Dopo il debutto alla Diagonale – Festival del Cinema Austriaco, dove ha conquistato il premio per la Miglior colonna sonora in un lungometraggio, Happyland è approdato in prima internazionale al Bolzano Film Festival Bozen. È il secondo film di Evi Romen, che dopo Hochwald torna a parlare di provincia, di marginalità, ma soprattutto di persone che fanno i conti con il passato e di conseguenza con se stesse.
Può un luogo obbligarci alla felicità? Può un ritorno diventare la fine di un sogno, ma anche l’inizio di una nuova coscienza? In Happyland, la risposta sta nei non detti, nei battiti sospesi tra le note, negli sguardi obliqui di chi torna in un luogo che non è più casa, o forse non lo è mai stata. Reduce da una carriera fallita come musicista a Londra, Helen (Andrea Wenzl) torna nel suo paese d’origine per prendersi cura del centro sportivo della madre, chiamato appunto Happyland. Il nome sembra una beffa: un luogo dove tutti devono essere felici, dove lo spazio per la tristezza sembra quasi illegittimo. Ad attenderla non c’è soltanto un centro sportivo, ma anche i fantasmi della giovinezza: gli ex membri della sua band, un amore mai dimenticato ed un figlio mai avuto.
Il fiume della vita
Durante il Q&A al BFFB, Evi Romen ha evocato il concetto di flusso:
“Il fiume della vita, accanto al quale ho vissuto.”
Un’immagine potente per raccontare Helen, ma anche la regista stessa, che viveva per l’appunto vicino ad un fiume. C’è qualcosa di profondamente ciclico in Happyland: i personaggi non tornano mai nello stesso punto da cui erano partiti e se lo fanno, è da persone diverse.
Helen torna, ma non c’è un prima oppure un dopo: c’è solo questo flusso continuo in cui l’identità si disgrega e si ricompone di continuo, come se il tempo fosse un movimento interiore prima che cronologico. Romen non racconta un viaggio lineare, bensì la sensazione di restare immobili anche mentre si cambia. Helen sembra aver vissuto accanto al fiume, accanto alla propria vita, senza mai bagnarsi veramente di essa. Ha guardato gli altri fluire, forse sperando che qualcosa, prima o poi, la trascinasse dentro.

Musica come espressione e identità
Se i dialoghi si fermano, le canzoni continuano a parlare. E parlano di lei, della sua Londra che non ha funzionato, della sua ricerca costante di una forma, di un’identità. Non si tratta dunque di decorazione, bensì di un tracciato sentimentale che tiene insieme i pezzi mancanti della protagonista.
Evi Romen ha una storia personale con la musica e lo racconta in un’intervista del 2021:
“Per quanto riguarda la musica, invece, dal momento che io sono una collezionista di dischi di musica soprattutto degli anni Sessanta e Settanta e lavoravo come dee jay, la musica è qualcosa che ha sempre avuto molta importanza sia nella mia vita che nel mio lavoro di montatrice. Tra l’altro ho anche studiato musica prima di dedicarmi principalmente al cinema e alla fotografia”
Ed è grazie a questa sua conoscenza che lo spettatore riesce ad intuire ciò che il film spesso non comunica esplicitamente.
Il paese come inconscio
I luoghi non sono solo ciò che vediamo. Sono ciò che ci resta dentro quando smettiamo di abitarli. Il paese di Happyland non è un ritorno geografico, bensì un ritorno simbolico, a tutto ciò che Helen ha lasciato irrisolto. Il suo silenzio, quello degli altri, i gesti mancati, gli sguardi trattenuti. È come se ogni angolo di quella provincia sapesse qualcosa che lei ha tentato di dimenticare.
Vi troviamo una scena che resta impressa: alcuni uomini del posto osservano Helen con la sua band londinese. C’è qualcosa nei loro occhi: curiosità? distanza? o forse diffidenza? Ciò che è certo è che lei non è più “dei loro”, si trova in uno spazio ben delineato. Ma non è forse proprio questo scarto a definire chi siamo diventati? Quando non apparteniamo più né al passato né al presente, e restiamo sospesi, in bilico, in attesa di riconoscerci in un nuovo sguardo. Lo sguardo che Helen cerca non è solamente quello dell’ ex fidanzato Tom (Michael Pink), bensì anche del misterioso ragazzo Joe (Simon Frühwirth).

Q&A al Bolzano Film Festival Bozen
Sul palco del Q&A del BFFB, vi troviamo anche Lissy Pernthaler, attrice altoatesina. Entusiasta della regista, che ha organizzato incontri e prove fra gli attori prima delle riprese. Romen difatti lo trova essenziale se il fine è creare una sintonia fra gli attori. Una preparazione che ha portato Pernthaler non solo a riscoprire lo jodel, ma a possedere un libro sul quale appuntarsi le caratteristiche del suo personaggio.
Mentre, per quanto riguarda gli imprevisti del set, la regista ci racconta il suo odio iniziale verso la natura. Uno spazio che non le ha regalato giornate cupe, come la personalità di Helen, bensì giornate soleggianti, che difatti hanno ricreato una nuova narrazione.
Editing Giulia Radice.