Ideata da Sydney Sibilla Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883 è la serie del momento e ne abbiamo parlato con Alice Filippi che l’ha diretta insieme a Sydney Sibilla e Francesco Ebbasta.
Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883 è prodotta da Sky Studios e Groenlandia ed è visibile su Sky Serie e in streaming su Now dall’11 ottobre al 1º novembre 2024.
– Foto di copertina di Lucia Iuorio –
Alice Filippi su Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883
Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883 racconta uno degli aspetti tipici dell’età giovanile, quella di sentirsi sempre sotto esame. Si tratta di una condizione esplorata soprattutto nel primo dei tre episodi da te diretti, quello in cui si racconta in che maniera il personaggio di Max Pezzali ne sia spesso sopraffatto.
È vero, credo che questo sia un tema valido ancora oggi perché nonostante il mondo sia andato avanti, anche le nuove generazioni si sentono così. In realtà si tratta di una condizione che appartiene un po’ a tutti perché in questi giorni anche io mi sento sotto esame rispetto al lavoro che ho fatto.
Il tema viene sviscerato in maniera tragicomica prendendo spunto da situazioni e contesti diversi. Il terzo episodio infatti si apre con un flashback in cui il piccolo Max Pezzali viene sottoposto a un esame oculistico. A seguire, uno dietro l’altro, ci saranno l’esame di maturità e poi quello del debutto nel mondo musicale. La tua abilità è stata quella di riuscire a raccontarli all’interno di un’unica linea narrativa mantenendo costante il tono del racconto.
Come ha detto anche Sydney Sibilia in conferenza stampa, ogni episodio doveva essere diverso dall’altro non solo per il cambio di regia, ma anche per la presenza di temi e di fasi diverse dell’adolescenza. Il terzo è stato ispirato ad un cult come Notte prima degli esami perché tratta di un passaggio molto importante di quell’età. La puntata poi è andata oltre e, sulla scia della domanda che Max si pone a proposito di quanti esami può avere una persona in una settimana, ne ha raccontati molti altri, perché appunto c’è l’esame musicale, quello della patente, quello che riguarda la prima uscita con la ragazza di cui è segretamente innamorato. Per me è stato un tuffo nel passato perché sono ritornata a rivivere le mie esperienze giovanili raccontandole però in maniera più matura. Di certo è che specialmente per noi italiani quello è un momento molto importante della nostra vita.
Una sorta di rito di passaggio.
Mi spingerei a dire che esiste un prima e dopo l’esame di maturità tanto è importante quel passaggio per le ansie e le paure che comporta. Anche perchè come dice Max nel quarto episodio, che ne sappiamo noi della vita per poter scegliere cosa fare dopo l’esame di maturità? Per un ragazzo di quell’età non è un pensiero da poco ed è quello che abbiamo provato a raccontare in quella puntata.
©EmanuelaScarpa
Elia Nuzzolo Matteo Giuggioli Alice Filippi
Il tempo
Sempre nel terzo episodio a essere protagonista è il tempo cronologico perché, attraverso il montaggio, gli avvenimenti si accavallano andando avanti e indietro negli anni. Come dicevo si passa dalla visita oculistica all’esame di maturità con nel mezzo il debutto musicale di Pezzali e Repetto nello show di Radio Deejay condotto da Jovanotti. La concitazione e il sovrapporsi degli eventi rende bene l’orizzonte temporale dell’età giovanile in cui ci si sente sempre in affanno e intenti a rincorrere gli eventi.
Assolutamente, è una mancanza di tempo, ma anche il tempo che si somma come succede quando diciamo di sì a mille cose per poi renderci conto che non ne abbiamo abbastanza per fare tutto. Nel terzo episodio in effetti volevamo introdurre un nuovo linguaggio che è quello di un tempo non lineare perché ci sono due avventure non contemporanee che si sovrappongono. Si va avanti e indietro tra i diversi esami cercando di capire se andrà tutto bene o se sarà un disastro. Abbiamo trattato il tutto come se fosse un racconto d’avventura e questo credo che abbia reso più interessante la vicenda.
È un montaggio che, se da un lato riesce a farci sentire l’ansia di Pezzali, con gli eventi che si accavallano velocemente uno dietro l’altro, dall’altro sembra rifarsi a quel postmoderno che all’epoca degli eventi era così in auge. È così?
È assolutamente così. Ciò che volevamo raccontare era l’ansia di Max e soprattutto il suo odio verso gli esami che risale a quando era bambino ed è causato dalla visita oculista che apre il terzo episodio e che poi si protrae fino all’esame di maturità. Dopodiché questa forma di narrazione era già presente fin nel primo episodio in cui si parte con una ricostruzione d’epoca che sulle prime sembra non c’entrare niente con la storia degli 883 e che invece si intreccia alla perfezione con ciò che viene dopo. Per me è stato davvero interessante lavorare su un tempo non lineare e che però promuoveva una continuità dal punto di vista tematico.
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Elia Nuzzolo Matteo Giuggioli
Ispirazioni e richiami per Alice Filippi
Sappiamo che Sydney Sybilla è stato lo show runner della serie. Da questo punto di vista mi pare che il vostro modello d’ispirazione sia stato Mixed By Erry, sia nell’impostazione corale della storia che nella voce fuori campo. Lo stesso si può dire per una narrazione più ideale che reale, per la presenza di un tempo non lineare, ma anche per il taglio fotografico. Volevo chiederti se è un film a cui hai guardato in fase di preparazione?
Ho guardato tutti i film di Sydney che già amavo prima di avere la fortuna di collaborare con lui. È veramente un cinema che mi piace, non solo per come gira, ma per come scrive. In lui trovo una grandissima freschezza di approccio e di scrittura. Mixed by Erry è il suo ultimo lavoro, quindi è più simile al modo di raccontare della serie. Il direttore della fotografia è lo stesso e anche l’epoca dei fatti sono su per giù le stesse. Peraltro entrambi i lavori esplorano il mondo della musica quindi è impossibile che non ci siano riferimenti simili.
In qualche modo è come se Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883 spostasse quella vicenda da Roma all’Italia. Anche i toni sono i medesimi di Mixed By Erry, ovvero quelli di una commedia anche agrodolce che mi pare sia coerente al carattere dei personaggi, desiderosi di cercare un ambiente più stimolante, meno bigotto e più divertente dell’ambiente provinciale in cui sono cresciuti. Peraltro anche il loro carattere, per molti versi ingenuo e puro, si addiceva al genere della commedia.
Assolutamente. Quando sono entrata in questo progetto erano già state scritte le prime due puntate. Dopo averle lette mi sono innamorata di come è stato affrontato il tema perché, pensando alla storia degli 883, ho pensato subito alle canzoni di Pezzali e Repetto che hanno segnato la mia adolescenza. In realtà questa è la storia di due ragazzi e di un’amicizia che condivide lo stesso sogno. Che poi questi due siano anche gli 883 secondo me è un valore aggiunto perché anche i ragazzi che non li conoscono o che non sono affezionati alle loro canzoni possono identificarsi in questa storia. Dopo averlo visto i miei nipoti e i loro amici mi hanno detto: “ma questa non è una storia da vecchi, ma qualcosa che parla di noi!”. Sono convinta che al raggiungimento di questa empatia concorre anche la freschezza del tono. D’altronde anche il libro – I cowboy non mollano mai – scritto da Max a cui la serie si ispira era ironico da morire, pieno di passaggi in cui lui per primo si prendeva in giro nel raccontarsi come uno sfigato. Dal libro si capisce che erano consapevoli di essere degli outsiders e di sognare qualcosa di impossibile. Per questo ci identifichiamo in loro, perché sono veri.
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Elia Nuzzolo Matteo Giuggioli
La musica
Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883 non è un film musicale. La musica c’è, ma è un surplus rispetto a quello che è un romanzo di formazione in cui si mescolano elementi del teen movie. Di quest’ultimo c’è la classica dialettica tra omologazione e anticonformismo, l’innamoramento per la ragazza più bella della scuola e quel sentirsi fuori posto che da il là all’inizio del riscatto. In tutto questo l’epopea degli 883 entra in campo come una sorta di sogno americano made in Italy.
Sì, sì, assolutamente. Infatti devo dire che fino a oggi non ho sentito o letto alcuna lamentela sul fatto che nelle prime puntate non ci sono canzoni. In realtà le sentiamo nella sigla di apertura, ma per il resto la storia inizia come un classico romanzo di formazione. Alla fine le canzoni arriveranno, ma la storia da sola basta ad appagare il pubblico perché ti racconta di due ragazzi che sono anche gli 883, con il loro sogno che ognuno può sostituire con ciò che preferisce.
Il biopic e la storia universale
Mi sembra che la vostra sia solo l’ultima serie italiana in cui un genere popolare come il biopic viene contaminato in maniera forte da altre forme cinematografiche. Succedeva così anche in Supersex per cui ti chiedo se questa cosa la senti come una tendenza?
Potrebbe essere. Da parte mia non c’era l’intento di onorare la carriera di Max Pezzali ma di vivere insieme a lui quello che poi l’ha spinto a cambiare vita e dunque le delusioni, le difficoltà, le paure, i grandi sogni. Perché poi secondo me è questo che funziona in una storia, quello di vivere senza filtri la verità del personaggio. Solo così te ne appassioni senza esaltazione. La celebrazione può andare bene per un documentario, ma in una serialità la chiave vincente è l’adesione al personaggio.
L’obiettivo di creare una storia universale è stata perseguita rinunciando a farne un ritratto d’epoca. Ciò non vuol dire che non esistano riferimenti allo stile, al costume degli anni ’90, ma questi sono sempre relativi all’universo di riferimento di Pezzali e Repetto. Il fatto di non definire troppo la scena aumentava la trasversalità della storia e dunque l’identificazione da parte del pubblico.
Per la serie c’è stata una ricostruzione storica a livello scenografico e di costumi, però secondo me quello a cui ti riferisci dipende dall’aver scelto una fotografia non d’epoca. Nella serie c’è un look, un colore, uno stile vintage che abbiamo reso girando con lenti anamorfiche che ricostruiscono il passato in una forma molto moderna. Secondo noi era essenziale che, trattandosi di una storia rivolta principalmente ai giovani, doveva per forza essere girata in maniera moderna.
Alice Filippi: empatia dei giovani d’oggi
Questo fa sì che i ragazzi di oggi vedano la serie insieme ai genitori che a suo tempo avevano amato le canzoni degli 883.
Sì, perché il look è totalmente moderno con un carattere e un linguaggio giovanile di oggi e non di quelli della gioventù degli anni ’90.
Un’empatia da parte dei giovani di oggi che dipende, come abbiamo detto, dal fatto che Hanno ucciso l’Uomo Ragno – La leggendaria storia degli 883 non è un film musicale.
Esatto, bravo, non è un film musicale. Magari qualcuno si aspettava che lo fosse, ma non è così. Le musiche ci sono e chi vuole se le può godere, ma ai ragazzi più giovani interessa di più il coming of age dei personaggi. Comunque il lavoro sugli aspetti musicali è stato molto interessante. Ad aiutarci è stato Ciro Caravano, dei Neri per caso, bravissimo a lavorare con gli attori come coach vocale. Ciro ci ha aiutato tantissimo nella parte strumentale, soprattutto quando si è trattato di ricreare la tavernetta con gli strumenti utilizzati da Pezzali e Repetto. Max ci ha confermato che quelli usati erano gli stessi con cui loro hanno creato le loro canzoni. Ciro ci ha spiegato come usarli, come campionare suoni, chitarre e musiche di altre canzoni per creare la loro musica. Lui è stato sempre con noi sul set ogni volta che dovevamo fare scene di questo tipo anche perché le abbiamo girate tutte live.
Gli attori
Un altro aspetto è stato quello di rappresentare personaggi famosi come Claudio Cecchetto, Sandy Marton e Fiorello con un trucco che non puntasse all’imitazione mimetica, ma che semplicemente fosse in grado di ricordarne sembianze e gestualità. Questo ha evitato il rischio dell’effetto macchiettistico.
La scelta degli attori è stata la chiave di tutto. Siamo entrati nel progetto in pieno casting. Era stata già fatta una piccola scrematura. A quel punto io Francesco Ebbasta e Sydney sembravamo i giudici di Masterchef. L’intento era quello di trovare dei ragazzi che in qualche modo fossero in grado di rubare l’anima a Max e Mauro. Utilizzare dei sosia sarebbe stato sbagliato, perché quello che doveva uscire era l’essenza di Max e Mauro e ovviamente la chimica tra loro due. Abbiamo vagliato diverse coppie ed Elia Nuzzolo e Matteo Oscar Giuggioli erano quelli che secondo noi avevano quella giusta. Se non li avessimo trovati eravamo disposti a fermare tutto perché scegliere gli attori giusti era fondamentale per un progetto del genere.
Giuggioli lo conoscevo essendo stato molto attivo al cinema e sulle piattaforme, mentre Elia Nuzzolo è stato una vera e propria rivelazione.
Per lui è stato un vero e proprio debutto, considerando che sempre quest’anno è stato scelto per interpretare Mike Bongiorno da giovane nella serie omonima. È stato veramente bravissimo, perché come prima esperienza si è ritrovato sul set sei mesi, tutti i giorni, in tutte le scene, con tre registi diversi. Quello che mi è piaciuto è che più andavamo avanti con le riprese e più loro diventavano Max e Mauro. A un certo punto erano diventati così affiatati che molte delle cose che si vedono nel film sono nate dalle loro improvvisazioni. Il bello della serialità è che l’attore ha modo di entrare nel personaggio e di aiutare i registi nell’approccio del personaggio.
Silvia e Claudio Cecchetto
Tra gli esordienti si distingue anche Ludovica Barbarito che, nel ruolo di Silvia, la ragazza di cui Max è innamorato, è brava a dare vita a un ritratto in qualche modo sfuggente e comunque concreto, anche per quanto riguarda morbidezze e ritrosie, sempre in bilico tra l’essere l’amica del cuore e la ragazza dei sogni.
Lei è stata veramente una bellissima scoperta: sul suo personaggio abbiamo lavorato tantissimo anche perché Silvia è una summa di tutte le esperienze sentimentali avute da Pezzali. Non avendo un riferimento a cui aggrapparci, abbiamo creato un personaggio che, come hai detto, cambia continuamente. All’inizio sembra quella più distaccata, la bella della scuola, poi a un certo punto diventa la migliore amica di Max fino allo sviluppo finale che però non anticipo per non rovinare la sorpresa al pubblico.
Per la sua stravaganza Claudio Cecchetto è uno dei personaggi più divertenti della serie. Roberto Zibetti lo interpreta come meglio non si potrebbe. Da una parte ci appare come una sorta di Mogol, dall’altra è portatore di una leggerezza e di una vaghezza che lo rendono davvero indecifrabile.
Cecchetto è un personaggio davvero carismatico, ma nella serie ci appare come lo hanno visto Max e Mauro quando sono arrivati per la prima volta a Radio Deejay. D’altronde Pavia e Milano sono due città viste con gli occhi di Max e Mauro. Pavia è tutta monocromatica, con i gialli, gli ocra, i vestiti tutti uguali. Milano e Radio Deejay appaiono esplosive, con dei look strepitosi. In realtà Radio Deejay all’epoca non era ancora così, però quella è l’idea che se ne fanno loro. A ispirarci è stata una frase del libro di Max che dice: “guardavo Milano da Pavia come si guarda New York dal New Jersey”. Da parte nostra non potevamo replicare questa immagine perché negli anni ’90 i grattacieli non c’erano ancora e dunque non avevano uno skyline da far riconoscere, ciò detto abbiamo comunque voluto dare l’idea di due ragazzi che arrivano a Milano e si ritrovano in un mondo a cui non appartengono. Esemplare in questo senso è la sequenza in cui loro vanno a mangiare giapponese insieme a Cecchetto. Pensa anche al tormentone “è andato fuori” con cui Cecchetto intende che il disco è uscito in radio e che loro continuano a domandarsi cosa significa. Peraltro Max e Mauro reagiscono come facciamo noi nordici e cioè evitando di fare troppe domande per cui per tutto il tempo il dubbio rimane: su quello come sul contratto che i due non hanno ancora firmato nonostante il loro primo album sia in testa alle classifiche. Insomma, si ritrovano in un mondo dove sono totalmente degli outsider e il contrasto che nasce tra loro e quella realtà è una delle cose più forti e divertenti della serie, anche in termini di linguaggio.
Rispetto alle serie di Zero Calcare la vostra sembra una sorta di versione nordica. Anche lì attorno al protagonista ruotava un gruppo di amici molto caratterizzati e anche lì c’era un ragazzo che una volta fuori dalla suo quartiere d’origine si ritrova in un mondo per certi versi alieno. In più in entrambi i casi i protagonisti scelgono di rimanere uguali a se stessi nonostante le tentazioni.
È un paragone molto interessante. Tra l’altro Zero Calcare ha scritto un messaggio a Sydney dicendogli che la serie gli era piaciuta molto. Non si conoscevano neanche quindi ha scritto con la volontà di farlo e non come si fa per complimentarsi con un amico.
Un altro titolo di Alice Filippi
A proposito di film che si parlano, anche Sul più bello partiva da una diversità capace di costruirsi un mondo alternativo, un po’ come succede ai protagonisti della serie.
Ad accomunarli è quello di raccontare due persone che non vogliono mollare mai. Se per Marta il sogno era di vivere la sua vita al cento per cento nella serie ci sono Max e Mauro che ne hanno uno più grande della loro tavernetta. In entrambi i film si sottolinea l’importanza dell’amicizia. Nella serie oltre a quella tra Max e Mauro c’è quella con Cisco che all’inizio è geloso perché Mauro si è andato a mettere tra lui e il suo miglior amico mentre verso la fine è capace di essere il fratello in grado di darti il consiglio giusto al momento giusto, quello capace di spronarti quando ne hai più bisogno. Quindi sì, si tratta di due lavori che si assomigliano soprattutto perché ci invitano a non smettere di credere nei nostri sogni.