Il RIFF apre i battenti il 13 novembre per concludersi il 22. Occasione per conversare col suo direttore, Fabrizio Ferrari, della nuova edizione e delle novità di quest’anno.
Parlando del Festival del passato e del futuro, dalla piacevole conservazione con lui, emerge il ritratto di un organizzatore che testimonia il grande successo ormai duraturo, e legato a due fattori imprescindibili: passione e persistenza.
Direttore Ferrari, sta per iniziare la 23ª edizione del RIFF Awards dal 13 al 22 novembre. Tra i vari focus di quest’anno, non si può non iniziare dal vostro sottotitolo. “Proud to be Indie”. La parola orgoglio è identificativa di una dichiarazione di appartenenza, ma anche di una missione ben precisa che lei e il festival avete portato con successo nel corso degli anni. Far conoscere piccole storie al di fuori del circuito tradizionale. Penso al film The Book Of Jobs con Victoria Pedretti che cerca di riflettere sul rapporto contorto tra le giovani generazioni e le nuove tecnologie. Ciò ci riporta al termine “Proud”. L’indipendenza è ancora nel cinema attuale una profonda forma di conoscenza e riflessione?
Beh, direi di sì. Il film che hai citato, The Book of Jobs, è scritto e interpretato dall’autrice. Come tutti i titoli in programma con tematiche difficilmente commerciabili dalle grosse major. La maggior parte, come detto, non sono film con dietro produzioni consistenti, specialmente tra i documentari e i lungometraggi. I titoli in concorso sono veramente fatti da piccole produzioni. C’è per esempio il documentario The Sunshine Dreamer di Shawn Rhodes che ha già partecipato nelle scorse edizioni con documentari altrettanto importanti. L’anno scorso vinse con Little Satchmo che è la storia dell’unica figlia mai riconosciuta di Louis Amstrong, passato l’altro mese su Rai Movie. E quest’anno presenta questo documentario su un ragazzo colpito da una patologia a livello del Dna che viene curato con cellule staminali. Quindi, storie veramente trasversali che non si vedono abitualmente. È questo un po’ il bello del RIFF . Offrire film fuori dagli schemi, dalle grosse produzioni e distribuzioni.
Il Festival come dialogo tra pubblico e regista – RIFF
Un’edizione che si caratterizza anche per un’attenzione particolare per i valori della diversità con la sezione “Love e Pride” dedicata alla cinematografia contemporanea a tematica LGBTQIA+, continuando la collaborazione con il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli. Ma il festival darà anche una particolare attenzione al problema del cambiamento climatico. Al suo interno, si troverà un micro-festival a sua volta, il Climate Future Film Festival, con dieci film provenienti da quattro contenenti diversi che analizzeranno l’urgenza climatica da diverse prospettive. E grazie alla collaborazione del collettivo Zeugma si rifletterà sul tema del paesaggio con la call internazionale Landscape24, chiamando a raccolta sound artist e video artist. Un’attenzione del Festival di natura ecologica; l’audiovisivo sembra essere il mezzo per informare e proteggere la terra dall’uomo stesso.
Questo in realtà avviene da sempre. Noi riusciamo attraverso la selezione. Ci arrivano quasi 2000 opere, e ne selezioniamo novanta/cento che qualitativamente a livello audiovisivo ci permettono di spaziare. Trovando storie che riguardano anche tematiche sociali. Cioè ogni anno arrivano davvero tantissimi progetti con diverse tematiche e noi non facciamo altro che scegliere quelle che crediamo siano di maggiore interesse per il pubblico. E questa sul clima, sì, è un’attenzione che abbiamo già da diversi anni, proprio perché ci arrivano progetti di questo tipo. Climate Future Festival è una chicca di questa edizione del Festival; un’organizzazione abbastanza grande dove con diverse fondazioni che collaborano. Infatti, ci sono stati inviati diversi file per aprire discussioni, per il sondaggio per il pubblico. Per cercare di avvicinare lo spettatore che è toccato da questo importante tema. Anche perché molte persone nel mondo, riguardo al clima, iniziano ad avere un certo panico. Cominciano a isolarsi. Quindi questo micro-festival che noi ospitiamo cerca il dialogo con il pubblico. E di avere anche la possibilità di fare volontariato con le fondazioni che collaborano con la Ong mondiale che si occupa di clima.
Il RIFF coinvolge, non obbliga nessuno
Tra le sezioni dei lungometraggi e documentari, la storia come narrazione trasversale e di ampio respiro sembra dominare come parametro. Penso al romanzo di formazione femminista e femminile dello spagnolo/costaricano Memories of a Burning Body di Antonella Sudasassi. E all’italiano Settimo Grado con Giorgio Pasotti che mette allo specchio la comunicazione di una famiglia risvegliata da una rapina con toni pulp. Fino al documentario canadese di denuncia sul traffico di esseri umani After The Odyssey di Helen Doyle. Opere di evoluzione, di contrasti interiori e di crudeltà. I temi esplorati sembrano certificare uno degli obiettivi del festival. Far circolare storie che siano anche un punto di incontro originale per il settore non solo cinematografico ma in primis festivaliero. Come direbbe Charles Bukowski “La gente è il più grande spettacolo del mondo”.
Il nostro intento è quello di avvicinare il pubblico in sala, di vedere i registi stessi dei film che tornano non solo per vedere il loro film ma anche gli altri titoli. Questo è quello che in genere avviene durante il RIFF: trovare lo stesso pubblico che viene e si appassiona. E il nostro compito è quello di trovare titoli che ti fanno pensare e che il giorno dopo ti fanno continuare a elaborare il tema che hai visto al cinema.
Il RIFF come orgoglio dell’indipendenza
Vedendo la ripartizione delle opere tra le varie competizioni non si può fare a meno di notare una caratteristica. Fatta eccezione per la sezione cortometraggi, quelle dei lunghi prevede massimo 4, 5 opere in competizione. Una struttura che va in controtendenza rispetto al mondo festivaliero che sembra puntare sull’abbondanza di titoli. Il RIFF invece opera su una selezione attenta tra le varie categorie, anche per la divisione che c’è tra lungometraggi, documentari italiani e internazionali. Una suddivisione che sembra fondamentale per l’indipendenza delle varie sezioni e competizioni. È questo lo schema su cui avete lavorato? Dare ad ogni voce il proprio contenitore?
Allora qui subentra anche un fatto un po’ organizzativo. Nel senso che Roma ormai è diventata un susseguirsi di Festival. C’è difficoltà ad avere pubblico in sala, perché ormai sono tutti davanti al cellulare, e quindi abbiamo preferito diminuire il numero del programma: siamo passati da cento titoli a ottanta, anche perché c’è difficoltà ad avere pubblico in sala. Durante la Festa del cinema di Roma io ho notato un’affluenza di giovani, perché venivano coinvolte le scuole, e questo ti fa capire che anche loro hanno difficoltà. Riescono naturalmente con le fondazioni e la potenza delle organizzazioni pubbliche, regione, comune e ministero, ad obbligare le scuole a partecipare per fare pubblico in sala. Il RIFF invece non obbliga nessuno, cerchiamo col nostro programma di coinvolgere più giovani possibili con masterclass gratuite. E insomma il prezzo del biglietto è abbordabile un po’ per tutti, e con un accredito di venti euro si possono vedere tutti i film. Ricordo che sono tutte anteprime mondiali ed europee. Film che sarà difficile rivedere in sala.
La scelta dei cortometraggi – RIFF
Parlando dei cortometraggi, qui il significato di cinema indipendente si fa molto più ampio. L’olandese Fuck A Fun riflette sul porno nel web come gara di clic. I sabotatori di Longrippo e Minciarelli pone l’individuo controllato da una equipe misteriosa. Ma il RIFF ha aperto le porte anche agli studenti delle scuole di cinema con una sezione a loro dedicata. La domanda sorge spontanea. I cortometraggi sono ancora così essenziali per imparare il mestiere di regista/autore? E il Festival cosa si aspetta da un corto indipendente per essere selezionato?
Sono tantissimi. È davvero difficile scegliere quale corto prendere. Ne arrivano un centinaio ogni anno. Siamo un gruppo di selezionatori che decide quale corto prendere al RIFF. E a prescindere dai corti delle scuole, unici ad avere un sostegno sia economico che di materiali, fino a qualche anno fa il centro sperimentale aveva un budget abbastanza elevato per la produzione di cortometraggi con Rai Cinema alle spalle. Poi col digitale il budget è andato via via diminuendo. Noi col cortometraggio ci possiamo davvero sbizzarrire, trovando tematiche di creatività veramente nuove. Quest’anno per esempio abbiamo un corto girato interamente usando l’IA, e ricordo anche nelle scorse edizioni prodotti con budget esigui ma con talenti e film incredibili. Naturalmente qui la Francia e l’Inghilterra la fanno da padrone, ma io penso che sia importante l’idea. È quella poi che colpisce di più e crea l’emozione nel pubblico che osserva e guarda il progetto.
Quindi la differenza la fa l’idea, non solo la scrittura, lo script, ma anche come poi viene realizzata. Penso a Ego Games di Alice Iacuitto; è venuta l’altro giorno a portarmi il film e ha vent’anni. Cosa che non ho mai visto per i corti che in genere hanno registi di trent’anni passati. Poi c’è Francesco Apolloni che conosciamo benissimo qui, che presenta un corto molto divertente, Sei minuti per farla innamorare. Insomma c’è di tutto, da commedie, thriller, e anche un corto in anteprima mondiale che parla di autismo. La difficoltà è più quella di eliminare i titoli perché purtroppo non abbiamo tempo e spazio. Ne arrivano talmente tanti di enorme qualità. Il problema diventa quale togliere e quale inserire perché sono troppo belli. Quindi mi sono affidato ancora di più alle persone che mi aiutano nella selezione. In genere sono io che prendo l’ultima decisione, ma quest’anno ho deciso di inserire dei titoli che a me non convincevano. Però ho pensato che non è detto che quello che a me non piaccia non possa entusiasmare il pubblico.
La sceneggiatura come punto di partenza
Una delle eccezionalità del RIFF è sempre stata l’attenzione a ogni reparto che fa nascere un film. Il Festival fin dal suo concepimento dà rilevanza al cuore di un’opera cinematografica, ossia il soggetto e la sceneggiatura. Premi per Miglior Soggetto e Sceneggiatura sostenuti da InkTip e Tixter. Ma non solo. All’interno del Festival sono presenti due importanti masterclass. Il Pitch Day con un confronto tra gli sceneggiatori in concorso, e un focus sul cinema del maestro Miyazaki incentrato sull’importanza dello script. L’intenzione è quella di evidenziare come il cinema sia anche e soprattutto un lavoro sulle storie?
Sì. Non potevamo non avere una sezione dedicata alle sceneggiature. L’intento è quello di aiutare a produrre lo script del cortometraggio vincitore. Però ecco anche qui cerchiamo di conoscere l’autore fin dall’inizio e poi con l’auspicio di rivederlo al Festival col progetto finito l’anno successivo. Poi ecco quest’anno al pitch che faremo ci sarà questa nuova associazione che è nata l’altro mese, l’APIC, associazione produttori italiani di cortometraggio, che ha già sessanta iscritti e sono tutti produttori. Quindi lavoriamo anche a livello di produzione e distribuzione proprio per aiutare e sostenere il cortometraggio. La sezione sceneggiatura è nata un quindici anni fa. È nata perché uno dei miei collaboratori che mi aiutava con la selezione e tutto, era uno sceneggiatore.
Così ci siamo buttati. Però posso dire che abbiamo iniziato a ricevere un numero abbastanza importante di progetti, e due anni fa abbiamo vinto anche il bando con la Siae che ha finanziato con 3000 euro il vincitore della sceneggiatura. Come dicevi tu, abbiamo anche altri premi, e quello che cerchiamo di fare è aiutare a sviluppare almeno la sceneggiatura del cortometraggio. Certo qui è un po’ difficile perché avremmo bisogno di aziende che forniscano macchine da presa, luci. Insomma è un lavoro produrre un cortometraggio. Rai Cinema da cinque anni è il nostro partner fornendo un premio in denaro pe i diritti e l’acquisizione del corto vincitore sui canali della Rai. Anche qui mi sembra di aver letto che Rai Cinema abbia lanciato proprio un canale dedicato ai cortometraggi.
Quando si parla di cinema indipendente oggi si guarda a case di produzione come A24 o anche la stessa Mubi che si stanno prepotentemente imponendo sul mercato internazionale, passando da minor a major del settore. In Italia questa rivoluzione sembra ancora qualcosa di nicchia e di inesplorato. Da direttore di un Festival che mira a far conoscere il cinema indi e i suoi nuovi autori, cosa manca in Italia per far affermare completamente i film indipendenti qui da noi?
Il pubblico. È il pubblico che decide, che va in sala e decide se andare a vedere il film della major o quello indipendente. È il pubblico che decide. Quando abbiamo in sala un titolo che esce con 3000 copie e uno con 500, purtroppo lì si crea un monopolio. Siamo costretti a vedere quel film perché quello c’è in sala. Quando il pubblico capirà, come succede in tanti altri paesi, che può trovare la stessa qualità o qualcosa di più rispetto al blockbuster, deciderà se vedere la fiction o qualcosa di più rilevante.
Investire sul cinema indipendente
Manca forse anche il rischio di investimento in Italia?
Certo è assolutamente così, sono d’accordissimo. E la televisione stessa. Cioè quando lo Stato finanzia le opere prime e seconde ma poi, una volta prodotte, non vengono distribuite dalla televisione pubblica, è proprio il meccanismo che secondo me non funziona. Se lo Stato finanzia un film, deve mettere nelle condizioni il film stesso di uscire in sala. Perché altrimenti è inutile finanziarlo per poi non essere visto. I Festival: anche qui molti preferiscono dare visibilità a film e serie tv importanti con grossi nomi. Noi come RIFF abbiamo scelto di presentare opere prime e seconde indipendenti perché sappiamo che anche qui la qualità c’è. E voglio aggiungere che anche il fatto di vedere degli attori, degli interpreti importanti nel cortometraggio o film indipendente, fa onore a questi grandi attori. Noi abbiamo avuto Nino Frassica, Alessandro Haber, Pietro De Silva. Grandi nomi che aiutano i film indipendente a farsi conoscere.
Per concludere, direttore, una domanda che ne contiene due. Cosa si aspetta da questa edizione che sta per iniziare e se c’è un titolo o una parte del RIFF di cui è estremamente orgoglioso.
Un titolo in particolare no, mi piacciono tutti. Direi sicuramente che sono orgoglioso dei documentari e lungometraggi internazionali, e questo perché abbiamo delle opere davvero molto alte, di spessore. Riguardo a quello che mi aspetto, sento nell’aria che già c’è una grande aspettativa. Ovvero sento già i registi in concorso che mi chiedono come vedere gli altri film, vogliono venire tutti in sala. Mi aspetto quindi il ritorno del nostro pubblico a cui siamo abituati.
Qui il programma del Festival
https://riff.it/il-festival/programma/