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Soul Kitchen

“C’è un vecchio ristorante in fin di vita e, fuori dalla porta, un cuore che batte forte a ritmo di musica, pronto a esplodere e re-instillarvi l’anima, letteralmente. Soul Kitchen.”

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C’è un vecchio ristorante in fin di vita e, fuori dalla porta, un cuore che batte forte a ritmo di musica, pronto a esplodere e re-instillarvi l’anima, letteralmente. Soul Kitchen.

Ancora una volta il giovane regista turco-tedesco Fatih Akin ci presenta un film movimentato e musicale, che avanza ininterrottamente sommando sorprese ed imprevisti, un film fatto di cose che sembrano non essere mai al loro posto (Zinos, il proprietario del ristorante, dovrebbe essere a Shangai dalla ragazza, suo fratello Illias in galera), di oggetti che si rompono o non funzionano, di urti, ostacoli, continui microfallimenti e dolorosi impedimenti fisici, ma anche di emozioni improvvise e di occhi negli occhi, tra personaggi mossi da malesseri e sentimenti fisiologici, corporali, sinceri e sporchi, che alternano bevute violente sui tetti di Amburgo a momenti profondi di tenerezza.

“I colori sono azioni della luce, azioni e passioni”, diceva Goethe, citato dalla cameriera Lucia, aspirante artista, “e Van Gogh ci è impazzito”. Ed è proprio un accumulo di colori, di luci, di suoni, di facce pulsanti e vive come bassorilievi, ad invadere lo spazio del ristorante e del film, a ridargli respiro e vita. Ma troppa allegria rischia a volte di diventare volgare, come nella rissa al funerale.

Il trionfo del caso vincerà ovviamente su rassegnazione e rabbia.

A sentimenti così vividi e reali, basta una storia semplice, e una colonna sonora come sempre eccezionale.

Arianna Salatino

“Il colore è il dolore della luce”. Anche nel suo film più divertente, Fatih Akin non rinuncia alla lezione di Goethe, monumento della cultura tedesca, inesauribile fonte d’ispirazione, sempre presente nella sua cinematografia.

Zinos è il proprietario di un ristorante sui generis, Soul kitchen, causa di innumerevoli vicissitudini, cui il nostro protagonista dovrà far fronte, rischiando tutto ciò che ha di più caro. Un fratello scapestrato, in liberta vigilata, è la iattura che travolge il mite Zinos, oltre alle difficoltà di un rapporto sentimentale con una ragazza ricchissima e distante.

La caduta, la perdita dell’innocenza, il dolore della luce: il prezzo da pagare per il colore che decora gioiosamente la tela del mondo è alto. Resistere all’interno del divenire, essere un incessante movimento, non cedere alla trappola rassicurante dell’inerzia. Soggiornare ostinatamente nella rottura immanente di una procedura di verità: l’unico modo per accedere alla Grazia, concessa a tutti gli uomini, è smettere di “perseverare nell’essere” ed essere fedeli all’eccesso della verità di un evento che ci ha trafitto, come San Paolo sulla via di Damasco.

Fede, Speranza, Amore, finalmente sottratti al monopolio della trascendenza, sono le modalità che ci consentono di accedere all’immortalità, emancipandoci veramente, realizzando la definitiva “laicizzazione dell’infinito”.

Il cibo dell’anima servito nel ristorante di Zinos è ciò per cui vale sempre la pena di lottare, e lo sguardo innamorato di una donna (la fisioterapista di cui Zinos, alla fine del film, s’innamora) fornisce quella sovrumana misteriosa energia che, quando tutto è perduto, ripete la Resurrezione.

Luca Biscontini

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