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Conversation

‘Il Mio Compleanno’ conversazione con Silvia D’Amico

Ne 'Il Mio Compleanno' Silvia D’Amico cambia ancora una volta pelle per dare vita a un ritratto di madre struggente e disperato. Del film abbiamo parlato con Silvia D'Amico

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silvia d'amico il mio compleanno

Nell’opera prima diretta da Christian Filippi (Il mio compleanno) Silvia D’Amico interpreta una madre in fuga dall’affetto del proprio figlio. De Il mio Compleanno e del suo personaggio abbiamo parlato con Silvia D’Amico.

Il mio compleanno è distribuito nella sale da Cattive Produzioni.

Qui per leggere la conversazione con Giulia Galassi e qui per quella a Simone Liberati.

Silvia D’Amico ne Il mio compleanno

Ne Il mio compleanno Antonella è, allo stesso tempo, il centro del desiderio e, almeno nella prima parte, anche un’assenza. Considerato che tutta la storia è raccontata per sottrazione e che alla pari degli altri interpreti anche tu entri in scena senza altri preamboli, volevo chiederti se in qualche modo prima di iniziare a girare hai vissuto dentro di te le vicende pregresse del tuo personaggio?

Quando prepari una parte la lettura del copione ti fornisce gli spunti necessari per andare a cercare le informazioni che gli altri personaggi hanno del tuo. Capire che sapore ha quello che fai, come sei, cosa dicono di te, che tipo di attesa c’è nei tuoi riguardi e soprattutto cosa si attende Riccardino dall’incontro con sua madre. Come attrice ne ero molto consapevole anche se rispetto agli altri il mio personaggio non lo è affatto. L’anarchia mentale lascia ad Antonella pochi sprazzi di lucidità, dunque, paradossalmente quando appare sullo schermo, la storia prevede che non sia cosciente di tutto quanto è accaduto nella vita precedente. La consapevolezza subentra solo in un secondo momento e sarà quella che poi la porterà a dire certe cose al figlio, magari nella maniera sbagliata, ma comunque sufficienti a indirizzare il corso delle loro esistenze. Rispetto al solito questa volta ho fatto un lavoro un po’ diverso. Di norma uno mette insieme i pezzi e poi lavora in maniera piuttosto consequenziale anche se poi non è detto perché gli esseri umani non sono sempre lineari. Per interpretare Antonella ho girato soltanto dopo aver studiato e parlato a lungo con Christian Filippi per capire cosa voleva comunicare nel mettere in scena un personaggio così problematico. Ho lavorato molto anche di istinto e sensibilità.

In compenso però la tua entrata in scena è una vera e propria epifania, di quelle destinate a ricordarsi. La tua figura infatti appare trasfigurata, immersa com’è in un impasto di luce rossastra che proietta Antonella in una dimensione allo stesso tempo reale e sognata, volta a restituire il desiderio di rivedere la madre da parte di Riccardino. Nel primo piano il tuo viso è leggermente spostato di lato e il sorriso appena accennato basta al ragazzo per riempire il vuoto che c’è stato prima di te. 

Questa è proprio una delle magie del cinema. Parlo di quando riesci a inserirti in un contesto creato dagli altri e tu sei l’ultima cosa che manca, quella luce di umanità dentro l’opera d’arte creata da altre persone. Abbiamo lavorato molto su come avrebbe dovuto essere anche fisicamente questa apparizione. Abbiamo ragionato sul fatto di non dare l’impressione che un personaggio con una malattia mentale dovesse essere per forza classificato in quel modo, con i capelli sporchi, i vestiti trasandati, un po’ tossica, un po’ da centro sociale. Non ero molto d’accordo con questa rappresentazione, poi però a convincermi è stato che sia Christian che la costumista, gli scenografi e il direttore della fotografia volevano dare l’idea di questa madre che fosse un po’ una Madonna moderna. Non è un caso che Maria sia il soggetto del murales presente in una delle ultime immagini del film.

La laicità di alcune scene

Il riferimento c’è ed è presente nell’intero contesto se è vero che gli ultimi momenti dell’incontro tra Riccardino e Antonella rimandano a una versione laica dell’Ultima Cena.

Questa è una delle cose del mio lavoro che amo di più, quando ti accorgi che dietro alla ricerca di un personaggio c’è il lavoro e il pensiero di tante persone come capita per questo ruolo dal quale non ti aspetti che abbia a che fare con la più classica delle iconografie. Questo per dire come il risultato finale del film sia stato il frutto dell’immenso lavoro di tutti i membri della troupe.

Le luci del direttore della fotografia Matteo Vieille Rivara per esempio sono il risultato del suo lavoro quotidiano con il regista e così è successo con tutti gli altri comparti. Questo tipo di collaborazione è fondamentale soprattutto quando si lavora a un film come questo in cui il tempo a disposizione è poco. La conseguenza è una lavorazione più organica e facile in cui ogni tassello trova posto nella maniera più delicata e precisa. Questo succede quando nessuno esce fuori dal suo posto. Con ciò non vuol dire che uno debba rinunciare alla possibilità di creare. Ciascuno è chiamato a portare il suo contributo, ma deve farlo amalgamandosi con gli altri.

A proposito della laicità del riferimento mariano connesso con il tuo personaggio volevo chiederti se hai pensato il tuo come a una figura pasoliniana. Spesso si tratta di un termine abusato, ma in questo caso mi pare davvero appropriato.

Si tratta di un gran complimento, ma il fatto che tu lo abbia fatto senza che nessuno di noi abbia pensato a quello fa parte di quei miracoli del cinema di cui parlavo prima. Le nostre reference erano collegate a film più moderni che fanno parte delle passioni di Christian; poi è chiaro che quando inserisci simboli e significati può accadere che ci si sposti su qualcos’altro e che come in questo caso venga in mente Pasolini.

Silvia D’Amico ne Il mio compleanno: madre e figlio

Sì, perché Il mio compleanno a un certo punto mette in campo una madre e un figlio che cenano insieme per l’ultima volta prima che un tradimento cambi per sempre le esistenze dei personaggi.

Il nostro riferimento principale era L’Enfant dei Fratelli Dardenne mentre il legame con la figura di Maria a cui rimandava il Murales era il modo per trovare un’iconografia moderna in grado di dare spessore alla funzione del personaggio; al suo essere madre oltreché donna. Christian e gli altri sono stati bravi a osare e alla fine penso siano riusciti a ricostruire la complessità di Antonella evitando di ridurla alla collezione di cliché con cui il cinema ama presentare i personaggi borderline.

La prima immagine di Antonella deriva dalla visione idealizzata che Riccardino ha di sua madre. A livello di interpretazione cosa cambia quando devi interpretare lo sguardo degli altri e cosa succede invece quando sei tu a farti portatrice dello sguardo del tuo personaggio?

C’è molta differenza. Qui è stato importante tenere bene a mente a che punto dovevo entrare in scena. In questo caso la prima apparizione di Antonella arriva a metà film, con la madre che è investita dello sguardo del figlio e in qualche modo subisce tutto ciò che è accaduto prima. Patisce i sensi di colpa e il senso di mancanza che lei ha provocato nel figlio. Il primo sguardo di lei è molto dolce e accogliente come per compensare le sue mancanze. In maniera inconsapevole Antonella subisce il desiderio del figlio nei confronti della madre però come attrice devi essere cosciente di questo perché solo così ti puoi intonare a quel momento del racconto. Poi, certo ad aiutarmi nell’interpretazione è stata la dimensione sognante dell’elemento emotivo che regista e direttore della fotografia sono stati capaci di creare attraverso l’espressionismo dei colori. Detto questo quando si passa alla scena del giorno dopo la situazione si capovolge perché al risveglio è la madre a prendere il sopravvento sul figlio. Lì viene fuori il mio sguardo, con quello che ne consegue in termini di recitazione.

Altri richiami

Continuando a parlare di sequenze iconografiche che ti riguardano mi vengono in mente quelle presenti in Comandante. Anche lì la tua prima apparizione era affidata alla capacità di fare del tuo corpo un concentrato di segni capaci di rendere un prototipo di femminilità. In poche immagini il personaggio di Irina Todaro doveva restare in mente allo spettatore per il resto del film e così è successo. Sei consapevole di avere questa dote?

Sì, ne sono consapevole e devo dirti che questa mi deriva da due cose: la prima è che il mio percorso di attrice non è iniziato con un exploit pazzesco in cui uno parte subito con ruoli da protagonista. Il fatto di iniziare con parti più piccole ha sviluppato in me la capacità di capire quale deve essere la densità di uno sguardo che appare per pochi minuti. Certo, come protagonista hai più responsabilità però hai anche più possibilità di far vedere il percorso che fa il tuo personaggio, di far affezionare lo spettatore a quello che fai. Inoltre, e questa è la seconda cosa, anche qui, come in Comandante, ho avuto la fortuna di essere inserita dentro un’opera pittorica di cui uno deve essere consapevole per potervisi inserire diventandone parte integrante con quella densità di cui parlavo. Tieni conto che Comandante poteva contare sulla fotografia di Ferran Paredes Rubio, i costumi di Massimo Cantini Parrini e le scenografie di Carmine Guarino. Edoardo De Angelis poi è un regista con una visione non solo estetizzante, ma anche quella onirica e densa di significati. Un contesto del genere ha favorito in maniera naturale la mia capacità di rimanere impressa ed essere valorizzata seppure sia stata sul set soltanto due giorni.  

Il rapporto di Silvia D’Amico con Il mio compleanno

Se ne Il mio compleanno la tua entrata in scena è più ideale che reale, nel resto del film il personaggio di Antonella diventa parte integrante di una realtà materica fatta di possesso e di corpi che si incontrano e si scontrano. Questo ha richiesto un’interpretazione molto fisica da parte di voi attori.

In effetti abbiamo lavorato molto su questo. Nelle due settimane di prove con il regista e Zackary Delmas questa cosa è venuta fuori naturalmente perché sapevamo che i baci, le aggressioni, le capriole non erano scritte nella sceneggiatura. In quel poco tempo ho capito che dovevo prendere e assimilare nel mio corpo le cose di Riccardino. Essendo una madre di un certo tipo dovevo essere capace di partire da come era lui per poi sovrastarlo. Antonella infatti fagocita il figlio: è selvaggia, ingombrante, invadente, ancora più fisica di lui. Tutto quello che ne è seguito è entrato nel film ed è stata la conseguenza di queste riflessioni. Forse se avessi incontrato un altro Riccardino il mio personaggio sarebbe stato diverso. Detto questo a me piace quando le cose non sono tutte scritte sulla carta e dunque quando esiste la possibilità che possano nascere dall’osservazione. In questo Zackary penso sia straordinario. Con lui ci siamo intonati perfettamente forse perché tra le nostre caratteristiche attoriali ci sono quelle della fisicità, della rabbia e dell’aggressione. Come attore sono cose che hai di tuo oppure no.

All’interno della stessa scena il tuo personaggio passa da un umore all’altro. In questo correvi il rischio di recitare la patologia più che la persona. Al contrario nel film la riuscita del tuo lavoro risiede nel fatto che la malattia fa parte della vita di Antonella al pari delle altre cose. È parte della sua personalità e in quanto tale non si esaurisce con quella. 

Spero che il mio lavoro sia andato in questa direzione nella maniera sperata. Ovviamente sono una che non si accontenta mai, ma in questo caso analizzando tutto il contesto sono rimasta contenta perché non era facile riuscire a farlo avendo poche scene a disposizione. Far finta che tutto accadesse con estrema naturalezza è stata una delle cose più difficili che mi sia capitato di fare. Per riuscirci ho dovuto studiare mesi portandomi il personaggio sulla mia pelle.

Il cinema di Silvia D’Amico

Parliamo del cinema che ti piace.

Il cinema che mi ha fatto crescere quando ero piccolissima era quello delle commedie all’italiana che si guardava sulla RAI  dopo pranzo. Durante l’estate passata nel paese dei nonni il rituale prevedeva di vedere quei film sul lettone di mia nonna. In quella maniera mi sono innamorata del cinema italiano. Oggi le mie visioni riguardano anche il cinema internazionale. Tra gli attori che mi appassionano di più per il suo modo di perdersi nei personaggi e per il suo mix di controllo e abbandono è Joaquin Phoenix.

Il Mio Compleanno

  • Anno: 2025
  • Durata: 92'
  • Distribuzione: Cattive Produzioni
  • Genere: drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Christian Filippi
  • Data di uscita: 14-May-2025