“Si respira una nuova aria in quel di Baker Street 221B. Sir Arthur Conan Doyle assiste curioso alle evoluzioni del personaggio che creò alla fine del XIX secolo”.
Si respira una nuova aria in quel di Baker Street 221B. Sir Arthur Conan Doyle assiste curioso alle evoluzioni del personaggio che creò alla fine del XIX secolo. Tra la pipa calabash e l’immancabile berretto da cacciatore, che in realtà sono pure invenzioni teatrali e cinematografiche, Sherlock Holmes vive al passo con i tempi dedicandosi al gioco d’azzardo, alle donne, e a tutto ciò che stride con il buon vecchio detective caustico e dinoccolato.
È questa la versione del leggendario investigatore nel nuovo film di Guy Ritchie, ispirato molto liberamente alla creatura di Doyle e alla omonima graphic novel di Lionel Wigram, uno dei produttori del film. Nelle vesti di Holmes un carismatico Robert Downey Jr. e in quelle del dottor Watson (alter ego di Doyle, anch’egli laureato in medicina), un insospettabile Jude Law, scelto dopo l’abbandono di Colin Farrell e il rifiuto di Gerard Butler. Londra, Manchester e Liverpool sono le città inglesi che fanno da sfondo a una storia appassionata e appassionante, ricca di azione, avventura, crimine e in cui una terribile minaccia incombe sull’impero britannico. La vicenda è intrigante, anche al di là dei risvolti narrativi: Lionel Wigram per dieci anni rimugina su una versione moderna di Sherlock Holmes e, una volta lasciato il suo posto da dirigente alla Warner Bros, nel 2006 si dedica alla stesura della graphic novel.
Cambiano registi e sceneggiatori per approdare infine a Guy Ritchie, reduce dal bizzarro Rocknrolla (2008), e con una pesante tradizione letteraria alle spalle, nonché una vastissima filmografia su Holmes. Dalla fine degli anni Trenta, infatti, Holmes attraversa indomabile i generi, seduce il mezzo televisivo e ispira animazioni americane e giapponesi, creativi del videogame, e autori alle prese con personaggi che indagano su qualsiasi cosa alla maniera di Sherlock: estrema cura per i dettagli, metodo deduttivo e una prima conclusione del caso in pochi secondi. Fu il dottor Joseph Bell, insegnante di Conan Doyle ad istillare nel promettente giovane la validità di tale metodo scientifico. Nasce così la criminologia ‘popolare’ decenni prima di Gil Grissom e dei colleghi di CSI: scena del crimine.
Tradizione e innovazione sono dunque le parole chiave per Sherlock Holmes. Nel cast di Ritchie c’è anche Rachel McAdams, grazia canadese che fece perdere la testa al Gaetano protagonista del virziniano My name is Tanino (2002), qui nel ruolo di Irene Adler, forse l’unica donna verso cui l’Holmes letterario provava ammirazione. Ma guai a chiamarlo amore, perché per Sherlock tutto ciò che è emozione contrasta con la fredda logica. Sarà lo stesso destino dell’esuberante Downey Jr.? Eppure la materia prima per creare un Holmes ipermoderno forse è già tra le righe di Doyle. In qualche serie l’investigatore per combattere stati di inattività e depressione ricorre all’uso di cocaina e morfina, dipendenza in seguito annullata dallo stesso scrittore nelle pagine dei suoi racconti.
Tuttavia, Wigram va oltre e continua ad inventare: l’antagonista del suo Sherlock, Lord Blackwood, è stato creato ispirandosi all’occultista Aleister Crowley, anticipando la più concreta presenza del professor Moriarty, il vero nemico dell’investigatore nella serie di Doyle, nel probabile sequel del film. È davvero tutto di una semplicità elementare.
Natasha Ceci
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