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Torino Film Festival

‘Went up the hill’: una dolorosa vicenda esistenziale

Il dolore di un suicidio che sconvolge il vissuto famigliare e individuale

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went up the hill

Went up the hill del regista Samuel Van Grinsven è stato presentato al Torino Film Festival, nella sezione Fuori Concorso. Il film pone al centro della sua trama una dolorosa storia familiare, nella quale i protagonisti sono una madre, Elizabeth, e suo figlio Jack. La donna si è suicidata gettando nello sconforto e nella disperazione più profonda i suoi cari, e consegnando loro una pesante eredità fatta di domande, dubbi e rapporti improvvisamente interrotti.

Jack, divenuto adulto, dovrà affrontare il trauma mai davvero elaborato, prima dell’abbandono materno quando era bambino, poi della morte della madre, che potrebbe effettivamente essere letta come un secondo abbandono, una sofferenza che si ripete. Il film, infatti, assume la forma di un vero e proprio viaggio terapeutico nella storia e nel vissuto di una famiglia, che allarga anche lo sguardo alla figura di Jill, moglie della defunta, in un vortice di emozioni e dolori che è abilmente capace di catturare e fissare l’attenzione dello spettatore.

Went up the hill: il legame con il passato

Went up the hill indaga con notevole profondità il tema del legame con il passato, viaggio metaforico e talvolta attitudine, che ognuno di noi sperimenta nella vita. Si tratta dunque di un tema universale, che diventa individuale tramite la sua esplorazione, poiché riferito alla specifica vicenda di Jack. L’uomo non ha mai conosciuto la madre al cui funerale, all’inizio del film, si appresta a partecipare. In aggiunta a ciò, costei si è tolta la vita, senza dunque poter mai fornire una risposta chiara a proposito delle sue scelte, presenti e passate, di fuga.

In Jack convivono diversi interrogativi mai risolti, che deve necessariamente affrontare. Partecipare al funerale della madre scomparsa e mai davvero conosciuta, significa allora porsi ossessivamente sempre la stessa domanda: “Mi ha voluto?”. Ma anche, in un movimento antitetico, “Cosa succede se ti lascio andare?”. Vicinanza e lontananza da una figura che ha dato e tolto sono rese particolarmente vivide dal vortice di dolore e follia in cui Jack e Jill precipitano, quando vengono posseduti da Elizabeth. Il film assume così i connotati di un thriller psicologico, di cui le continue incursioni nel passato, nella forma di pensieri, riflessioni e violenti flashback ne rivelano il suo cardine narrativo.

Il tema del suicidio

Elizabeth si è suicidata compiendo una scelta molto precisa nel corso della sua vita, per quanto – e questo lo spettatore lo può immaginare – dettata da un momento e da intenzioni particolarmente disperate. La donna è morta, ma chi resta intorno a lei dovrà affrontare quest’atto e porsi, ancora una volta ossessivamente, sempre le stesse domande, a proposito delle motivazioni.

Se Went up the hill è il film delle domande, è anche ricerca di risposte. E le cerca insieme ai suoi protagonisti, Jack, Elizabeth e Jill, impegnati come sono, ognuno con proprie modalità e sensibilità, nel ritrovamento di se stessi. Il film di Van Grinsven indaga il tema del suicidio, sovente trattato in letteratura e nel cinema, da un punto di vista singolare, e cioè mediato dal trauma dell’abbandono, più che dal senso di colpa. É il dolore del primo abbandono materno che spinge in particolare Jack a pretendere dalla madre una risposta ai suoi quesiti, legati anche alla questione del suicidio: è azione che causa azione a determinare nel film il procedere narrativo, e insieme i suoi sviluppi più importanti. Non può infatti esserci senso di colpa di fronte a una madre che è venuta meno al suo ruolo genitoriale in vita, ma solo rabbia.

Quella stessa rabbia, nera e densa, prende vita nel film e assume la forma della possessione ad opera di Elizabeth, di cui Jill e Jack sono vittime. Ancora una volta, questo fenomeno, sempre mosso dalla richiesta di risposte da parte dei protagonisti nei confronti di Elizabeth, fa parte del meccanismo di azione che causa azione, ma soprattutto è fedele specchio del processo di elaborazione del lutto che i due stanno affrontando. É una tappa obbligata, che corrisponde all’acme del dolore e della follia, antecedente alla fase di guarigione.

Went up the hill è spazio filmico per l’elaborazione del lutto

Went up the hill porta in scena un particolare microcosmo filmico, interamente intimo. Tutta l’azione si svolge internamente e prende forma all’esterno solo perché in questo modo è resa visibile con più forza e in maniera più diretta, rivolgendosi, visivamente ed esteticamente, allo spettatore.

L’opera di Van Grinsven si presenta come un’occasione preziosa e insieme spazio astratto di elaborazione del lutto: è quella terra di mezzo dove Jack ed Elizabeth possono stare insieme, forse per la prima volta, abbracciati, in silenzio, nella sicurezza di essere voluti e amati, l’uno nelle braccia dell’altro. É accesso alla propria interiorità mediata dalle personali paure, disperazioni e terrori; è, ancora, rivisitazione di quel passato terribile, sulle tracce di un amore mai espresso, che ha tolto molto, e dato poco.

Solo quando Jack riesce in quello spazio astratto ad abbracciare la madre, e a riappacificarsi con il ricordo di lei, la confusione cessa. La fotografia partecipa in questo senso all’obiettivo di scoperta di pace, che è proprio della regia, perché mostra la luce solo verso la fine, quando cioè Jack e Jill sono arrivati al termine del processo di elaborazione dell’abbandono e del lutto di Elizabeth. Prima c’era stato solo grigio e buio, infine la speranza è arrivata.

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Went up the hill

  • Anno: 2024
  • Durata: 100'
  • Genere: Thriller
  • Nazionalita: Nuova Zelanda, Australia
  • Regia: Samuel Van Grinsven