Molto spesso quando andiamo al cinema, o siamo comodamente seduti sul divano di casa nostra aprendo Netflix, difronte ad un film o ad una serie ci chiediamo spesso cosa ci abbia voluto comunicare quella visione. Sia per un blockbuster sui supereroi o per il dramma d’autore vincitore di qualche statuetta, lo spettatore cerca in tutti i modi di darsi una spiegazione in merito agli eventi che ha visionato. Il suo senso critico rispetto a quello che vede attiva in lui domande, costatazioni, riflessioni, dubbi e valutazioni entusiastiche o negative.
E dinnanzi a quel film Netflix o Prime Video, o all’ultima opera anticonvenzionale di Mubi, cerchiamo di darci una risposta più o meno sensata delle ore che abbiamo passato davanti allo schermo, mettendo in moto, già nella nostra percezione di cosa abbiano significato i vari passaggi narrativi: una riflessione personale su un prodotto audiovisivo. Oggi il nostro senso critico è ampiamente aiutato dalle nuove tecnologie, grazie ai medium-transfert della nuova critica (la stampa online, TikTok, Instagram, i podcast), ma non è sempre stato così.
Con l’evoluzione del capitalismo è cambiata anche la modalità in cui interpretiamo le opere culturali. E non sempre tale metamorfosi critica ha assolto al suo compito di spiegazione. Nel sistema comunicativo in cui viviamo, siamo talmente bombardati da informazioni e pareri, che non riusciamo a percepire il nostro senso critico, confondendo l’apprendimento con l’intrattenimento. Ed è quindi attualissimo un quesito di complessa risoluzione. Che cos’è la critica?
Anatomia di una critica – senso critico
Il grande filosofo francese, Michel Foucault, ha sempre ritenuto che l’uomo, nella ragione, è un folle-selvaggio che ravvisa analogie dove l’intelletto impone di individuare le differenze. Con tale assoggettamento dei folli, nasce il metodo foucaultiano diretto non tanto a scandagliare problematiche di potere, quanto a indagare dentro di esso. Nella raccolta di alcuni suoi interventi tenuti dal filosofo all’Università di Berkeley e contenuti sotto il volume La cultura di sé, Foucault, pur constatando l’esistenza di varie forme critiche ( quella gastronomica, politica e culturale), constata come la critica sia una produzione di senso.
In sostanza lo studioso si chiede cosa fosse il senso critico, se riguardasse una sfera di potere, il suo potere o il suo funzionamento. Il pensiero del filosofo diviene essenziale riguardo a cosa è davvero la critica. Riprendendo le parole di Foucault, il senso critico è un processo che attraverso i vari linguaggi, nel nostro caso quello cinematografico, ci fa interrogare sulla verità di un film e ci fornisce un giudizio sul suo senso.

La critica come giudizio oggettivo
Se esiste un manuale che l’apprendista critico non può esimersi dal consultare, questo è indubbiamente Anatomia della critica di Northrop Frye, uno dei più grandi teorici della letteratura del XX secolo. Nel suo scritto, lo studioso canadese delinea la fisionomia di quel senso critico di cui ci cibiamo ogni volta che guardiamo un film o che gli addetti ai lavori usano per scrivere una recensione; per Frye il gusto non esiste, e anzi questo incita una retorica della critica e l’ambiguità tra considerazione e analisi.
In Anatomia della critica il grande teorico ci invita a distinguere tra giudizio personale e critica oggettiva, col primo che è influenzato dai pregiudizi della società e dai tempi in cui viviamo, motivo per il quale per Frye la critica è vittima di ideologia, oggetto dello stereotipo critico che nulla ha a che fare con una riflessione letteraria. Nella sostanza, per lo studioso canadese, il senso critico, attraverso i vari sistemi e linguaggi, deve per forza abbracciare un’oggettività del contenuto senza che nessun aspetto soggettivo e di gusto possa ledere il nostro giudizio sul film che vediamo. E probabilmente senza prevederlo, Northrop Frye ha anticipato le problematiche della critica post-moderna con l’avvento del web 2.0.
Influenzare i followers
Quentin Tarantino, nel suo Cinema Speculation edito da La Nave di Teso, pone un movimento critico, che come direbbe Frye è più appannaggio del gusto che di una critica oggettiva. Passando in rassegna il periodo della New Hollywood d’autore e quello delle produzioni b movie anni settanta, l’iconico regista di Pulp Fiction si comporta come un influencer manipolato dal suo amore per il cinema e quindi offuscato dal proprio gusto personale.

Un esempio letterario che ci riporta la situazione del senso critico che viviamo oggi. Nei medium contemporanei, se lasciamo da parte l’informazione cinematografica delle riviste online e carta stampata, la critica di un film e di una serie è interamente condizionata dai nuovi media, transfert degli umori dello spettatore del cellulare alla ricerca del messaggio virale a tutti i costi. Viviamo in un contesto comunicativo di pregi e difetti tali da rendere la critica un frutto di cui non ci importa poi tanto se sia buono o cattivo, l’essenziale è che quel frutto ci sia e che noi lo possiamo mangiare.
TikTok e Instagram, pregi e difetti
Così il virale, il like facile, ha preso il posto dell’analisi e i vari social sono diventati rapidamente, anche per la crisi della carta stampata, un mezzo immediato di facile comprensione critica. Su Instagram possiamo, attraverso le stories e i post, capire di cosa parla quel film o quella serie, farci un’idea rapida del prodotto audiovisivo e di conseguenza decidere, in base all’entità virale, se guardare o non guardare il film di Martin Scorsese.

Emblematica è la situazione di TikTok: sulla piattaforma cinese tutti sono influencer e quindi tutti sono critici. I contenuti di pochi minuti ci informano non di cosa parla il film o di quella tale serie tv, ma del parere soggettivo del content creator molto spesso mirato a selezionare un messaggio o un particolare su un attore e un tema con l’unica finalità di essere virale, e di arrivare ad un bacino sempre più ampio.
Il podcast, letture critiche
In quest’ottica tutti sono critici e la didattica del senso critico viene sostituita dall’opinione, una forma acritica il cui principale obbiettivo è consolidare i propri followers invece di giudicare una narrazione o un’inquadratura. Ma se la critica social da una parte si muove come un oceano fatto per essere solo ingrandito e ingigantito, è il nuovo medium del podcast che recupera la base critica di Foucault e Frye. Migliorando e sostituendosi a Youtube, la diffusione di massa dell’audio su cui si basa il podcasting evita la limitatezza delle informazioni causata dai social, permettendo al creatore del podcast di conversare sul film o su una serie comunicando a chi sente una verità critica.
Così il senso critico si lega al racconto attraverso la forma del romanzo e della divulgazione culturale. Se quindi da una parte la fruizione contemporanea della critica ha permesso allo spettatore di informarsi quando vuole, e rapidamente, sul film che vuole guardare o che ha già visto, dall’altra parte ha il suo lato negativo nell’aver reso il senso critico un contenuto virale, un comune prodotto del supermercato digitale.
La critica cinematografica quindi, dal fenomeno della nascente Nouvelle Vague e dai mensili di nicchia come Cahiers du Cinéma, nel corso della sua storia si è contaminata con le nuove tecnologie, apprendendo nuove soluzioni per essere comunicata , rimanendo però , per certi versi, prigioniera dei nuovi dispositivi mediali. Il senso critico non è più qualcosa d’èlite e per pochi ma è sempre più dentro un contenitore generalista e universale. E nel suo feroce cambiamento tecnologico, oggi la critica appare un prodotto alla stregua dei film di cui parla. Persa nella giungla digitale.