Prima danza, poi pensa – Alla ricerca di Beckett. Il film di James Marsh, in anteprima al San Sebastian Film Festival e al Torino Film festival, esce nelle sale il 1 febbraio, distribuito da BIM Distribuzione.
Si ripercorre la vita di Samuel Beckett in una maniera originale: una biografia, ma qualcosa di diverso e di più.
Titolo originale: Dance First, Think later – A life of Samuel Beckett.
Prima danza, poi pensa: La trama
La storia, i successi, gli amori e le amicizie del gigante della letteratura, Samuel Beckett (Gabriel Byrne), una delle figure più rivoluzionarie e influenti del Novecento.
Partendo dalla “catastrofica” vittoria del Premio Nobel per la Letteratura nel 1969, Beckett rievoca gli eventi salienti della sua vita in un dialogo immaginario con la personificazione della sua coscienza, lasciando emergere i temi e le riflessioni che hanno reso grandi le sue opere. Ne risulta un ritratto poco conosciuto della sua personalità: buongustaio, solitario, marito infedele, combattente della resistenza francese e anche grande amico di James Joyce (Sinossi ufficiale del film).
Fionn O’Shea è il giovane Beckett in ‘Prima danza, poi pensa’
Prima danza, poi pensa: Gli elementi di realtà
Trovarsi di fronte al premio Nobel Samuel Beckett e non provare alcuna soggezione. Anzi, tanta simpatia per un grande della letteratura che, pur possedendo gli strumenti per rendere lo spaesamento dell’uomo moderno, ora fatica a decifrare il proprio.
Sam (lo chiamiamo così anche noi) ha sessantatré anni quando vince il Nobel. Se sono attendibili le notizie in rete, dovrebbe essere stata la moglie Suzanne (Sandrine Bonnaire) ad esclamare: Una catastrofe! Nell’incipit di Prima danza, poi pensa, invece, lo dice lui a Suzanne. Uno scambio comprensibile: marito e moglie condividevano il senso della misura. Il successo, sì, ma entro certi limiti. Poca mondanità e una vita solida di coppia, che inizia soprattutto con la dedizione di lei e continuerà fino alla morte, nonostante i tradimenti.
Tante situazioni vere: la collaborazione con Joyce (Aidan Gillen), l’amicizia intensa con Alfred Peron, la lunga relazione con Barbara Bray (Maxine Peake), sceneggiatrice della BBC, la partecipazione alla Resistenza francese, nonostante lui la sminuisca come “roba da boy scout” (pare lo abbia detto davvero!).
Gli elementi di fantasia
“Prima danza, poi pensa è un racconto di fantasia, scherzoso e spesso struggente della vita di Samuel Beckett, incentrato anche sulla vita emotiva dell’autore”, afferma il regista. Noi, diremmo, soprattutto sul turbamento che persiste nella rievocazione del passato, filtrato attraverso lo sguardo di chi tanto ha vissuto e tanto ha da farsi perdonare. Sono ammalato di rimpianto, dirà.
Gli elementi immaginari sono difficilmente distinguibili da quelli reali, ma poco importa. Quello che conta è come l’uomo Beckett si trovi lì, davanti a noi, così disarmato, nel fare i conti con le piccole o grandi miserie esistenziali per le quali chiede a se stesso di essere perdonato. Un viaggio dentro la tua vergogna, gli risponde l’altra parte di sé, quel Samuel, questo, sì, immaginario, immaginato, come voce della coscienza.
Gabriel Byrne è Samuel Beckett in ‘Prima danza, poi pensa’
Espediente un po’ troppo scoperto, la proiezione della mente come fosse esattamente il suo doppio. Due Samuel Beckett uno di fianco all’altro, uno di fronte all’altro: il primo a voler raccontare di sé, il secondo a stanare tutti suoi i possibili non detti, a smontare gli alibi; inflessibile, eppure bonario.
Anche la location degli incontri ci sembra un po’ troppo sfacciatamente allusiva se riferita al terreno dell’inconscio; molto più significativa se si vogliono richiamare le ambientazioni teatrali dell’autore.
La struttura e il tono del racconto
I dialoghi fanno da cornice a un racconto che procede cronologicamente, dalla fanciullezza al Nobel, e oltre, fino alla morte (Alla ricerca di Beckett, il sottotitolo del film). Però forse ci sarebbero stati altri modi per rendere i ripensamenti, le colpe, gli errori, rispetto a quello di mettere in scena un’altra parte del Sé, così vistosamente costruita. Soluzione troppo facile, in una scrittura e in una regia per il resto invece molto accurate.
La parte più felicemente, narrativamente, riuscita è senz’altro quella che vede il giovane Beckett (Fionn O’Shea) nella sua relazione con Joyce, in cui si alternano riflessioni sulla scrittura (importante non è quello che scriviamo, ma come lo scriviamo, dice il Maestro) ai momenti nella famiglia quasi adottiva. A tavola con la moglie di Joyce e la figlia Lucia, sempre sopra le righe e innamorata di Sam.
Aidan Gillen è Joyce, in Prima danza, poi pensa
Sono gli anni della formazione, in cui lo scrittore acquisisce sempre più autonomia intellettuale. Lo sguardo e la postura, da impacciati, si fanno più sicuri. Piace anche il tono scanzonato con cui vengono resi quegli anni, in linea con lo stile tragicomico delle sue opere future. Nel resto del film, però, l’ironia viene diluita nel fardello dei segreti e dei drammi quotidiani, comprese le tresche sentimentali.
“Prima danza, poi pensa”, scritto da Neil Forysth, è stato fortemente influenzato dallo stile unico del grande autore. Sostiene James Marsh, ma noi, il tocco più chiaramente beckettiano lo avvertiamo soprattutto in questa parte della narrazione. Ci aspetteremmo che continuasse a farci sorridere, anche se amaramente. E quando non succede più, restiamo un po’ delusi. I morti sono amici fidati dirà l’anziano Sam alla sua coscienza: di lieve non è rimasto quasi più nulla.
Finale di partita
Aveva cinquant’anni quando scrisse Finale di partita, quarantasei quando uscì Aspettando Godot. Nell’una e nell’altra opera del suo teatro dell’assurdo mette in scena l’insensatezza del vivere. L’attesa, l’epilogo, nell’apparente immobilità di Vladimir ed Estragon, di Hamm e Clov.
Prima danza, poi pensa ci propone la figura di un uomo ormai anziano, stanco della vita, della fama, adagiato in una bigamia per la quale vorrebbe comprensione, ma non la sa interrompere. Un uomo che continua a interrogarsi sul senso della vita (la sua vita) e della morte (la sua morte). Sono gli stessi quesiti posti al mondo dai due capolavori che lo hanno reso così celebre, e che i suoi lettori, il suo pubblico, conoscono molto bene. E che ora possono leggere come uno spostamento, da una dimensione dell’uomo contemporaneo a se stesso.
Chi invece va al cinema attratto dal nome di Beckett, dal bel titolo, dal desiderio di saperne di più, al di là dell’indiscutibile valore del film, forse non imparerà molto sull’opera letteraria e teatrale, sulla genialità, l’arguzia, la portata innovativa. E non sappiamo quanto Prima danza, poi sogna, inviti a farlo.
Beckett questa volta sale sul palcoscenico (la sua mente come teatro interiore, il film come drammatizzazione personale). A volte però sembra un uomo, di grande spessore, sì, ma solo in crisi d’età.
Mai una sola vota possiamo rivedere quel Samuel Becckett che abbiamo spesso citato per la sua affermazione: Ho provato. Ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio.