come madre mentre sul set il disordine continua a dilagare.
È legittimo interpretare gran parte del mediometraggio come un lungo crescendo verso il finale, che rappresenta il vero nucleo della pellicola. Non si tratta, però, di una risoluzione parziale o totale, ma di un apice narrativo che, curiosamente, nella struttura classica di una sceneggiatura corrisponderebbe a metà del secondo atto.
Lux Æterna è una vertigine verso gli Inferi, mentre tentiamo invano di capire cosa ci abbia spinti lì.
Disponibile ora su MUBI