Con Mixed By Erry Sydney Sibilia, il regista di Smetto quando voglio, rafforza il legame tra realtà e fantasia per raccontare il riscatto di un sogno. Il film è al cinema con 01 Distribution.
Mixed by Erry di Sydney Sibilia
Il tuo è un cinema fatto di storie e di personaggi che racconti assegnando uguale importanza tanto al testo scritto quanto a quello visivo.
Mi impegno al massimo perché sia così, nel senso che i film mi piace scriverli oltre che girarli. Nel passaggio da una fase all’altra cerco di curare molto la messa in scena e la ricostruzione storica, nel tentativo di realizzare un prodotto di alta qualità. Immagino sempre lo spettatore immerso nel mondo dei miei film, in questo caso la Napoli anni ’80, quindi, per far sì che non caschi la quarta parete, bisogna curare tutto nei minimi dettagli.
In tal senso le prime due sequenze sono esemplari. Quella d’apertura, con l’ingresso trionfale dei protagonisti all’interno del carcere è di forte impatto visivo, con l’inquadratura dal basso verso l’alto che amplificando oltremisura la parte superiore dell’edificio trasmette la sensazione di meraviglia e la fantasia che sono parte integrante delle tue narrazioni.
Per trovare il carcere adatto ci abbiamo messo tantissimo, sia perché la maggior parte non avevano la spettacolarità che mi serviva, simile a quella che accoglie il calciatore quando dal tunnel dello stadio entra sul campo di gioco. Sia perché volevamo creare un ambiente caotico, in grado di giustificare la paura dei protagonisti. Enrico e i fratelli non sono criminali, ma si ritrovano in un ambiente che avevano sempre cercato di evitare con tutte le loro forze. Per il film volevamo creare il contrasto tra un ambiente, in qualche modo, minaccioso, anche dal punto di vista estetico, con la gentilezza dei detenuti, pronti ad accogliere Erry come una celebrità. Lo trattano come un maestro, gli fanno scegliere il letto, gli portano il caffè. Insomma, cercano di fare bella figura.
Una parte per il tutto
Nel film ho trovato efficacissimo un aspetto che appartiene alla tua poetica, ovvero quello di prendere in considerazione una parte per il tutto. Succedeva così ne L’isola delle rose, accade lo stesso in Mixed By Erry, e cioè quello di raccontare un pezzo di storia italiana, con i suoi usi e costumi, attraverso l’universo, tutto sommato marginale, dei tuoi protagonisti. La Forcella di Enrico Frattasio è simile all’Isola di Giorgio Rosa. In entrambi i casi si tratta di due periferie destinate a diventare per un momento il centro del mondo.
Diciamo che soprattutto nell’ultimo film, ma anche nel precedente, la parte geografica è fondamentale. La storia di Mixed by Erry poteva accadere solo nella Forcella di quegli anni. Mi piaceva raccontare come quel luogo potesse ospitare così tanti dj e poi seguire il percorso di un ragazzo che tra la povertà estrema o un certo tipo di affiliazione sceglie un’altra strada, quella di fare il disc jockey in un’era in cui erano in molti a volerlo fare. Il luogo quindi era fondamentale. Peraltro il quartiere è straordinario: popolare e centrale rispetto a Napoli, ma anche storico, come vediamo dall’importanza degli avvenimenti di cui i protagonisti sono testimoni nel corso di due decenni. Penso alla serie di arresti famosi, allo scudetto del Napoli e a molto altro. E non solo, perché, come dici tu, Forcella diventa il centro del mondo musicale, capace di dare uno smacco all’intera pirateria mondiale.
Rispetto alla prima, la seconda sequenza, quella della zuffa tra ragazzini, è oltremodo narrativa nella maniera in cui lo fa il tuo cinema, accumulando nella stessa scena più linee di racconto. In questa lo scambio di battute e il ruolo assunto dai tre fratelli all’interno della scena delineano l’azione contingente, ma anticipano anche le rispettive personalità dei fratelli: Enrico, detto Erry, schivo e sognatore, Peppe, razionale e pragmatico, Angelo il più piccolo, coraggioso e deciso.
Intorno a Erry volevamo creare un ambiente ostile rispetto a una persona che vuole fare il dj, pieno di persone che non riescono proprio a capire come si faccia ad avere una passione del genere. Il fratello dal carattere più pratico mi serviva per rendere verosimile che una storia così poteva succede solo a loro tre. Più in generale, volevamo creare un organismo umano perfetto per quel periodo e per un posto come quello.
La narrazione di Sydney Sibilia in Mixed by Erry
A proposito dei livelli di rappresentazione presenti all’interno dello stesso nucleo narrativo, tutta la parte introduttiva è dedicata al tema della povertà.
È una parte fondamentale, quella in cui si racconta cosa vuol dire essere poveri. I bambini non sanno bene cosa sta succedendo e così chiedono al genitore se sono poveri. Per loro questo significa non avere le cose che vogliono, come succede invece agli altri bambini. La povertà è legata anche al sistema di valori del padre che gli dice “mi raccomando, tutto tranne che diventare disonesti”, anche se poi quello che fa lui non lo è per niente. Se ci pensi i fratelli non verranno mai meno al codice Frattasio e nonostante questo, da grandi, riusciranno a permettersi più o meno tutto quello che vogliono.
L’efficacia della tua abilità narrativa, quella di sovrapporre più racconti all’interno dello stesso momento, la si evince da un passaggio breve, ma significativo. Parlo di quando la vicina si sporge dal balcone per riferire alla mamma di Enrico il messaggio del padre. Quella che a prima vista potrebbe essere una boutade sintetizza come meglio non si poteva il fatto che la famiglia Frattasio non può permettersi il telefono in casa.
Complimenti, sei il primo ad averla notata. In quella scena c’è la povertà, ma anche una filosofia di vita perché se il telefono ce l’ha la vicina a te non serve. Ci tenevo molto a raccontare quel tipo di vita e di racconto, ma anche una città dove si vive spesso uno vicino all’altro. Nei vicoli si sta talmente uno attaccato all’altro che è come se si convivesse tutti assieme, un cuore pulsante di persone densamente abitato.
Cinema americano, ma tradizione napoletana in Mixed by Erry di Sydney Sibilia
Le tue commedie guardano al cinema americano, ma in questo caso a emergere è il repertorio più classico della tradizione napoletana, recente e passata. La prima volta che si entra a casa di Erry un pensiero va alla miseria e nobiltà raccontata dalla commedia di Eduardo.
In realtà sono un fan del cinema italiano più che di quello americano. Cerco solo di dare un po’ di ritmo ai miei film e le commedie americane ne hanno di un livello superiore al nostro. Ciò detto, la mia ispirazione è sempre la commedia all’italiana, e cioè un cinema altissimo di cui bisogna essere fieri anche perché si tratta di un brand esportato in tutto il mondo. Lo sappiamo fare solo noi, e quindi in primis faccio quello.
La scena a cui ti riferisci è l’ultima che ho scritto. In fase di ricerca ho visto un po’ di film tra cui Così parlò Bellavista; quel modo di parlarsi un po’ addosso l’ho sentito forte ogni volta che sono andato a Napoli ed era quello che mi premeva raccontare subito per presentare i tre fratelli. Mi piaceva rendere giustizia ai veri fratelli Frattasio che parlano spesso uno sopra l’altro, e poi cercare di creare un’ambientazione divertente e uno spaccato di vita reale.
Troisi e Scorsese
Guardando Erry conversare con i propri fratelli è impossibile non pensare a Massimo Troisi e a La Smorfia. L’ingenuità un po’ naïf e la malinconia del protagonista sono tratti che hanno reso celebre la maschera di Troisi.
In questo film ho fatto vari omaggi. Quando sul set si è trattato di trovare la lingua più adatta ci venivano sempre incontro i film di Troisi che sono una cosa meravigliosa. Lui per me è l’artista più emozionante in assoluto. Non esiste una parola che racconti le emozioni presenti nei suoi i lavori. Sono uniche perché le senti solo quando guardi lui. Abbiamo cercato in qualche modo di richiamare quella poesia anche se oggi è pressoché impossibile riuscirci. L’unico omaggio che siamo riusciti a fargli è relativo a Scusate il ritardo, facendo indossare a Erry in alcune scene un maglione simile a quello con cui si vestiva il personaggio di Massimo.
Quando invece si tratta di raccontare l’ascesa di Erry, il ritmo sostenuto, le inquadrature sugli oggetti filmati dall’alto e la voce fuori campo mi hanno fatto pensare a Casinò di Martin Scorsese.
Grazie. Sì, ci sono tutta una serie di riferimenti cinematografici provenienti dalla mia visione dei film di Martin Scorsese fatta quando ero ancora piccolo, ma anche della commedia americana degli anni ottanta e novanta, come pure di quella italiana. Di tutto questo cerco di fare un mix quasi involontario: mi piace che l’ascesa dell’eroe emozioni prima di tutto me, quindi ho cercato di replicarla anche per il nostro protagonista. Mixed by Erry si prestava particolarmente per via della musica sparata a tutto volume, come una mega playlist. Avendo a disposizione quel repertorio di canzoni ha reso tutto un po’ più facile.
Realtà e fantasia in Mixed by Erry di Sydney Sibilia
Nella poetica del tuo cinema il connubio tra realtà e fantasia è sempre più stretto. In questo mi sembra che tu esprima una delle funzioni del grande cinema e cioè quella di prendere la vita reale, con i suoi problemi, e renderla più vivibile.
In realtà quando c’è una storia vera, o più di una messe insieme, come succede in Smetto quando voglio, cerco di approcciarle, come mi succede a cena quando, parlando con un amico, gli racconto la mia versione dei fatti. La realtà per essere divertente ha bisogno di essere rielaborata e io nel farlo mi riconosco lo spirito del cantastorie, che mentre racconta si preoccupa di intrattenere il pubblico il meglio possibile.
Parliamo del cinema che preferisci come autore e spettatore.
Io sono un divoratore di film di ogni genere, anzi, più sono in incatalogabili e più mi piacciono. Sono un grande fan del cinema d’autore e di film che non c’entrano niente con quello che faccio, quindi guardo praticamente tutto. Non avendo fatto una scuola di cinema la mia è stata una formazione selvaggia in cui vedevo le cose e me ne innamoravo. Era il cinema di quando ero piccolo in cui vedevo film meravigliosi e mi dicevo che avrei voluto farli anche io. Erano quelli di una certa Hollywood degli anni ottanta che riuscivano a farmi sognare. Poi c’erano anche i film di Carlo Verdone e in genere i film italiani che mi piacevano da morire. A volte mi vengono fuori delle battute che mi sembra di aver già sentito. È così perché proviene da quel cinema di cui mi sono innamorato e che, più o meno inconsciamente, continuo a citare.