In occasione della X edizione del Festival Presente Italiano è stato presentato, in concorso, 'Vermiglio', accompagnato da Martina Scrinzi, tra gli interpreti del film diretto da Maura Delpero
Tra i tanti ospiti della decima edizione del Festival Presente Italiano anche Martina Scrinzi che ha accompagnato la proiezione di Vermiglio. Il film di Maura Delpero era in concorso al festival pistoiese. La kermesse, interamente dedicata al cinema italiano, ideata e diretta da MicheleGalardini, si è svolta a Pistoia dal 15 al 21 novembre e ha visto la partecipazione di diversi ospiti, tra attori/attrici e registi/e. Tra questi anche Martina Scrinzi per raccontare meglio Vermiglio.
In quattro stagioni la natura compie il suo ciclo. Una ragazza può farsi donna. Un ventre gonfiarsi e divenire creatura. Si può smarrire il cammino che portava sicuri a casa, si possono solcare mari verso terre sconosciute. In quattro stagioni si può morire e rinascere. Vermiglio racconta dell’ultimo anno della Seconda guerra mondiale in una grande famiglia e di come, con l’arrivo di un soldato rifugiato, per un paradosso del destino, essa perda la pace, nel momento stesso in cui il mondo ritrova la propria. (Fonte: Biennale)
Nel contesto del festival Presente Italiano abbiamo fatto alcune domande a Martina Scrinzi per scavare più a fondo nel film.
– Foto di copertina di Davide Valente –
Martina Scrinzi e il suo rapporto con Vermiglio
Inizio col fare una riflessione. Il film non ha un/a protagonista. Vermiglio è un film corale dove nessuno prevarica sull’altro, ma anzi accanto a voi ci sono tempo e spazio. A proposito di questo com’è stato il rapporto con un tempo molto dilatato e lento rispetto a quello di oggi e con un paesaggio così spoglio?
Sì, il tempo è totalmente diverso rispetto a quello di oggi. Devo dire, però, che è totalmente diversa la percezione che si ha guardando il film rispetto a farlo. Mentre eravamo sul set non sentivamo così tanto questa differenza, forse perché si è concentrati su altro, forse perché, in un certo senso, eravamo allenati e avevamo fatto delle prove, quindi in qualche modo eravamo già entrati un po’ in quel ritmo più lento. Maura (la regista, ndr) ci ha proprio accompagnato in questo modo diverso di sentire e percepire il tempo. Quello che dici, però, è vero. Anche io quando ho visto il film mi sono detta che era completamente diverso, soprattutto per la percezione del tempo.
E anche per lo spazio stessa cosa perché anche quella è interessante come caratteristica. Quello l’abbiamo sentito tanto sul set, perché giravamo in alta montagna ed eravamo tante volte anche sopra i 1800/2000 metri, con nevicate. Comunque era pieno inverno, non avevamo neanche il camper, stavamo fuori tutto il giorno, quindi lo spazio e la montagna l’abbiamo sentita molto di più.
Forse ancheper entrare meglio nella parte, per percepire tutta quella difficoltà che comunque nel film c’è.
Esattamente. Quello ci è servito sicuramente.
E invece, sempre parlando di rapporti, il tuo personaggio è quello che ha un legame un po’ più diretto con gli animali. Com’è stato lavorare con gli animali?
Sì, Lucia, il mio personaggio, ha questo particolare rapporto con la mucca. Personalmente non ho mai avuto una mucca a casa, quindi non ero abituata a quel genere di animali. C’è stata una parte di stress in quella scena perché sono comunque animali molto grandi e imponenti a cui non ero abituata.
C’è stata una preparazione anche per quello: non sapevo mungere e mi hanno insegnato e poi doveva esserci un rapporto con la mucca in particolare perché la mungitura a mano è una cosa molto intima tant’è che si parla proprio di un rapporto tra chi munge e la mucca. Quindi devi un po’ entrare in sintonia con l’animale.
Un film (al) femminile
Se proprio si deve trovare un protagonista a Vermiglio, secondo me, è il femminile. In generale questo è un film al femminile, e quindi anche questo tuo gesto all’inizio della mungitura è sintomatico di questa percezione. Poi, più in generale, c’è il fatto che il tuo personaggio è quello attorno al quale ruota la storia. È vero che c’è l’attesa del parto (in questo caso c’è anche la mamma), però, accanto a questo forse il legame con gli animali aiuta anche a inquadrare la tua evoluzione nella storia.
Non ci ho riflettuto tanto su questo aspetto, anche se devo dire che c’è stato un momento mentre guardavo il film in cui ho detto è tutto un essere incinta. La mamma in primis è sempre incinta, sempre col pancione, e su questo ci scherzavamo anche sul set. Praticamente era solo un procreare e basta. Ma all’epoca forse era un po’ questo il ruolo della donna.
Alla finele donne e i bambini sono i punti di vista principali in un film dove c’è la presenza della guerra, ma è comunque marginale perché non viene neanche mostrata. Quindi c’è questo punto di vista diverso delle donne e dei bambini che rientra perfettamente in quello che dicevi.
Sì, secondo me è interessante perché possiamo dire che Vermiglio è ambientato durante gli anni ‘44-‘45, quindi gli anni della guerra, però alla fine vediamo i punti di vista delle persone che non erano in guerra, che stavano a casa. Tutte persone, però, che comunque in qualche modo vivevano la guerra, o almeno vivevano le conseguenze della guerra.
Martina Scrinzi e la sua Lucia
Torno al tuo personaggio. Se la sorellina più piccola, Flavia, è quella che, sul finire, si accorge per prima della rottura dell’equilibrio del paese, Lucia è un po’ quella che lo rompe questo equilibrio, nel senso che è quella che sembra non appartenere a quel paese. Non ha pregiudizi né malizia nei confronti di nessuno. In questo senso si può dire che, anche se è la più grande, in realtà forse è la più piccola? E per certi versi la più immatura? Allo stesso tempo però è anche quella che fa da collante tra adulti e bambini.
Sì, forse è vero quello che dici. Io in diverse scene non vedevo, per esempio, un grande stacco di anni tra me e Flavia o Ada. Era come se alla fine avessimo tutte e tre le stesse esperienze, perché abbiamo vissuto sempre insieme, abbiamo fatto la stessa scuola, viviamo nella stessa casa. Quindi anche se abbiamo alcuni anni di differenza, questa cosa dell’essere immatura, o comunque di essere rimasta piccola, ogni tanto la ritrovavo.
Quanto al resto sì, diciamo che Lucia è quella che vuole scoprire il mondo, è molto curiosa. Anche Ada, in un certo senso, è simile in questa voglia di scoprire perché vuole imparare e diventare come il papà, che è il suo idolo. Flavia, invece, è quella più tranquilla, non ha ancora così tanta voglia di uscire, di fare.
Sono d’accordo con te sul fatto che Lucia è, in effetti, un po’ il personaggio che sta tra l’adulto e il bambino, e quindi tra questi due mondi. Ed è forse la prima persona, il primo personaggio che fa le prime esperienze, amorose, sessuali. Anche se Ada ci sta arrivando, è a due passi da lei, proprio a livello di scoperta. Forse Lucia è quella che inizia a far vedere alle sorelle che cosa ci può essere senza però dirlo perché è sempre tutto molto molto sottinteso.
Una cosa che mi ha colpito, e che hai sottolineato anche nell’incontro con il pubblico al termine della proiezione al Festival Presente Italiano, è il fatto che le tre sorelle si ritrovano quasi sempre la sera a condividere questo legame. E ho notato anche che per il personaggio di Lucia, anche tutte queste scoperte alle quali facevi riferimento, spesso avvengono proprio la sera o comunque la notte. Mi viene in mente, per esempio, il primo bacio con Pietro. Si può dire che è un po’ il momento di scoperta per tutte loro.
Sì, è vero. Quello che sentivo, anche sul set, è che durante il giorno questi personaggi lavorano. Perché comunque l’ambiente contadino sfrutta la luce e le giornate per lavorare. E quindi c’era un po’ quest’idea di dover fare, di dover lavorare. L’unico momento di pace, di ritorno a sé stessi è la sera o la notte. Anche Dino, per esempio, torna un po’ a sé stesso più spesso nella notte che durante il giorno.
Il tempo tra stagioni, scoperte e nascite
Torno a un altro aspetto riguardante il tuo personaggio e mi ricollego alla prima riflessione che abbiamo fatto. Abbiamo detto che la mamma è praticamente sempre in dolce attesa, quindi una fuori quota in questo senso. Sempre nell’ambito, però, della gravidanza ho notato che Lucia sembra andare di pari passo con il passare delle stagioni. Se per un verso il parto stesso detta un certo tempo, dall’altro anche tutto il discorso delle scoperte va in questa direzione. C’è l’innamoramento e la felicità, poi la triste notizia, la disperazione e l’accettazione. Sembra un po’ come se fossero le stagioni, ma anche i capitoli in cui è diviso anche il film. Quindi è vero che Lucia è quella che rompe l’equilibrio, ma è anche quella che detta un po’ i tempi della storia.
Forse sì, forse possiamo dire che Lucia è quella che porta anche un po’ il dramma nel paese e nella storia. Non so se Maura abbia fatto questo ragionamento di proposito e non ci avevo neanche mai pensato. È vero che appunto Lucia si innamora in inverno in occasione della festa di Santa Lucia con il primo bacio, poi a primavera si sposa, e tra l’estate e l’autunno ci sono il viaggio in Sicilia e la bambina. Quindi sì, è vero, c’è un po’ questo ciclo, però non ci ho mai pensato troppo. Ho sempre pensato che comunque era bello tenere le quattro stagioni perché la sceneggiatura è proprio divisa in quattro stagioni. Io pensavo più al calendario contadino, molto più legato alla stagione. L’avevo sempre vista da quel punto di vista lì: primavera-estate si sta fuori (il fieno da fare e i lavori in campagna), autunno-inverno ci si dedica al ricamo in casa, alla cura della casa, alla macellazione degli animali, alla preparazione delle carni per l’anno dopo. Pensavo più a questo, che comunque era un’idea di Maura per rimanere legata al mondo che stava raccontando, non l’avevo mai relazionato proprio a Lucia. Anche se devo dire che è vero che Lucia si sviluppa in quattro stagioni.
Sì perché la sua storia sembra compiersi a tappe, come delle stagioni.
In relazione a questo la cosa che avevo pensato anche mentre giravo è che Lucia vive i suoi momenti più belli durante l’inverno (si innamora), invece per me l’inverno è una stagione brutta. Di solito dicono che gennaio e febbraio sono i momenti in cui le persone soffrono più di depressione, e quindi mi sembrava così strano che Lucia avesse il periodo migliore durante l’inverno, la stagione più fredda, per poi confrontarsi con il dramma, con il buio, con la sofferenza, con la depressione durante l’estate.
Il silenzio di Lucia (e di Martina Scrinzi)
Un altro elemento che mi è piaciuto molto e mi ha colpito del tuo personaggio è il silenzio. In Vermiglio il tempo e lo spazio vanno di pari passo con i dialoghi che non sono tantissimi, non sono serrati. Il tuo personaggio, però, forse è quello che parla meno di tutti, nel senso che si carica di silenzi anche importanti che alla fine hanno un valore superiore alle parole. Sono tante le scene che si potrebbero citare. Faccio riferimento, per esempio, a quella, dopo la nascita di Antonia, in cui lei piange sul letto e Lucia la osserva in silenzio. In quel momento è quasi più assordante il tuo silenzio che le sue urla. Ma c’è anche Pietro che parla pochissimo e viene quasi da pensare che forse è stato un punto di unione, i due si sono incontrati anche per questo.
Sì, quello sicuramente. Anche il fatto di non capirsi crea un po’ di mistero all’inizio e quindi attira Lucia a scoprire di più Pietro, a stargli più vicino, sempre per quella voglia di conoscere, di scoprire che dicevamo all’inizio. Il silenzio è stata forse la sfida più difficile, il non parlare, non dire proprio nulla.
Mi ricordo che anche durante le prove Maura ci diceva che al giorno d’oggi abbiamo molta più paura del silenzio. Quando siamo in una conversazione con una persona non amiamo tanto il silenzio, siamo sempre lì a dire qualcosa ed è un aspetto che abbiamo un po’ perso, quello di condividere il silenzio e di apprezzarlo; è come se lo disprezzassimo un pochino. E ci mette un po’ in soggezione: quando qualcuno rimane in silenzio in una discussione è sempre un po’ strano. Maura ci teneva a lasciar perdere questa concezione che abbiamo noi oggi del silenzio, che non lo accettiamo. Anche perché erano molto più presenti i momenti di silenzio una volta rispetto al giorno d’oggi; prima non avevano così paura del silenzio.
Per alimentare questo fatto e questo silenzio hai dovuto recitare con lo sguardo, con il corpo. Com’è stato lavorare, come si dice, in sottrazione? Il fatto che tu abbia una formazione teatrale magari può aver aiutato in qualche modo in quest’ottica?
In realtà ho dovuto cambiare un po’ il mio modo di recitare, perché si sa che sul set bisogna andare in sottrazione e se non si va in sottrazione si è troppo teatrali. Avevo paura di non andare abbastanza in sottrazione, anche perché vengo dal teatro danza dove il teatro è molto sopra le righe, deve essere molto accentuato il movimento, bisogna dare il 300%. Qui, invece, dovevo dare pochissimo, bastava magari l’1% e ogni tanto mi era difficile.
Quindi sì, il teatro forse mi ha aiutato in qualche modo, però ho dovuto allontanarmi tanto, perché altrimenti sarebbe venuta fuori una cosa completamente diversa e anche col corpo ho dovuto trattenermi. Ho preso tanto le distanze dal teatro.
Ti è servito per capire cosa non fare.
Esatto (ride, ndr).
Il rapporto con gli altri e le fonti di ispirazione
Com’è stato relazionarsi, anche come Martina Scrinzi, a metà strada tra attori già affermati (come Tommaso Ragno, per esempio) che hanno un’impostazione ben precisa e non attori, come i bambini o comunque i più giovani che, proprio per questo, hanno un modo di recitare anche più istintivo?
Con i bambini, fatta eccezione per le sorelle, era un po’ più difficile perché loro comunque sono molto più istintivi e lo prendevano come un gioco. Per loro non era un lavoro, non riuscivano a vederlo come lavoro. E questo mi portava un po’ fuori, anche perché sono cresciuta con l0idea che il teatro fosse la mia passione, ma è da sempre stata una professione, un lavoro e quindi una cosa da prendere sul serio.
Ho sicuramente avuto una bellissima relazione di lavoro con le attrici di Flavia e Ada, che sono un po’ più grandi che prendevano questa cosa più sul serio, cioè sembrava di lavorare comunque con attrici professioniste. Anche se con poca esperienza comunque si preparavano ed erano molto serie sul set, quindi con loro ho lavorato molto bene.
Ovviamente stessa cosa anche con gli altri, da CarlottaGamba a GiuseppeDeDomenico, ma anche Sara Serraiocco e TommasoRagno. Con alcuni ho avuto un rapporto un po’ più freddo, ma era dovuto alle poche scene che avevamo insieme, ma con altri sono entrata più in sintonia, ma in generale ho lavorato con tutti benissimo.
Dopo la proiezione al Festival Presente Italiano hai parlato della preparazione del tuo personaggio e hai indicato alcune opere che ti sono state suggerite per interpretare Lucia (L’albero degli zoccoli, Casablanca). Oltre a questo hai detto anche che hai letto molto. In generale, però, hai dei personaggi o dei titoli ai quali fai riferimento?
Esatto, i due che hai citato erano i due titoli che Maura ha consigliato sia a me che a Giuseppe De Domenico (Pietro). Poi Giuseppe aveva tutta una lista di opere cinematografiche diverse; io avevo anche Re Granchio.
Per il mio metodo, in generale, guardo un po’ i grandi volti e le grandi star di Hollywood. Quelli sono gli attori che mi danno di più, guardandoli, ascoltandoli, seguendo le loro interviste, per migliorare il mio metodo o per avere più spunti. Per Lucia ricordo di aver letto un libro interessante in spagnolo, Usos amorosos de la postguerra española. Devo precisare che è ambientato durante la dittatura di Francisco Franco, quindi è totalmente un’altra storia rispetto a quello che viene raccontato in Vermiglio. Però mi ricordo che mi era servito tantissimo per capire come si comportavano le ragazze e le donne al tempo, durante un periodo in cui la donna non aveva chissà che potere o ruolo. Mi è servito tantissimo per capire come comportarmi.
Tra le varie cose mi ricordo che per esempio le donne non incrociavano le gambe (una cosa che adesso facciamo tantissimo). Quindi cercavo sempre di non incrociare le gambe, anche nella foto del matrimonio ho tenuto a mente questo consiglio. Tutte queste cose sul comportamento, su come muovere il personaggio, su come muovermi in scena, le ho prese da questo libro.
Il viaggio di Vermiglio continua…
Stai continuando ad accompagnare Vermiglio, anche nella speranza che arrivi fino alla fine in questa corsa verso gli Oscar?
Sì, mi piace molto seguire il film dopo l’uscita, soprattutto l’incontro con il pubblico perché non sono cose da tutti i giorni.
Per esempio Vermiglio è piaciuto tantissimo ai francesi, probabilmente anche per lo stile che, per certi versi, è vicino a loro.
Vedi anche: l’intervista di Taxi Drivers a Paolo Sorrentino
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