Davanti a The Little Other, cortometraggio d’animazione firmato dal visionario Andres Tenusaar, troviamo una premessa tanto semplice quanto filosoficamente dirompente: due bambini stanno per nascere. Uno è destinato a essere un “bambino normale”. L’altro… un trickster. Un ingannatore. Ma essendo gemelli identici, come si fa a capire chi è chi? La Natura stessa sembra essersi presa gioco di noi, e lo fa con una leggerezza inquietante.
The Little Other è stato presentato all’interno dell’E-Motion Days Festival, una rassegna internazionale dedicata all’animazione d’autore e alla sperimentazione visiva, che si distingue per la capacità di intercettare linguaggi innovativi e proposte non convenzionali. Il festival, da sempre attento a valorizzare opere che riflettono sull’identità, sulla percezione e sui limiti del racconto tradizionale, ha accolto il cortometraggio di Andres Tenusaar come una delle esperienze visive più audaci della sua edizione partecipando alla selezione nell’International Shorts.
The Little Other: Un cast (quasi) invisibile, ma una presenza fortissima

Scena cortometraggio “The little other”
Tenusaar costruisce un universo surreale e liminale, dove la nascita non è un atto biologico, ma una vera e propria soglia tra mondi. Qui, la vita esistente è stata “abolita all’unanimità”, e i nuovi criteri per esistere devono ancora essere stabiliti. Il corto non si preoccupa di offrirci risposte rassicuranti; anzi, ci lascia in sospeso, in bilico tra l’illusione e la realtà, tra la logica e l’assurdo.
Essendo un corto d’animazione, The Little Other non conta su attori in carne e ossa, ma sulla potenza visiva e sonora per costruire i suoi protagonisti. I due gemelli, che potremmo definire archetipi più che personaggi, sono rappresentati in modo volutamente indefinito. Non ci sono lineamenti, solo sagome e gesti, come se Tenusaar volesse suggerire che la loro identità non è tanto qualcosa da mostrare, ma da intuire.
Il vero “cast” è composto da elementi concettuali: la luce e l’ombra, il silenzio e il suono, lo spazio e il vuoto. A questi si aggiunge la regia stessa, che con un tratto minimale ma evocativo – quasi art brut digitale – ci guida in questo labirinto dell’essere. L’animazione non è realistica, e non vuole esserlo: è più simile a un sogno illustrato, un incubo elegante dove ogni scelta estetica ha un valore simbolico.
The Little Other: Quando l’arte ti costringe a restare scomodo

The Little Other non è un cortometraggio da guardare con leggerezza o distrazione: richiede attenzione, partecipazione emotiva e una certa disponibilità all’inquietudine. La sua natura rarefatta e il ritmo quasi ipnotico conducono lo spettatore in una dimensione sospesa, dove il tempo sembra dilatarsi e la narrazione si fa contemplazione. La sensazione dominante è quella di uno smarrimento controllato, di un pensiero che prende forma lentamente, insinuandosi con discrezione ma lasciando tracce profonde.
L’aspetto forse più sorprendente del film è la sua capacità di indagare il tema dell’identità e del dualismo senza affidarsi a una struttura narrativa convenzionale. Non esistono una premessa chiara, uno svolgimento lineare o una conclusione risolutiva. Tutto si svolge in un eterno “durante”, un momento sospeso che richiama l’attimo misterioso e ancestrale della nascita. Tenusaar suggerisce che esistere non è un fatto compiuto, ma un processo costante, ambiguo, in cui i confini tra bene e male, reale e illusorio, si fanno evanescenti.
In un panorama in cui l’animazione spesso rincorre l’iperrealismo o si rifugia nell’intrattenimento puro, The Little Other si distingue per il coraggio con cui affronta questioni esistenziali complesse, rinunciando alla spettacolarizzazione. Non offre risposte, ma instilla dubbi. E forse, proprio in questa assenza di certezze, risiede la sua forza più autentica: lascia allo spettatore il compito – e l’onere – di interrogarsi su chi sia davvero il trickster e se, in fondo, non si nasconda anche dentro di noi.