Hesitation Wound è un film di Selman Nacar, presentato alla settima edizione dell’ Euro Balkan Film Festival (qui il programma completo).
Il regista turco è stata premiato come miglior regista. Già presentato in concorso nella sezione Orizzonti alla 80° Mostra del Cinema di Venezia, è stato premiato per “l’originalità del suo sguardo autoriale, attento alle difficili scelte che le persone comuni affrontano, dovendo fare i conti con la sottile corruzione di una città di provincia che potrebbe essere una qualunque dei Balcani”.
Questo dramma processuale mette a nudo la natura umana, mostrandoci come persino i ruoli sociali più invidiati e rispettati possono nascondere anime fragili e sole, pronte a crollare se la maschera professionale dovesse venire meno.
Il film è una coproduzione che coinvolge Turchia, Spagna, Romania e Francia.
Hesitation Wound: maschere fragili
Canan, un’avvocata, deve difendere in processo un uomo accusato di aver ucciso il suo vecchio datore di lavoro. La donna si getta sul caso con anima e corpo, mentre la sua vita privata cade in pezzi. Sua madre sembra essere ormai in un coma irreversibile e, se le figlie danno il consenso, i suoi organi potrebbero salvare altre vite. L’innocenza dell’uomo e il dover lasciare andare sua madre cambiano completamente i piani di Canan.
Oltre il ruolo sociale
Hesitation Wound di Selman Nacar ci mette di fronte a una scelta: seguire la propria morale o reprimere i nostri sentimenti a favore delle responsabilità professionali. Siamo allineati con Canan, seguiamo ciò che accade nella sua mente e nelle sue emozioni mentre si trova davanti a una scelta che potrebbe cambiare la sua vita e quella del suo assistito. Poco importa l’esito del processo e il verdetto finale. Quello che rimane sono solo persone vuote e disilluse, intrappolate in una maschera pirandelliana che li inchioda ai loro ruoli, costringendoli a rinunciare a tutto ciò che esula dalla facciata sociale e professionale.
Canan discute di leggi e cita codici, che sembrano tuttavia essere inadeguati al mondo reale. Esplicativa la perdita d’acqua nell’aula di tribunale: metafora di un sistema astratto che crolla di fronte agli eventi. Le maschere sociali e professionali impediscono persino il corretto svolgimento dei compiti a loro affidati. La giustizia e la verità sono, infatti, influenzate dal rango sociale degli interessati, che sembrano favorire il ricco figlio della vittima, a discapito di ogni sospetto.
Maschere e parole vuote
Selman Nacar dirige un film minimalista e verboso, in cui la parola perde di senso e non sembra rispecchiare le reali intenzioni e volontà dei personaggi.
La storia si svolge in un unico arco temporale ridotto, in cui gli ambienti grigi si ripetono ancora e ancora, dando al film un’atmosfera opprimente e claustrofobica che rispecchia il conflitto interiore della protagonista.
Questa limitazione di spazio e tempo diventa un simbolo del peso morale che schiaccia Canan, accentuato dall’uso di una fotografia cupa e di primi piani intensi che riflettono le sue emozioni in conflitto.
La regia minimale si focalizza sui dettagli e sui silenzi, rendendo ogni gesto e ogni espressione essenziale per comprendere la profondità del personaggio, oltre la superficie dei dialoghi superflui.
In Canan si riflettono i dubbi e le paure che molti affrontano di fronte a scelte difficili, trasformandola in un ritratto universale di chi è chiamato a difendere la giustizia, ma che deve anche confrontarsi con il proprio concetto di etica.
Nacar sembra voler interrogare lo spettatore: fino a che punto si è disposti a sacrificare il proprio benessere per mantenersi fedele ai propri principi? È possibile per un professionista della giustizia restare completamente neutrale, oppure la morale individuale influenzerà sempre il giudizio?
Tutti questi dilemmi etici rimangono senza risposte definitive, sfidano lo spettatore a trarre un senso da questa giustizia incompiuta, in cui tutti gli interessati hanno un’Hesitation Wound, che rende difficile e paurosa la vita al di fuori del loro ruolo sociale.