Taipei è mille culure. Ma forse bisognerebbe dire mille amori. Sono proprio la capitale di Taiwan e il sentimento dell’amore al centro di Tales of Taipei, film antologico presentato al Far East Film Festival di Udine. Come tutte le antologie, riempie e non si fa afferrare. Lo compongono nove episodi diretti da altrettanti giovani registi, molti (ma non tutti) da Taiwan, col raccordo al montaggio dell’hongkonghese Wenders Li. Il personaggio fil rouge, il cui episodio chiude la sequenza, è il fattorino di un giornale prossimo alla chiusura (la rockstar Wu Bai), che prima di vivere la propria avventura (un incontro soprannaturale in un palazzo in demolizione) è visto scorazzare in moto tra le vie della città. Nel ventre della capitale, l’amore prende forme mutevoli e connota racconti variabilinel genere e nel tono. Prevale un effetto metropoli, polifonico e un po’ disorientante, a cui è comunque piacevole abbandonarsi.
Come sia congegnato l’incastro degli episodi è intuibile dal cangiantismo del primo trittico. Lirico e struggente l’addio di una vedova del Sud-est asiatico al proprio marito taiwanese in Farewell, My Tamsuidi Chong Keat Aun, dramma intenso e laconico che rifluisce come l’onda in riva al mare. Piano, saporito, leggero l’incontro al ristorante tra nuora di Hong Kong e il suocero taiwanese in Papa in Lawdi Norris Wong, prima che l’anziano si vaccini contro il Covid;
– Come può essere dolce la guava! È dolce solo quando la immergi nella polvere di prugne.
– Oh. Posso avere la polvere di prugna?
– L’ho finita.
Lo scioglimento tenero, senza clamori, fa sovvenire il realismo poetico dell’Ozu di Viaggio a Tokyo. In confronto, la svolta surreale che cova Midsummer Serpentdi Joseph Chen, separazione di due amanti per misteriosi motivi, trasporta ai confini della realtà. Tre mute della pelle filmica in meno di mezz’ora. Ci si può aspettare di tutto tra le luci della città, che siano i riflessi di una pozzanghera, le penombre bisbigliate degli interni, i neon invadenti. Così prosegue, cambiando ancora pelle, Tales of Taipei.
Le metamorfosi
Quando si arriverà a fare i conti con l’ultima storia, si tireranno le somme. E nell’inevitabile sensazione di aver potuto apprezzare una rassegna di corti dal concept flebile, si potrà provare a catalogare le metamorfosi dell’amore. Nella categoria “amori familiari”, per esempio, rientra anche il dialogo strappalacrime tra la nipote e il nonno di Good Luck to You del nepalese Pawo Choyning Dorji, con sottofondo floreale ed elaborazione del lutto.
Quanto al filone “se son rose fioriranno” degli amori a prima vista, vi s’iscrivono alcuni tra gli episodi più freschi e giovanili. In Let Me Be Your Baby di Liu Chuan-hui, per esempio, le celebri popstar SHOU e Julia Wu sono due musicisti messi in crisi dal Covid che s’incontrano a un chiosco che vende noci di betel. Il racconto si ferma al guscio, ma piace l’atmosfera complice. Agrodolce e alcolico, invece, Hold My Beerdi Remii Huang, in cui una frizzante ragazza abborda un giovane all’esterno di un locale, salutandolo come se si conoscessero da tempo: per capire se si siano già incontrati bisognerà passare un po’ della notte con loro.
Tales of Taipei, un’immagine dall’episodio Hold My Beer
Alla divisione “coppie in crisi” si aggiungono anche la quieta disperazione di certi mélo di The Imaginary Childdi Rachid Hami (un francese e una madre single devono decidere su di una inattesa gravidanza) e le suggestioni sperimental-teatrali di Breederdell’attrice Lee Sinje (una donna si dibatte tra l’amore appena finito, a cui è, letteralmente, legata, e una nuova fiamma).
Dunque, i cuori ardono in modi diversi, e il cinema asseconda col proprio linguaggio multi-potenziale, forse lasciando un po’ trascolorire l’apporto del genius loci, il contributo dell’anima della città. L’artificiosità dell’operazione allestita dai produttori Bowie Tsang e Amy Ma, pur senza compromettere la godibilità del prodotto, finisce per affiorare.
On the road for love
Tanto è vero, che proprio un altro espatriato di Hong Kong (Ronald Cheng) è il protagonista del più riuscito degli episodi, The Good Fortune. Il suo ambiguo e fascinoso incontro con un incallito giocatore del superenalotto (Chang Chen) si sarebbe potuto svolgere, come altri racconti di Tales of Taipei, anche altrove: perché no, sovrabbondante com’è di sigarette e ralenti, nella malia dolciastra di un universo di Wong Kar-wai. Happy o unhappy together, dunque, certi incontri sembrano capitati solo per caso a Taipei, come per la combinazione di una lotteria:
– Se l’autobus non si fosse fermato, non sarei venuto.
– Quindi… tutto si riduce alla probabilità. È il destino.
È in questo viavai dell’anima il senso più profondo di Tales of Taipei, per cui la metropoli – come può capitare alle metropoli – perde certe specificità e si fa microcosmo, accogliendo gli amanti come fossero viandanti. O compagni di viaggio.
Tales of Taipei, il rapper SHOU nell’episodio Let Me Be Your Baby
Chi l’avrebbe detto, salvo che per il prologo del fattorino on the road, che un film sull’amore sarebbe diventato una specie di buddy movie, su persone che si fanno compagnia attraverso le difficoltà. Dalla colonna sonora: “Grazie per il tuo amore e per la tua compagnia / Continua a camminare su questa strada / Tutte le difficoltà diventeranno bellissime / Finché c’è l’amore / Non ti mancherà la forza”.