Finalmente l’alba, di Saverio Costanzo racconta la perdita dell’innocenza di un’intera epoca attraverso un viaggio al termine della giovinezza della sua protagonista. Presentato in concorso alla scorsa edizione della Mostra del cinema di Venezia, Finalmente l’alba rappresenta un punto di arrivo artistico del regista che nella conversazione ci spiega temi e motivi del film.
Prodotto da Wildside, Fremantle, Finalmente l’alba arriva nelle sale dal 14 febbraio con Vision Distribution
Finalmente l’alba di Saverio Costanzo
Inizio dalle sequenze in bianco e nero, quelle che introducono alla storia vera e propria. La prima delle considerazioni che volevo condividere con te è se la particolarità della loro natura fosse un modo per introdurre il contesto storico che precede quello in cui si svolge la storia di Finalmente l’alba. Il film immagina che la vicenda della mamma e della bambina intente a nascondersi dall’ufficiale nazista che le perseguita e soprattutto ciò che segue abbiano luogo in una Roma appena liberata dai tedeschi.
Intanto ti voglio dire che non c’è nessun gioco di citazioni perché tutto ciò che si vede è inventato, non c’è niente di reale. Dunque, far combattere i tedeschi contro gli alleati in piazza di Spagna è un falso storico. In più quelle che vediamo non sono le sequenze di un film neorealista perché l’uso della musica e le caratteristiche della scena finale ammiccano alla retorica hollywoodiana degli ani ’40. Però hai ragione quando dici che questo tipo di premessa è stata fatta per permette al pubblico di entrare con maggiore facilità nel contesto storico in cui si svolgono le vicende del film.
La seconda considerazione deriva dal fatto che la costruzione interna di quelle sequenze è fondativa della struttura generale del film, ovvero della dialettica tra la narrazione principale e un sottotesto che porta avanti una riflessione sul cinema sia in termini teorici, sia come fenomeno di costume. Si tratta di una caratteristica molto presente nel cinema americano: penso a film come Mulholland Drive, ma anche a titoli più recenti come Mank e Babylon.
Lo sguardo del film coincide con quello di Mimosa: la bellezza, l’avventura, tutto quello che capita nel film è visto da lei anche quando non è presente. Non lo è nelle sequenze in bianco e nero, e neanche in quelle del film egiziano, eppure il punto di vista è comunque suo. A tal proposito mi sono spesso chiesto se il finale con la leonessa esiste davvero o se sia anche quello frutto della sua fantasia, come accade al disegno delle foglie sulla parete che a un certo punto prende vita e inizia a muoversi. È come se questa ragazza fosse talmente capace, talmente desiderosa di stupirsi e di credere al verosimile da inventare queste architetture visionarie. Come regista fondare la scrittura del film su questo punto vista mi ha dato la libertà di entrare e uscire da situazioni “altre” proprio perché il mio sguardo coincideva con quello di Mimosa.
Richiami e riferimenti
Finalmente l’alba è popolato dai fantasmi dell’immaginario della protagonista, con elementi che appartengono all’epoca in cui vive e altri provenienti dal cinema che ama guardare. Per come hai costruito il film, e considerato che il suo è una sorta di viaggio al termine della notte, durante la visione ho pensato spesso a Mulholland Drive ma anche a The Neon Demon.
Lynch è uno dei miei registi della vita, sono ogni volta influenzato dal modo in cui pensa e vede le cose. Però, se ti devo dire, scrivendo il mio film non avevo in mente nessun titolo. Soltanto una persona dopo aver visto Finalmente l’alba mi ha detto di aver pensato a Mulholland Drive. Ne deduco ci sono film che appartengono talmente alla nostra memoria visiva che sono destinati a venire fuori malgrado la nostra volontà.
A proposito di inconscio e restando alla sequenza iniziale, mi pare che, per come l’hai organizzata, la prima parte abbia molti rimandi a Private, il tuo film d’esordio. Mi riferisco al contesto della home invasion vissuta dalle vittime più che altro attraverso suoni e rumori, ma anche alla messinscena buia e claustrofobica.
Sono entrambi film di guerra e per me la paura più grande di una guerra è di essere scoperto. Stare nascosto con a disposizione un punto di vista limitato. In questo, come in Private, il mio riferimento è il diario di Anna Frank. Quando ero piccolo la sua lettura mi sconvolse. Una lezione che forse ha influenzato anche Il pianista di Roman Polanski.
Finalmente l’alba di Saverio Costanzo è un cinema più popolare?
Rispetto alla tua filmografia mi sembra che Finalmente l’alba possa considerarsi una sintesi tra quello sguardo d’autore che ha sempre fatto parte dei tuoi lavori e un cinema più popolare. In questo senso l’esperienza de L’amica geniale credo sia stata fondamentale. È così oppure no?
Mi auguro che lo sia. È vero che l’esperienza de L’amica geniale mi ha insegnato che si può fare un lavoro accurato, anche colto nella messa in scena, eppure capace di arrivare a tutti. In realtà sin dal mio primo film questo l’ho sempre creduto. Hungry Hearts per me era un thriller che offriva allo spettatore un’esperienza di tensione molto forte e non certo intellettualistica. Private era un film di guerra attraversata dalla tensione tipica di quel genere. Questo tipo di sintesi talvolta riesce bene, talvolta meno, ma per me il tentativo è sempre quello di far sì che una forma personale di racconto incontri il più largo numero di spettatori.
Hai ragione. A tal proposito mi viene in mente la lezione della Nuova Hollywood.
Sì, della Nuova Hollywood così come dei grandissimi registi europei e americani. Se vedi un film di Polanski ti accorgi della presenza di un punto di vista personale sulle cose che rimane coerente di film in film, come succede anche in quelli di Tarantino, Scorsese, P. T. Anderson.
Lo sguardo del pubblico uguale a quello di Mimosa
Al termine del film in bianco e nero la carrellata all’indietro rivela che ciò che guardavamo non era l’inizio del nostro film, ma il finale di quello che Mimosa stava vedendo insieme alla mamma e alla sorella. Si tratta di un movimento di macchina fondamentale per entrare nel cuore del film perché unisce il nostro sguardo a quello di Mimosa in maniera tale che da lì in poi guardiamo la realtà con i suoi stessi occhi. Una scelta, questa, che ha dalla sua anche quella di aumentare il coinvolgimento del pubblico rispetto alle vicende della protagonista.
In realtà non avevo intenzione di rivolgere fin da subito l’attenzione su Mimosa perché mi piaceva mettere lo spettatore nella condizione di chiedersi chi sarebbe stata la protagonista: poteva essere la sorella, la madre, l’intera famiglia. Questo dura fino a quando lei va a Cinecittà e si ritrova a fare il provino. Se ricordi è solo in quel momento che la vediamo in primo piano e non mescolata con il resto del gruppo.
Infatti sulle prime, e per come ci presenti i personaggi, io avevo pensato che la protagonista fosse la sorella. È lei infatti che, all’uscita del cinema, viene invitata a fare un provino a Cinecittà.
Infatti la mia intenzione era propria quella. Volevo che succedesse come nella vita quando a un certo punto ci si presenta un bivio che ci fa prendere una strada diversa da quella immaginata.
Finalmente l’alba di Saverio Costanzo una storia di sopravvivenza
Il passaggio tra le scene in bianco e nero e quelle a colori sembra una sorta di cambio del testimone nel senso che, come la bambina, anche Mimosa si troverà coinvolta in una storia di sopravvivenza. Peraltro in entrambe le storie la dominante ambientale è la notte e in entrambi i casi piazza di Spagna è il punto conclusivo del viaggio.
Nello specifico la circolarità di cui parli per me è una cosa che appartiene agli essere umani: almeno una volta nella vita c’è per tutti un ritorno in posti in cui sono già stati. A cambiare è il nostro modo di guardarli. Quando scrivo tendo a costruire il copione su poche location perché mi diverte modificare lo spazio intorno al cambiamento del protagonista.
Infatti era una cosa che ti volevo chiedere, ovvero tu costruisci questo film con una struttura cangiante, organizzata secondo diversi generi cinematografici che confluiscono naturalmente uno nell’altro. Mentre nel cinema di Desplechin questo meccanismo è scoperto nel tuo appare come una sorta di naturale metamorfosi. Nel cinema dell’autore francese ce ne accorgiamo, nel tuo no. In questo modo Finalmente l’alba parte come una commedia sentimentale sul genere Poveri ma belli, per poi diventare un peplum e ancora un racconto di formazione, un thriller, un melodramma e persino un film dell’orrore.
A me diverte mischiare gli ingredienti anche se è rischioso e il gioco poi non sempre riesce. Allo stesso tempo però questa è un’ambizione che non voglio negarmi alla luce del fatto che l’esperienza umana è attraversata da momenti thriller, momenti di paura, momenti di sentimento romantico. Una giornata è piena di diverse sfumature e allora mi chiedo perché non riconsegnare allo spettatore la stessa varietà di sentimenti.
Più richiami
Finalmente l’alba si conclude con una forma e con esiti del tutto diversi da come era iniziato. Quello che trovo eccezionale è come il film arrivi a questi antipodi senza alcuna forzatura, ma seguendo il naturale sviluppo della storia.
La nostra intenzione era di fare dialogare la piazza di Spagna del ’43 e quella della versione finale, con l’alba che sembra lasciarsi indietro per sempre quella precedente.
A un certo punto vediamo Mimosa che entra dentro lo schermo della saletta dove alcuni addetti ai lavori stanno guardando in anteprima un cinegiornale dedicato alla morte di Wilma Montesi. In quel momento ho pensato a La Rosa purpurea del Cairo e al fatto che rispetto al film di Allen il tuo transfer è molto meno romantico e molto più minaccioso. Basti pensare ai momenti che precedono questa scena quando Mimosa sembra essere fagocitata dal corridoio che precede l’entrata nella sala di proiezione.
Quella di cui parli è una retroproiezione che mi serviva per far capire che la ragazza si stava avviando sullo stesso drammatico percorso compiuto da Wilma. In quel momento l’ombra del cadavere della Montesi coincide con quella della ragazza, a significare che Mimosa sta andando verso qualcosa che non ha niente a che fare col cinema, ma piuttosto con un pericolo.
Il rapporto tra le protagoniste
Il rapporto tra Mimosa e Josephine Esperanto diventa la metafora di quella Hollywood degli anni cinquanta innamorata del neorealismo italiano. Esplicativa in tal senso è la sequenza in cui Mimosa, chiamata di fronte al pubblico a recitare un ruolo che non le appartiene, reagisce mostrando semplicemente le proprie emozioni. Parliamo di una scena fondamentale all’interno del film.
La scena di cui parli è il centro del film. Una ragazzina mostra il proprio disagio che diventa arte per gli spettatori dei quel contesto. La sua autenticità mette KO la grande diva. Di fronte alla verità di Mimosa, Josephine capisce il limite della maschera che è costretta a indossare.
Nella parte di Josephine Lily James interpreta un ruolo opposto a quello di Cenerentola. Nel film si rivela una sorta di strega cattiva.
Lei mi aveva molto colpito in Pam e Tommy, serie in cui Lily faceva Pamela Anderson. È stata capace di tirare fuori il dolore di un’attrice in un modo talmente vitale e dignitoso che mi sembrava perfetta per il ruolo di Josephine. Peraltro sono stato fortunato che abbia accettato perché per me lavorare con lei è stata un’esperienza meravigliosa.
La protagonista di Finalmente l’alba di Saverio Costanzo
Con Rebecca Antonaci mi sembra che tu abbia lavorato come hai fatto con le protagoniste de L’Amica geniale. Prendere un volto mai apparso sullo schermo ti ha permesso la possibilità di plasmarlo nel corso della visione. Nel caso di Rebecca è come se in qualche modo il suo viso si colorasse di una serie di sfumature che dalla notte all’alba ce la fanno apparire diversa da come l’avevamo vista all’inizio del film.
In un certo senso sì. La mia ispirazione è Giulietta Masina che non metteva mai in primo piano la sua femminilità e per questo era capace di far saltare il banco. Ne Le notti di Cabiria Fellini gli fa interpretare una prostituta molto poco credibile e che però alla fine risulta convincente. È come se tutte le volte la Masina tirasse fuori una femminilità altra, non immediatamente leggibile. Cercavo un’interprete che ne avesse una qualche familiarità. Una protagonista che, nonostante sempre in scena, lasci lo spazio ai personaggi che incontra. Un foglio bianco su cui ognuno è libero di scrivere la sua storia. Rebecca, come la Masina, hai l’impressione non giudichi, è una sua delicatezza. Inoltre serie e film vanno ormai sempre più alla ricerca di volti androgini, capaci di rappresentare la complessa fluidità del mondo di oggi, mentre io volevo rappresentare una ragazza semplice, senza tempo.
Mi è sembrato interessante da parte tua la proposta di una storia come Finalmente l’alba in cui fai dialogare esperienze umane opposte. Da una parte infatti abbiamo una dimensione completamente materica come quella della guerra, dall’altra una del tutto irrazionale, dominata da frenesie extra corporee. Quella interna al film è una riflessione che ha molto a che fare con la nostra contemporaneità.
Questo film, come tanti usciti negli ultimi mesi, l’ho scritto durante il Covid. Avevo voglia di immaginare un dopoguerra, dove la gente si mangia la vita a grandi bocconi vivendo il più possibile. Spero che il film sia capace di consegnare allo spettatore la stessa vitalità matta e irrazionale di quegli anni.