Secondo un’antica leggenda cinese, ogni individuo è legato da un filo rosso ad altre persone, creando legami inesorabili che ne determinano il percorso di vita. Questa connessione simbolica è il cuore pulsante del cortometraggio Il Filo Rosso di Elisa Cherchi, che sarà presentato alla XVIII edizione del Festival Internazionale della Cinematografia Sociale “Tulipani di seta nera”. Un’opera che racconta l’esperienza di Yuan Yuan, una terapista artista proveniente da WanZhou, che arriva a Milano nel 2019. Grazie alla sua arte, che si nutre di materiali riciclati e del simbolo del filo rosso, Yuan Yuan cerca di unire le persone, regalando loro un senso di comunità e di appartenenza. Tuttavia, nonostante la bellezza di questa idea, il cortometraggio si perde in una narrazione che fatica a legare i vari elementi.
Un filo spezzato: la struttura confusa
Il principale problema di Il Filo Rosso risiede nella sua struttura narrativa. Sebbene la tematica sia interessante, la realizzazione della trama lascia molto a desiderare. Il corto si sviluppa attraverso una successione di frammenti che sembrano non avere alcun legame tra di loro, creando una sensazione di disorientamento e incoerenza. Scene di spazi urbani, case, fiori e cieli nuvolosi appaiono senza una connessione evidente con la storia e il messaggio che si vuole trasmettere. A queste immagini si alternano collage di fotografie, presentate in modo frammentato e caratterizzate da differenti impostazioni stilistiche e formali. Questo contrasto tra le diverse configurazioni visive genera confusione, diminuisce il potenziale espressivo della storia, rendendo difficile seguire il filo conduttore narrativo e mettendo in evidenza una gestione approssimativa del linguaggio visivo e narrativo. Di fatto, queste immagini sembrano non aggiungere nulla alle parole di Yuan Yuan, diventando meri elementi visivi privi di un significato chiaro.
La voce dell’artista: un monologo solitario
La scelta di affidare l’intero cortometraggio al monologo di Yuan Yuan, purtroppo, non basta a rendere il racconto coinvolgente. Le parole dell’artista percorrono l’intera durata del film, ma senza mai essere accompagnate da un contesto visivo o narrativo che le arricchisca. La sua figura, pur essendo al centro della storia, rimane distante, e non si riesce mai a entrare in sintonia con lei. La sua testimonianza si riduce a un flusso di parole che non trova un terreno fertile per germogliare in emozioni reali. La mancanza di un contesto adeguato rende il monologo una semplice giustapposizione di frasi, senza una vera e propria connessione con il pubblico.
I benefici dell’arte terapia: un’occasione sprecata
Anche nella scena finale di Il Filo Rosso, in cui un gruppo di donne è impegnato nella creazione di opere artistiche, il racconto non riesce a suscitare alcun coinvolgimento emotivo nel pubblico. Le protagoniste di questa sezione del cortometraggio vengono trattate in modo superficiale e affrettato, senza che ci venga data la possibilità di conoscere le loro storie, ascoltare le loro voci, osservare i loro volti o apprezzare le loro opere. Rimangono figure marginali, quasi del tutto prive di spessore, e il loro impatto emotivo è inesistente. La narrazione non favorisce un vero legame empatico con loro, rendendo i benefici dell’arte terapia difficili da percepire e comprendere appieno.
Un’opera senza tempo né spazio
Oltre alla difficoltà di rendere giustizia al tema centrale, un altro elemento che indebolisce Il Filo Rosso è la mancanza di un contesto definito. Non c’è mai una chiara ambientazione né un riferimento temporale che permetta di inquadrare adeguatamente gli eventi. Le riprese esterne, che alternano paesaggi urbani e naturali, sembrano inserite senza una ragione precisa, come se il film fosse sospeso in un limbo senza identità. Questa mancanza di concretezza spaziale e temporale contribuisce a creare una sensazione di vuoto, dove nulla sembra avere un significato compiuto.
Un’idea non sviluppata
Il Filo Rosso di Elisa Cherchi ha sicuramente un’idea affascinante alla base, ma purtroppo non riesce a svilupparla in modo soddisfacente. La narrazione risulta frammentata e incoerente, i personaggi rimangono poco approfonditi, e l’intero corto manca di un senso di coinvolgimento autentico. Nonostante le buone intenzioni, il film non riesce a trasmettere la potenza del legame umano rappresentato dal filo rosso, né a mostrare in modo convincente l’impatto positivo dell’arte terapia. Alla fine, ciò che resta è una sensazione di incompiutezza, un filo rosso che si perde nel nulla.