Antonio Bellia racconta la nuova edizione del Sicilia Ambiente Film Festival
Ogni estate, a San Vito Lo Capo, il Sicilia Ambiente Film Festival trasforma la bellezza in coscienza, la visione in impegno. A guidarlo da diciassette anni, da regista e direttore, è Antonio Bellia: documentarista siciliano, autore di storie che scavano nella memoria e nelle ferite del presente.
Il vento di Scirocco accarezza le tende bianche di una terrazza affacciata sul mare. Una luce dorata si posa sulle cupole di San Vito Lo Capo mentre, sullo sfondo, lo schermo di un cinema all’aperto attende il calare del sole. È qui che ogni estate prende vita una storia che ha il sapore del cinema indipendente, dell’impegno civile e della poesia del reale: il Sicilia Ambiente Film Festival. A scriverne la regia, da oltre sedici anni, è Antonio Bellia, regista, documentarista, narratore di frontiera. Il suo è un lavoro silenzioso e ostinato: scegliere storie che contano, dare voce a chi non ce l’ha, portare lo sguardo oltre l’isola ma senza mai lasciarla davvero. Con la stessa cura con cui si costruisce una scena, con lo stesso rigore con cui si racconta una verità scomoda. La sua carriera dietro la macchina da presa l’ha portato nei luoghi dove la storia lascia cicatrici — tra mafia, migrazioni, silenzi e memorie — ma è con il Sicilia Ambiente che ha trovato il modo di coniugare arte e militanza, sguardo e comunità.
Il suo festival è un luogo dove il documentario incontra la battaglia per i diritti umani, e dove ogni proiezione è un piccolo atto politico. Ma sempre con grazia, con una bellezza che non ha bisogno di effetti speciali: bastano il rumore delle onde, una storia potente e uno spettatore disposto ad ascoltare. Bellia sceglie il tempo lento del cinema che resta. In questa intervista, racconta luci e ombre di un festival unico nel panorama italiano e internazionale, dal suo rapporto con la Sicilia alle sfide della cultura indipendente, spiegando cosa significa, oggi, raccontare il mondo attraverso uno schermo.
Come è nata l’idea del Sicilia Ambiente Film Festival e qual è stata la sua evoluzione nel tempo?
Dopo il mio documentario Crimini di pace, che mostra i disastri del polo petrolchimico di Priolo, e la mia decennale esperienza come membro del Comitato Scientifico sullo Sviluppo Sostenibile UNESCO, volevo approfondire le tematiche legate allo sviluppo sostenibile perché all’interno del polo ci sono questioni che riguardano sia la tutela dell’ambiente che i diritti umani. Volevo fare un festival che ne parlasse. Ed è iniziata così quella che è stata ed è una vera e propria avventura. All’inizio era un festival molto povero, ho cercato di renderlo forte attraverso il coinvolgimento di partner importanti: Amnesty International e Greenpeace. Questa unione si è rivelata vincente perché ne ha rafforzato la credibilità e mi ha permesso di arricchire i temi e gli interventi. Nel tempo, le sale sono diventate due, le sezioni competitive quattro e, accanto ai documentari che rimangono il focus principale del festival, abbiamo aggiunto sezioni diverse: dalla fiction ai cortometraggi, all’animazione. Un modo per rendere più leggero il festival e per poter parlare di temi legati ai nostri obiettivi, coinvolgendo così anche le nuove generazioni e le famiglie.
Da regista, invece, cosa l’ha spinta ad abbracciare un progetto come questo?
Sono stato affascinato dalle tematiche sociali, ambientali, politiche, storiche, tutti elementi che si trovano anche nei miei documentari. Mi sono sempre occupato di argomenti un po’ scomodi, sin dal mio esordio con il documentario Peppino Impastato: storia di un siciliano libero. Ho sempre avuto un interesse particolare per l’ambiente e per l’atteggiamento dell’essere umano nei confronti di esso. Se ci pensi il comportamento delle classi politiche, non solo di questo Paese ma dell’intero universo, è raccapricciante. Sembra che non ci si renda conto che le guerre non solo uccidono gli uomini ma distruggono l’ambiente e hanno delle conseguenze catastrofiche. E c’è chi addirittura afferma che i cambiamenti climatici sono delle invenzioni. Fare questo festival è stato per me un grosso stimolo e mi ha arricchito anche da un punto di vista professionale. Poi è chiaro che ti toglie del tempo, ma lo faccio sempre con amore perché nella vita ho sempre messo al primo posto la passione, e oggi quel piccolo festival ha raggiunto quota diciassette candeline.
Negli ultimi anni, ha notato un cambiamento nel modo in cui i registi trattano i temi legati all’ambiente e ai diritti umani?
Ti devo dire la verità, negli ultimi due anni ho visto una diminuzione delle opere sull’ambiente, però è anche vero che c’è un approccio molto più professionale, anche perché è un tema che devi affrontare con grande conoscenza, non puoi essere superficiale come magari lo si era in passato, quando di queste tematiche non se ne sapeva nulla. Le opere di oggi sono fatte bene, c’è un approfondimento, c’è una conoscenza ambientalista che è cresciuta tanto sia nella popolazione che nel pubblico. Ma c’è anche un problema di base: in Italia abbiamo una cultura del documentario molto bassa, soprattutto perché il pubblico non è abituato a vederli, e quindi si fa anche fatica a proporre delle opere. Ma ci sono delle opere che meritano di esserci e devono esserci.
Quali sono le principali novità di quest’anno?
Accanto alle quattro sezioni competitive ci sono delle sezioni speciali. Quest’anno, sarà proiettata ogni sera una serie di cortometraggi sui fondali del trapanese. Si tratta di “San Vito Lo Capo Underwater” opere realizzate da Marco Pasquini, documentarista professionista, che ha realizzato tante opere anche nei Paesi di guerra. Devo dire che sono opere molto delicate e affascinanti. E poi, grazie alla collaborazione con alcune università europee, si apre una sezione fuori concorso: “Scienze del mare”, un’altra bella sorpresa. Sono stato contattato da un Istituto della Sapienza di Roma, ma anche da un’Università spagnola, per delle opere molto intriganti. La cosa più interessante è che la cultura dell’audiovisivo sta entrando anche nel mondo scientifico. C’è la necessità di mostrare, attraverso filmati autoriali, le scoperte o novità scientifiche, attraverso opere realizzate da bravi autori che mettono la firma e il loro stile. Mi piace molto parlare di questo perché anni fa ho aperto una collaborazione con l’ARPA, ho lavorato anche con l’ISPRA, e all’inizio era difficile far capire che eravamo un festival di cinema, ovvero che parlavamo di educazione ambientale attraverso il cinema. Oggi in tanti hanno compreso che parlare tramite l’audiovisivo è una risorsa, e bisogna farlo con veri professionisti che portano opere professionali.
A proposito del territorio, qual è il rapporto del festival con la comunità di San Vito Lo Capo?
Da un punto di vista personale il rapporto è ottimo, ma non ti nascondo che fare un festival qui non è facile perché siamo in una zona turistica, quindi il pubblico è composto per lo più da turisti che provengono da varie parti del mondo. Non c’è un pubblico fidelizzato: ogni anno è come se partissi da zero. E per questo, quest’anno faremo un’edizione ristretta dedicata al territorio nel teatro comunale di San Vito Lo Capo. Proprio per i cittadini. Perché mi sono reso conto che adesso ho bisogno di un confronto con loro, devo capire il loro interesse. É un esperimento, vediamo come va.
C’è un obiettivo particolare che vorrebbe realizzare nelle prossime edizioni?
Non si tratta di un vero e proprio obiettivo. Non si può lavorare con serenità senza avere un budget di riferimento e questo, da sempre, mi affatica molto. Parliamo di un problema che non riguarda solo me ma accomuna un po’ tutti i festival meno blasonati. Non è possibile cercare di fare un festival nel migliore dei modi senza sapere il budget a disposizione. Tu pensa che devono ancora uscire i bandi ministeriali per il festival del 2025, quindi praticamente quasi nessun festival saprà quanti soldi ha disposizione, e questo ovviamente non ti dà serenità e ti impedisce di poter fare “il salto di qualità”. A tutti piacerebbe riuscire a ingrandirsi e a portare delle star di un certo tipo, ma senza soldi non puoi nemmeno pensare a questo discorso. E tutto ciò ti toglie energie e ambizioni. E a ciò si accompagna, soprattutto in Sicilia, la mancanza di un privato forte che possa farti da sponsor. E mancando anche questo non puoi nemmeno fare una programmazione.
Se potesse consigliare un film che secondo lei racchiude lo spirito del Sicilia Ambiente Film Festival, quale sceglierebbe?
C’è un film semplicissimo che ho amato e che racchiude un po’ lo spirito del festival. Sto parlando di Una canción para mi tierra, dell’argentino Mauricio Albornoz Iniesta. In questo film c’è una delicatezza non comune. C’è una capacità di sognare ma anche una denuncia molto forte di quello che è quel territorio. Io non amo i film dove si mostrano troppo i cadaveri, ci sono tanti modi per raccontare delle cose con delicatezza. Non c’è bisogno di fare pornografia del dolore. Puoi raccontare le cose in un modo più gentile e lasciare il segno ugualmente. Il cinema è bello anche perché ti fa sognare. Un autore che per me è stato un maestro straordinario è Martin Scorsese. Ha la capacità di costruire i profili dei personaggi in una maniera non comune. Non c’è personaggio che non sia chiaro nei suoi lavori: riesce a portare in scena un quadro totale e chiarissimo dell’essere umano. Mi piacerebbe che in Italia si tornasse a guardare al passato, a quella scuola specializzata nel neorealismo e nella commedia dove, con delicatezza ed ironia, si riuscivano a raccontare drammi pazzeschi.