La serie Paramount+ si concentra sull’organizzazione criminale come confronto/scontro famigliare. Tenute ottocentesche e black humor sono lo scenario in cui si muove il risolutore interpretato da Hardy, un personaggio pieno del tratto psicologico di Ray Donovan
Su Paramount+ la nuova serie anglo-americana prodotta da Guy Ritchie, MobLand. Il gangster series, creato da Ronan Bennett (The Day of the Jackal) e co-scritto insieme a Jez Butterworth (The Agency), è prodotto da MTV Entertainment Studios con la casa di produzione dello stesso Ritchie, la Toff Guy Films. All’interno della serie, un cast stellare: Tom Hardy, Helen Mirren, Pierce Brosnan, e Toby Jones.
Il TRAILER – MobLand
Sinossi – MobLand
Gli Harrigan, una famiglia criminale londinese, si ritrova in lotta con gli Stevenson, e potrebbe porre fine al loro impero e alle loro vite. Harry Da Souza (Tom Hardy) è chiamato dagli Harrigan per diventare il loro “risolutore” e proteggere la loro famiglia.
Una serie senza Guy Ritchie ma con Guy Ritchie – MobLand
Nella prima scena di MobLand assistiamo già al meccanismo su cui opererà la serie durante buona parte della sua narrazione. Il protagonista Da Souza, interpretato da un eccellente Tom Hardy, cerca di mettere d’accordo due famiglie mafiose per conto del capo della famiglia mafiosa di grado più alto, Conrad Harrigan (Pierce Brosnan).
De Souza, vista l’indecisione dei due capi, si sposta dalle retrovie del ristorante fino all’elegante sala da pranzo dove si trova Harrigan, e una volta avuto il suo consenso, il risolutore Hardy elemina i due mafiosi indecisi in un perfetto stile scorsesiano. A differenza di un’altra serie di Guy Ritchie, The Gentlemen, dove il funzionamento seriale emergeva dopo il secondo episodio, in the MobLand è abbastanza chiaro l’automatismo verso cui la serie protenderà.
Un personaggio, il risolutore interpretato da Hardy, senza mezze misure, a cui non si può dire di no, che scava fosse e ne riempie, e una famiglia mafiosa, quella degli Harrigan, con a capo Brosnan, capricciosa, vanitosa e senza regole, a cui De Souza è costretto a mettere un freno. Una volta che lo spettatore capisce il meccanismo violento e più gangster della serie, MobLand ci tiene a mettere in evidenza il mantra che da qualche tempo contraddistingue i prodotti di Ritchie: ridicolizzare il sistema mafioso. Anche se una precisazione va fatta in merito al creatore della serie, che in questo caso è Ronan Bennett. Sia nei toni violenti che in quelli dissacranti, è presente lo stampo estetico e narrativo di Guy Ritchie.
La battaglia dei sessi nel gangster series
E Bennett in questo è un fedele osservatore della filmografia e serialgrafia del regista britannico. Ma più che unire la sua serie col mondo ritchieiano della mafia anglo-irlandese vestita da aristocrazia britannica, lo showrunner mette bene in moto e in luce le figure femminili all’interno dell’organizzazione mafiosa. Non è un caso che l’unica figura maschile ben delineata sia quella di Hardy.
Perché, se andiamo a vedere i tratti caratteriali dei membri della famiglia Harrigan, dal patriarca Conrad ai suoi figli, l’intenzione esplicita di Bennett è quella di rendere i personaggi maschili maschere grottesche, tossiche e comiche, senza polso e autorità, a favore delle donne. In questo quadro di contrasti valoriali, emerge con forza il personaggio di Helen Mirren, non nuova a una rappresentazione femminile di tale durezza e spessore ( 1923 ne è un fulgido esempio). La Mirren interpreta la moglie di Conrad, e MobLand, attraverso di lei, attiva la maschera insicura e fragile dell’organizzazione mafiosa.
L’ideologia criminosa, dell’onore e del rispetto, passa dalla presenza e dalle parole di Maeve Harrigan. É lei che convince il patriarca a sporcarsi le mani durante la cena, ed è sempre Maeve che manipola Conrad sul mercato rischioso della droga, oltre a proteggere il nipote in situazioni che metterebbero a repentaglio la sopravvivenza della stessa eredità degli Harrigan. A onor del vero, non c’è solo lei come figura femminile di spicco all’interno della serie.
Nel secondo episodio emerge la moglie di uno dei figli di Conrad, Bella, la quale, mentre il figlio è tra la vita e la morte, pensa bene di arricchirsi vendendo segreti di stato al governo francese.
Una serie meno spettacolare e più emotiva
In MobLand quindi, a differenza di ciò che avviene in molti film e serie mafiose, le donne non rimangono in un angolo o nella semplicistica caratterizzazione di femme fatale, ma hanno un proprio dinamismo, tipico della scrittura di Ritchie. Una certa irruenza esistenziale che rende la serie originale nella decostruzione classica del genere gangster.
Tom Hardy è il nuovo Ray Donovan
MobLand era stata concepita in origine come uno spin-off prequel della serie Ray Donovan, prima di essere rielaborata e ceduta alla Paramount. Se i due mondi seriali sono distinti e forse solo uniti per l’etnia irlandese, le analogie con la serie cult di Showtime sono presenti nel personaggio di Tom Hardy. Harry Da Souza ha tutti gli aspetti pratici e psicologici del Ray di Liev Schreiber. Messi da parte gli abiti eleganti di Donovan, Hardy, con la sua presenza massiccia, è il faccendiere-ponte tra la criminalità e la giustizia al di fuori della legge. Come Donovan, Da Souza ha modi spiccioli e sbrigativi per risolvere varie grane per i suoi datori di lavoro, sempre sull’orlo del precipizio e con un modus operandi che consente al suo personaggio di arrivare a fine episodio salvo e vittorioso.
Il faccendiere tra dovere e famiglia
Di Schreiber, Hardy ha anche il tratto psicologico tumultuoso, in una dicotomia per la quale deve preservare gli affari dell’organizzazione criminale per cui lavora, e ricucire la crisi coniugale con la moglie, Jan. In questo passaggio, tra il dentro e il fuori del faccendiere, emerge, come avveniva in Ray Donovan, la difficoltà di tenere unite le proprie abilità criminose e la fragilità interiore di un anti-eroe latente nei suoi due mondi, quelli della famiglia Harrigan e del personale nucleo famigliare.
La regia in MobLand
Venendo dall’ottima prova in The Day of the Jackal, pur riprendendo in pianta stabile l’universo di Ritchie, Bennett ci tiene a costruire un racconto più dilatato. Lo si capisce nel piano-sequenza della prima scena, anche se spezzato e non continuo, oltre alle diverse riprese in steady-cam con cui segue i personaggi, in primis Hardy. La cifra di Ritchie ovviamente rimane sul piano prettamente identificativo col noto black humor e le fragili alleanza mafiose. Ma a differenza del regista di Snatch, MobLand si prende il suo tempo per approfondire il tratto interiore dei suoi personaggi, incominciando da un protagonista così complesso come quello di Hardy fino a scene verticali che mettono il luce l’insoddisfazione di due donne e madri della serie, come Bella e Jan.
MobLand, nei suoi primi due episodi, attinge a tutta la visione criminale di Guy Ritchie. Eppure, nel suo esordio, si delinea come una serie molto più sofisticata e più attenta a un’analisi psicologica sul dramma criminale.