Il film, in concorso al RIFF, è un’opera coraggiosa, cruda, che sceglie di affrontare un tema ostico con lucidità in cui il regista indaga un territorio quasi totalmente inesplorato
L’esordio al lungometraggio del regista tedesco Steve Bache, No Dogs Allowed, arriva in concorso al Riviera International Film Festival. Vincitore nella sezione First Feature del 28° Tallinn Black Nights Film Festival, il film di Bache, ispirato a una storia vera, è un’opera coraggiosa, cruda, che sceglie di affrontare un tema ostico, raramente rappresentato sullo schermo, e forse per questo complesso da digerire in alcune sequenze.
Il RIFF si definisce il festival del cinema indipendente e ribelle.
“Siamo noi che diamo voce a voi quando voi date voce agli altri. Quando ci raccontate le cause che vi tengono svegli la notte e le storie di cui nessuno sente mai parlare.”
Bisogna, quindi, riconoscere la coerenza e l’audacia della manifestazione che presenta nel suo programma No Dogs Allowed.
La storia segreta di un quindicenne come gli altri
Nel 2005, la Germania ha lanciato il progetto di prevenzione Dunkelfeld, un’iniziativa sociale volta a fornire supporto clinico alle persone con tendenze pedofile. L’obiettivo principale era prevenire ulteriori casi di abuso sessuale, creando al contempo una cultura di auto-segnalazione. I pazienti venivano sottoposti a terapia cognitivo-comportamentale e assumevano farmaci mirati a ridurre il desiderio sessuale.
Steve Bache racconta la storia di Gabo, un quindicenne che apparentemente è come tanti suoi coetanei: frequenta il liceo, ha un migliore amico, Sebbo, con cui si incontra anche dopo scuola per giocare ai videogiochi, scorrazza in biciletta da una parte all’altra della zona residenziale dove vive con la madre e la sorella maggiore. Le sue figure familiari di riferimento sono entrambe assenti. La sorella ormai frequenta più la casa del fidanzato che la sua; la madre, invece, è disoccupata e mostra evidenti tendenze depressive che spingono Gabo a svolgere il ruolo di genitore più che di figlio.
La verità, però, è che il protagonista nasconde un segreto ingombrante: prova un’attrazione sessuale e romantica per un bambino di 8 anni, Sam, fratello minore del suo migliore amico. Il ragazzo è perfettamente consapevole della sua condizione, tenta più volte di denunciare il suo comportamento per cercare un consulente psicologico, ma si ritrova invece a comunicare su un forum online con Dave, un ebefilo (persona attratta da adolescenti tra gli 11 e i 15 anni).
Dave ha una quarantina d’anni, una famiglia e un lavoro prestigioso in azienda, sembra riuscire a gestire la sua doppia vita e diventa il mentore di Gabo. Dopo qualche incontro amichevole, però, il rapporto diventa proprio quello che ci si aspetterebbe: quello tra un adescatore e la sua vittima. Attraverso tecniche di manipolazione psicologica, Dave convince Gabo ad avere rapporti sessuali con lui.
Quando l’adescatore viene arrestato per violenza sessuale su un altro minore, la polizia inizia a indagare e Gabo viene interrogato come possibile vittima. Da qui l’inizio della spirale infernale che trascinerà il protagonista sempre più in basso: chiedere aiuto e confessare la sua pedofilia a familiari e amici durante la terapia? Oppure tenerla segreta, vivere una vita di desideri repressi e diventare complice di Dave?
I cani non ammessi in società
No Dogs Allowed vira verso il thriller, con suspense e intrecci di trama. Trova nella seconda parte il suo equilibrio drammatico, in cui le azioni e le motivazioni di tutti vengono messe in discussione, compresi il personale scolastico, i genitori e le autorità. La sceneggiatura di Stephan Kämpf non fornisce risposte facili, ma pone molte domande difficili. I dialoghi non sono artificiosi né retorici, anzi, seguono il naturale flusso degli eventi lasciando spazio ai silenzi, ai gesti, agli sguardi.
Il tema della pedofilia è uno di quei tabù ancora molto radicati nella società. Quest’opera costringe lo spettatore a guardare tra le pieghe di quello che considera mostruoso, aberrante, e lo fa con schiettezza e lucidità. No Dogs Allowed si spinge lì dove pochissimi hanno avuto il coraggio di andare. Utilizzando il punto di vista di un giovanissimo potenziale predatore (a sua volta abusato) sottolinea il fondamentale aspetto dei disturbi parafilici. Ovvero che, quando parliamo di pedofilia, siamo nel campo delle patologie psichiatriche e non della volontà. Una patologia complessa e dolorosa da gestire anche per questo totale rifiuto della società di farsene carico.
Tra i punti forti del lavoro di Bache c’è senza dubbio anche il cast che regala performance bilanciate e credibili. In particolar modo quella di Carlo Krammling nei panni di Gabo, perno di No Dogs Allowed con la sua straziante sofferenza e solitudine, sospeso tra i sensi di colpa e l’istinto di sopravvivenza.
L’impresa audace di regista e sceneggiatore funziona per buona parte del film, tracciando i contorni del protagonista con empatia e senza giudizio. Riesce probabilmente perché Gabo è ancora un quindicenne che non mette in atto comportamenti abusanti sui minori. Quella stessa audacia, però, li spinge a mostrare sequenze esplicite, forse scadendo in questi casi nella feticizzazione e nella romanticizzazione di alcune situazioni.
Nonostante questi inciampi evitabili, No Dogs Allowed resta un’idea originale e ardita, realizzata con cura. È lo sforzo di portare sullo schermo una storia che sembra impossibile raccontare e che merita di essere vista.