Tra i tanti volti del cinema italiano presente all’81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica abbiamo scelto quello di Giulia Galassi, interprete de Il mio compleanno di Christian Filippi per la capacità di farsi sguardo del suo personaggio. A lei abbiamo chiesto del film, del suo modo di essere attrici e dell’importanza di aver frequentato quella fucina di talenti che è la Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volontè.
Il mio compleanno di Christian Filippi è stato presentato all’81esima Mostra del cinema di Venezia nell’ambito della Biennale College.
foto Matteo Sasilli
Giulia Galassi ne Il mio compleanno
Voglio partire più o meno dalla stessa domanda che ho fatto al regista e cioè di come la sequenza iniziale stabilisca le gerarchie tra i personaggi e in particolare tra Simona, il tuo personaggio, e quello di Riccardino interpretato da Zackari Delmas. Questo per dire di quanto la tua performance dipenda anche dall’intesa con il tuo collega.
Abbiamo lavorato tanto sul fatto che il punto di vista del film doveva essere quello di Riccardino. Sia io che Silvia D’Amico siamo partiti dal cercare di capire che tipo di relazione potevamo avere con lui. Sin dal provino abbiamo pensato che Simona avesse un rapporto privilegiato con il ragazzo, come poi conferma la prima sequenza, quella in cui dico al personaggio interpretato da Simone Liberati di non chiamare la polizia. Nel momento del bisogno esce fuori il senso di protezione di Simona nei confronti di Riccardino.
Simona entra nel film senza alcuna mediazione. A parte il suo lavoro, di lei non conosciamo nulla perché il resto della sua vita rimane fuori campo. A te era chiesto di rimanere immersa nel presente, ma al contempo di farci sentire le conseguenze dell’esistenza passata.
Mi fa piacere che tu abbia notato questo aspetto perché è una cosa su cui con Christian abbiamo ragionato molto. Nel film si capisce che Simona prima di diventare educatrice è cresciuta nella casa famiglia, ma sono informazioni appena accennate mentre per me capire il passato del mio personaggio era fondamentale per farlo vivere nel presente del film. Con Christian abbiamo immaginato tanto di quella vita e alla fine in qualche modo è entrata dentro di me come se l’avessi davvero vissuta.
Il rapporto con gli altri personaggi
Il modo in cui ti rivolgi al ragazzo non è solo quello di un’educatrice, ma anche di una madre. Nel far questo smetti di essere attrice per diventare persona.
Sì, certo, lei potrebbe essere l’una e l’altra. Prima di iniziare a girare, con Christian ne abbiamo parlato molto, ma quello che ne è venuto fuori è rimasto tra noi: è servito a me per poter immaginare il mondo del mio personaggio mentre nel film è appena suggerito. Rispetto alla trasformazione di cui parli per me è importante sapere che sullo schermo c’è solo Simona perché si lavora soprattutto per questo. Da parte mia ho cercato di tenere presente il passato del personaggio perché farne sentire l’eco accende la curiosità di chi guarda il film.
Giulia Galassi e la sua Simona in scene collettive
Nel costruire il personaggio sul set non avevi molto a cui fare riferimento. Le tue sono per lo più scene collettive poco caratterizzate dal punto di vista degli ambienti e degli accessori. Neanche il modo di vestire di Simona, sempre molto sobrio, ti offriva materia per approfondire il personaggio. Questo mi fa dire che hai dovuto lavorare molto con te stessa e con la tua immaginazione.
Simona è stata costruita lavorando molto di sottrazione. Con la costumista siamo partiti dal fatto che lei è una che fa cose pratiche. Abbiamo immaginato che avesse un minimo di senso estetico, ma che non fosse una che si cambia tutti i giorni.
Questo ci dice anche di una donna che punta all’essenziale rinunciando al resto.
Sì, questo sì. La domanda sulle scene collettive e sugli accessori è interessante. Non ci avevo pensato nel modo che hai fatto tu. Il fatto di vedere Simona sempre insieme ad altre persone è dovuto al fatto che nelle casa famiglia sono pochi gli spazi privati. Non a caso l’unica scena in cui è davvero sola è quella in cui la vediamo leggere un libro nella stanza poco prima che Manuel entri per invitarla a una festa.
Ti ho chiesto delle scene collettive perché lì si trattava di trovare l’equilibrio capace di far emergere il tuo personaggio senza dare l’impressione di farlo. Essendo per lo più mescolata con altre persone il rischio era quello di apparire troppo o troppo poco. Tu invece sei riuscita a trovare il giusto equilibrio.
Mi fa piacere sentirti parlare di equilibrio perché è una delle cose su cui lavoro di più. A me interessa che Giulia Galassi sparisca facendo rimanere in scena solo il personaggio. Se poi quest’ultimo all’interno della scena ha un preciso spazio d’azione questa condizione di realtà si raggiunge attraverso il lavoro certosino con gli altri attori, con il direttore della fotografia, con gli operatori di macchina. La condivisione dello stesso obiettivo con gli altri membri della troupe è qualcosa che ho imparato alla Volontè, essendo consapevole che si tratta di un’esperienza da cui non si smette mai di imparare.
Realismo e improvvisazione
Parlando del suo lavoro con i fratelli Dardenne, Fabrizio Rongione mi diceva di come il realismo delle interpretazioni sia quanto di più lontano dall’improvvisazione e invece frutto dell’assoluto controllo del set e delle lingue con prove fatte prima di iniziare a girare.
Quello è anche il mio modo di lavorare. Con Christian abbiamo avuto la possibilità di procedere così, facendo un mese di prove quotidiane in cui c’eravamo Zack, io e gli altri ragazzi. Questo ci ha permesso di arrivare sul set già preparati e di rispettare i limiti di tempo a cui ci obbligava l’esiguità del budget. Magari poteva capitare che sul set ci fosse bisogno di aggiustare le luci, di controllare le scenografie, ma per quanto riguardava le relazioni tra i personaggi e le intenzioni di ognuno di questi siamo andati dritti al punto senza problemi.
Mi viene da pensare che dopo prove così intense, una volta sul set, espressioni, modi di parlare e di muoversi escano fuori in maniera automatica, come se facessero parte da sempre di te. È così?
A me ha aiutato il fatto che il set coincidesse con lo spazio di produzione e dunque con la casa famiglia in cui si svolge la vicenda. Essere immersi per tutto il tempo nelle scenografie e nello spazio d’azione del film ha facilitato il percorso di immedesimazione con Simona. Questo senza correre il rischio di non uscire più dal personaggio e dunque di portarmelo a casa. Poi magari è chiaro che per forza di cosa in lei è entrato qualcosa di me.
Il rapporto di Giulia Galassi con i suoi personaggi
Quindi come ti poni rispetto all’esperienza di attori come Daniel Day Lewis che entrava ogni volta così tanto nella parte da impiegare mesi per uscirne?
Non sono una grande fan di questo tipo di transfert per cui poi vivi male il resto della vita. Tieni conto che come Day Lewis di attori che poi arrivano ai suoi risultati non ce ne sono tanti. Mettere in pratica certe forme di immedesimazione comporta grande fatica psicologica e un dispendio di energie che può risultare anche tossico. Ricordiamoci che anche noi abbiamo una nostra scuola capace di fornire gli strumenti per interpretazioni convincenti. Non c’è solo il metodo americano che Gian Maria Volonté era uno dei pochi ad applicare. Mi ricordo di Anna Magnani quando diceva che non importava se le sue lacrime erano indotte dalla glicerina, ma piuttosto lo era il fatto che il pubblico ci credesse. Ecco, io sono di questa idea, tenendo conto che, come dici tu, alcune cose succedono senza preavviso, come per esempio incominciare a muoverti in un certo modo e fare cose che normalmente non faresti. Sei stai tanto tempo dentro una storia e un personaggio questo può succedere a prescindere.
Nel film Simona appare sempre insieme ad altre persone eppure, anche per quanto si scoprirà nel corso della vicenda, lei è una persona sola. Questo mi porta a dire che hai dovuto lavorare molto sul sentimento di solitudine. È stato così? In questo, come in altri casi in cui devi ricreare uno stato d’animo, come ti comporti, che metodo usi?
Penso sia un meccanismo davvero molto sottile e anche un po’ istintivo. Io sono una grande lettrice, cioè leggo da sempre e nel momento in cui sto in una storia una parte della mia psiche inizia a ragionare secondo il punto di vista dei personaggi. A maggior ragione questo succede anche con le sceneggiature. Poi ti devo dire che uno dei grandi meriti della Scuola Volonté è quello di averci fornito tutti gli strumenti che potevano servire alla recitazione senza fare distinzione tra i vari metodi. Io li uso un po’ tutti a seconda della necessità e del regista con cui sto lavorando, indipendentemente alla grandezza del ruolo. Rispetto a una scena mi concentro sempre sulle azioni del mio personaggio, al suo rapporto con gli altri, tenendo presente che poi dobbiamo raccontare anche altro, per esempio la sua vita passata, il condizionamento di un trauma precedente, un particolare stato d’animo. Come ci si arriva non è facile ma spero comunque di aver risposto in qualche modo alla domanda.
La scuola Gian Maria Volonté
Tu sei uno dei tanti talenti usciti fuori dalla Scuola d’Arte Cinematografica Gian Maria Volontè. Quest’ultima tra i tanti meriti ha quello di essere una scuola pubblica e gratuita, dunque di offrire a chi merita la possibilità di intraprendere un determinato percorso di apprendimento artistico.
La scuola nasce con l’idea che chiunque deve avere la possibilità di formarsi tenendo conto che il nostro è un settore per privilegiati. Io stessa sono stata tra i fortunati che si è potuta permettere di fare questo lavoro grazie a una famiglia alle spalle che mi ha molto sostenuto sia moralmente che economicamente. Non per tutti è così: ci sono molti colleghi e colleghe che non sono andati avanti perché magari all’inizio non hanno preso parte a lavori di qualità e in seguito non si sono più potuti permettere di continuare. Alla Volonté questo limite non c’è e questa è la sua qualità più grande. L’altra è quella di formare tutti su tutto. Il mio corso nei primi sei mesi ha studiato quello che si fa in tutti i reparti, cosa che oggi mi permette di essere molto cosciente di cosa accade sul set. Per fare bene il mio lavoro è importante sapere quello delle altre persone presenti sul set. Negli studi che avevo fatto in precedenza non c’era questa coscienza. Si studiava rimanendo sempre concentrati sull’attore. Alla Volonté non è così.
A questo proposito volevo chiederti del tuo rapporto con la telecamera e di come riesci a “guardarla” facendo finta che non esista.
È una cosa che si studia. Quando lo fai ti senti come una specie di marionetta, ma poi capisci che è tutto funzionale alla resa finale. È lì che ti rendi conto di come un determinato movimento, che magari non è molto naturale, riesce invece a migliorare la tua performance e quella dell’operatore. Alla fine si ritorna a quello che diceva la Magnani e cioè che non importa come lo fai, ma quanto il pubblico è disposto a crederti. Si tratta di un lavoro molto minuzioso che non si smette mai di imparare. Mi ricordo di un laboratorio con Elio Germano in cui lui fece venire due operatori a riprenderci per tutto il tempo dicendoci che la prima cosa era abituarci alla presenza delle mdp fino al punto di dimenticarcene. Questo senza smettere di essere presenti all’interno della scena in cui eravamo coinvolti. Considera che nel cinema la mdp ti sta a pochi metri dalla faccia, spesso si tratta di centimetri per cui se non sei naturale si nota subito.
Il triangolo che avvolge i personaggi
La particolarità della storia fa sì che il rapporto tra te e Riccardino si trasformi in una sorta di triangolo quando, a un certo punto, entra in scena Antonella, la madre biologica di Riccardino. Il denominatore comune di queste relazioni è che il bisogno d’amore viene espresso attraverso il contatto del corpo e dunque da carezze, abbracci e condivisione dello spazio.
Anche su questo abbiamo parlato e lavorato molto con Christian e Zack. A me interessava concentrarmi sulla consapevolezza di Simona di fare parte di questo triangolo. A differenza del personaggio di Silvia D’Amico che è intransigente contro chiunque si metta tra lei e Zack, Simona si rende conto di non essere la madre biologica e di quanto per il ragazzo sia importante il rapporto con Antonella. Non a caso è l’unica che lo sostiene e che gli promette di fargliela incontrare di nuovo.
All’interno di quel rapporto non diventi mai antagonista.
Con Christian abbiamo parlato di come Simona non voglia mettersi di mezzo tra Riccardino e Antonella e anzi di come desideri che quel rapporto si normalizzi anche sapendo che ciò è impossibile. Vedendo il film mi sono resa conto della componente di accettazione che ci fa dire, “va bene, le cose non sono andate come dovevano, ma bisogna comunque andare avanti”. Questo fa sì che anche il percorso di Simona cambi sull’esempio di quanto succede a Riccardino.
Giulia Galassi e il suo cinema e i suoi registi
Partendo da quello con Christian volevo chiederti come intendi il rapporto con il regista e ancora con che tipo di regista ti piace lavorare.
Un regista come Christian lo auguro a qualunque attore. Lasciando da parte la nostra amicizia, abbiamo sempre saputo di avere una visione comune del mondo e non solo del cinema. Nonostante sia il suo primo film e lui sia molto giovane, ha le idee molto chiare su tutto: non solo sulla recitazione, ma anche sulla fotografia, i costumi e così via. Partendo da questa consapevolezza Christian si fida tantissimo dei suoi collaboratori e questo lo porta a guidare il set lasciando spazio a chi è competente in un determinato settore. Lui ti fa capire dove vuole arrivare chiedendoti di aiutarlo a raggiungere il traguardo. È come se si facesse prendere in mano da te e questo lo porta a fare un bel film. Di Simona lui aveva un’idea molto precisa, ma si è anche fidato delle proposte che io gli ho fatto o delle cose che sono venute fuori senza ragionarci. Parliamo di un equilibrio delicatissimo, quello del rapporto tra regista e attrice che però, quando si raggiunge, fa miracoli. Nel farlo entrambi ci siamo dati al massimo.
Ti volevo chiedere del cinema che preferisci.
Credo di essere abbastanza eclettica. In questo senso mi piacciono molto gli inglesi, primo fra tutti Ken Loach. Poi Terry Gilliam per la sua componente visionaria, e ancora Alice Rohrwacher e Xavier Dolan. Poi se devo dirti un film è La sera della prima di John Cassavetes in cui recita quella che per me è il mio modello d’attrice e cioè la grande Gena Rowlands.