Uno spettro e una fotografia di temi e narrative, di sfide personali e sociali, restituite in maniera poetica e sperimentale. È questo il filo rosso che lega i lavori proposti in Local Heroes, la sezione del Bolzano Film Festival dedicata agli stili e i punti di vista cinematografici provenienti dall’Euregio. Ed è uno sguardo su un mondo e un futuro apparentemente distopico, ma quanto più vicino alle ipotesi più tragiche dell’universo e della società che ci circonda, quello su cui Nura, il cortometraggio di Lorenz Klapfer in concorso al Bolzano Film Festival, e tra le opere selezionate ai David di Donatello, riflette.
Nura e un ambiente in rivolta
Nura vive in uno spazio disabitato, o meglio, “inabitato”, come definito, al mattino, dalla voce radiofonica dell’uomo riflesso in aria, in un ambiente, seppur apparentemente primitivo per l’assenza di umanità a eccezione della protagonista, ampiamente tecnologico. È infatti un luogo arido, privo di vegetazione, se non quella curata e coltivata all’interno di una mini serra, quello in cui vive la donna che, decisa a non scendere a compromessi con un ambiente in rivolta, e un governo ricollocatore, sfida la sorte della natura.
Spera infatti, tra voci magnetiche ed elettroniche che elencano e scaglionano i suoi parametri vitali e droni che dal cielo le concedono gli ultimi rifornimenti, di sopravvivere con ciò che le piante che alimenta le concedono. Dall’altra parte, invece, al riparo dalle tempeste sempre più violente che toccano i paesaggi in balìa della natura e del cambiamento climatico, c’è il figlio di Nura. Il ragazzo vorrebbe convincere la madre a lasciare quella casa abbandonata e circondata da una collina di sterpaglia e mettersi in salvo all’interno di una città chiusa e stipata. Come un raccoglitore di persone e di altrettante speranze, in cui si sviluppa il progetto statale “We Life”, al sicuro, o presunto tale, della rivolta naturale contro la stessa azione umana.
Una vita senza futuro
È un fuoco che infiamma la serra e la sua casa, quello che apre il cortometraggio di Lorenz Klapfer, e quello che sogna, ripetutamente, Nora. Il rosso delle fiamme abbraccia e incendia le piante, simbolo di tutto ciò che lei, coraggiosamente, delicatamente e silenziosamente, senza scendere a compromessi con la natura e men che meno con l’uomo, cerca di far sopravvivere.
Le cura, con acqua e sapone, formando uno strato sopra gli afidi, minaccia per la loro vita e il loro respiro, che impedisce agli insetti di soffocarle e farle morire. Con la speranza che le loro radici, e i loro polmoni, siano abbastanza forti per sopravvivere, come gli stessi di Nora. La serra e le piante sembrano infatti il riflesso vegetale della protagonista, resistenti a un mondo e un’umanità che si sta dirigendo verso l’autodistruzione, e allo stesso tempo sensibili, però, a un’ecosistema non sano. È un mondo dispotico, ma che non sembra così lontano dalla situazione climatica e ambientale attuale, quello su cui Lorenzo Klapfer riflette e punta l’obiettivo, in una collina senza vita. Ma è vita, invece, quella che si prospetta, dall’altra parte, in una bolla senza futuro?