Presentato al Bolzano Film Festival nella sezione Local Heroes, ‘No 74. NO NAME’ è una denuncia contro i crimini taciuti della migrazione, un manifesto del fortissimo dolore che provoca.
Un viaggio onirico
Il vizio più antico degli essere umani: la speranza. ‘No 74. NO NAME’ aspira a dare voce a coloro che l’hanno persa, coloro che hanno esalato il loro ultimo respiro tra i venti freddi di un mare che dà e un mare che toglie. Con questa opera il regista-sceneggiatore Davide Grotta si mostra alleato dei diritti umani e ne documenta la privazione.
Il cammino verso l’Occidente, lungo e caldo, asfissiante e mai una certezza, che migliaia di migranti compiono ogni anno è raccontato sotto diverse sfumature evocative. Niente statistiche, nessuna lotta contro il potere, solo l’umanità del dolore che non ha lingua né colore della pelle. Il nostro protagonista però è Mane, lui ce l’ha fatta. Attraversare il varco, però, spesso vuol dire convivere con il fiato sospeso, con i piedi che toccano il suolo italiano e lo spirito che vaga cercando di riconoscere sorrisi familiari negli sconosciuti.

La narrazione è ancorata alla struttura dei road movie seguendo il personaggio principale spostarsi stavolta da Nord a Sud. Lui attraversa i monti e la neve tanto feroce quanto compassionevole; cammina per le strade asfaltate della speranza e infine affonda i piedi in granelli di sabbia e salvezza. L’andamento del film è lento come ci si aspetterebbe da un documentario e la regia attinge alla scuola dell’inimitabile Wong Kar Wai con i movimenti a scatti della camera e le immagini sfocate che cercano di tradurre l’emotività e la percezione sentimentale del passare del tempo.
“Questo è il punto di non ritorno. [..] Non abbiate paura, affidatevi al dubbio e ricordate: il tempo sarà sempre dalla vostra parte.”

La speranza di riabbracciare i suoi cari, più precisamente Bintu, e la piaga del cordoglio si scontrano finché al cessare di una si materializza l’altro. Così il dolore di Mane si sovraccarica e si appesantisce di una memoria collettiva, di un dolore ancestrale. Erede di malinconia e solitudine, il suo dolore è cullato dai canti di anime destinate alla dannazione eterna. Chi ha perso la vita e chi maledice le leggi della natura per non aver risparmiato la persona amata, affondata nell’abisso della morte e dell’anonimato. No. 74 NO NAME restituisce dignità e identità ai senza nome dispersi nelle acque gelide.

“Fino al giorno in cui non ci vedremo più.”
Tra i dialoghi scarni e il rimbombo di un vuoto viscerale, parlano le onde
Le acque si acquietano dopo aver ripreso dopo aver bruscamente ripreso i corpi.
Tedesco, italiano, inglese e yoruba: in No. 74 NO NAME’, di fronte alla lacerazione dell’animo, usano gli stessi vocaboli e si somigliano. Per tale motivo l’invadente uomo della nave, grottesco, chiacchierone e troppo incentrato a non prendere la vita seriamente, diventerà una figura chiave, ascenderà ad oracolo guidando il nostro Mane a destinazione: la fine della perdizione.
Il film è interpretato da Toni Pandolfo in una performance incisiva che affianca la vulnerabilità di Emanuel Ajayi (Mane).
Realtà e immaginazione, prosa e poesia si amalgamano in un miraggio di trenta minuti. Il mediometraggio di Davide Grotta si libera con eleganza dello stereotipo che solitamente lega a sé il tema della migrazione e racconta in modo autentico l’odissea dei migranti.
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