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‘Calcio e cinema’ somiglianze tra due spettacoli popolari

Un approfondimento che mette in evidenza sia le somiglianze tra questi due fenomeni apparentemente agli antipodi, sia come il calcio è stato affrontato spesso nel cinema

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Nell’ambito della 22ª edizione del RIFF, si è svolto l’incontro Racconti Sul Pallone, nel quale  Giuseppe Sansonna e Paolo Piras, moderati dal critico Tobia Cimini, hanno discettato sulle similitudini tra cinema e calcio.

Il calcio è sicuramente lo sport più seguito nel mondo, un evento trasversale, amato dai ricchi e dai poveri, da donne e uomini, adulti e bambini, da Nord a Sud e da Est ad Ovest. In sé unisce spettacolo e disciplina… a volte anche arte (certi gol, certi schemi tattici). E praticamente quasi tutti hanno almeno dato un calcio al pallone.

Il cinema è ugualmente una forma espressiva universale. Da quando il cinematografo è nato, in quel lontanissimo 28 dicembre 1895 a Parigi, si è espanso per il mondo, facendo ridere, piangere o arrabbiare miliardi di persone. Anche il cinema contiene il connubio spettacolo e disciplina, e, rispetto al calcio, sovente è arte. E sicuramente, almeno una volta nella vita, ognuno ha visto un film, se non in una sala cinematografica, almeno attraverso altri medium.

Riflettendoci bene, però, queste due espressioni hanno in comune anche il modo in cui si utilizzano. Gli spettatori vanno dentro una sala cinematografica (corrispettivo di uno stadio) e si siedono in platea (un po’ come gli spalti). Il maxi schermo è rettangolare (come il campo di gioco), e quando inizia il film gli spettatori guardano le azioni che si stanno compiendo sullo schermo.

Nel calcio il rettangolo di gioco è il maxi schermo. I 22 giocatori in azione sono gli attori, tra cui spiccano le super star,  mentre l’allenatore è al contempo il regista (quello che organizza gli schemi tecnici) e l’attore (quando viene ripreso). E allargando un poco il discorso, mantenendo questa sottile somiglianza tra cinema e calcio, il Presidente di una squadra è il produttore, che ha investito denaro per “produrre” la squadra vincente. O per lo meno che funzioni.

Una partita di calcio si potrebbe definire come un film di guerra, di battaglia, di “cappa e spada”. Chi siano i buoni e i cattivi dipende dal tifoso, che sostiene la sua squadra del cuore, mentre il team avversario è il nemico d’abbattere. Una viscerale passione del tifoso/spettatore che si ravvisa anche nel merchandising, non dissimile da quello cinematografico di certi brand (Disney, Marvel, Star Wars): magliette, bandiere, foto, materiale scolastico.

E se una delle tappe fondamentali per lo sviluppo del cinema è stato lo Star System, con finanche la creazione di Fan Club, anche nel calcio a un certo punto si è concretizzato questo aspetto divinatorio. Fan club dedicati alle squadre di calcio, oppure ai singoli giocatori, veri e propri idoli.

Il calcio nel cinema

Il calcio è apparso infinite volte nel cinema. Sia con pellicole incentrate specificamente su questo sport, tramite storie fittizie o veri biopic, e sia con spezzoni di partite inserite in narrazioni che parlavano di tutt’altro. Stilare una lista è impresa improba, quindi in questo approfondimento si citeranno soltanto alcune pellicole italiane come esempio per corroborare il tema.

Essendo il calcio ritenuto sport nazionale in Italia, qualora si raccontasse la storia della domenica di alcuni personaggi, esso inevitabilmente apparirà. Un esempio valido è Ladri di biciclette (1948) di Vittorio De Sica. Pedinamento dell’itinerario domenicale di padre e figlio alla ricerca della bicicletta rubata, nel finale i due si ritrovano fuori allo stadio Nazionale (Flaminio), mentre la Roma sta giocando e si sentono i boati dei tifosi. E precedentemente il calcio entra in “scena” attraverso la cronaca di una radiolina.

E su questo solco, per citare altri due efficaci esempi, si possono ricordare film come il corale La domenica della buona gente (1953) di Anton Giulio Majano, che ha come sfondo la partita Roma-Napoli, o L’audace colpo dei soliti ignoti (1959) di Nanni Loy, su un fittizio furto, a Milano, per accaparrarsi il montepremi del Totocalcio mentre si gioca Milan-Roma; Il Secondo tragico Fantozzi (1976) di Luciano Salce e con Paolo Villaggio, nel quale i poveri impiegati devono guardare forzatamente La corazzata Potëmkin (1925) mentre vorrebbero seguire l’epocale Italia-Germania (“Si diceva che l’Italia stava vincendo per 20 a 0”).

Differente, in questo ambito, il personale È stata la mano di Dio (2021) di Paolo Sorrentino, che ha come sfondo il Napoli e i funambolismi di Diego Armando Maradona di metà anni Ottanta.

Riguardo le pellicole fittizie incentrate direttamente sul calcio, ci sono differenti film che hanno affrontato il “mondo calcio” da differenti punti di vista. Si potrebbero citare la commedia L’inafferrabile 12 (1950) di Mario Mattoli, in cui Walter Chiari interpreta due gemelli (uno portiere della Juventus, l’altro impiegato del Lotto); il più serioso Gli eroi della domenica (1953) di Mario Camerini, con Raf Vallone che fu realmente un ex calciatore; il demenziale Mezzo destro e mezzo sinistro – 2 calciatori senza pallone (1985) di Sergio Martino e con la coppia Gigi e Andrea.

Ci sarebbe poi il calcio visto attraverso l’arbitraggio, nel parodico e buzzanchiano L’arbitro (1974) di Luigi Filippo D’Amico. O attraverso la Presidenza, come attesta Il Presidente del Borgorosso Football Club (1970) di Luigi Filippo D’Amico e con Alberto Sordi.

Il calcio tramite la figura dell’allenatore, come ad esempio ne I due maghi del pallone (1970) di Mariano Laurenti e con Franco e Ciccio; o il cult L’allenatore nel pallone (1984) di Sergio Martino e con Lino Banfi.

E il calcio dal punto di vista dei tifosi, tipo l’istant movie Quel ragazzo della curva B (1987) di Romano Scandariato e con Nino D’Angelo; o l’episodico Eccezzziunale… veramente (1982) di Carlo Vanzina e con Diego Abatantuono nelle vesti di tre tifosi (interista, milanista, juventino).

Dunque una proficua relazione quella tra cinema e calcio. Eppure fino ad oggi non c’è mai stata una pellicola che abbia saputo rendere sullo schermo quel mondo. Sebbene una partita di calcio sia movimento, azione ed emozione, trasporre una partita sullo schermo è difficile, se non impossibile.

Al momento l’unica pellicola che, con piglio serio, ha cercato di rappresentare quel mondo, è stata Ultimo minuto (1987) di Pupi Avati. È un film su una squadra fittizia di provincia, di cui ci vengono raccontati tutti i retroscena (tecnici, economici e morali) che possono ruotare intorno al calcio. Non è uno sport pulito, ma da questo “marciume” c’è ancora chi ama il calcio puro, e non è stato ancora corrotto.

Giuseppe Sansonna e il calcio

Giuseppe Sansonna è un regista che ha flirtato con il calcio, e a lui si devono due documentari su Zdeněk Zeman, l’allenatore boemo croce e delizia dei tifosi. Il suo gioco offensivo era uno spettacolo, ma al contempo dannoso per le reti che si subivano. Da una partita la squadra allenata poteva uscire vittoriosa con una caterva di gol, oppure perdente per una caterva di gol subiti.

Zeman non è mai stato un allineato. È stato un allenatore dal carattere “burbero” (uomo di poche parole, perenne sigaretta tra le labbra e allenamenti sfiancanti), e la sua figura già poco amata negli ambienti del calcio lo è diventata ancor meno quando ha accusato (1998) la società della Juventus di abuso di doping.

Ma i due documentari sull’allenatore boemo non trattano questo, e si concentrano sulla sua esperienza a Foggia. La squadra pugliese fu il suo trampolino di lancio, con una storica promozione in Seria A nel campionato 1990-91. Quel Foggia, composto prevalentemente da giovani, fu forgiato da lui. E quel suo modo di concepire il calcio (gioco offensivo e spazio ai giovani) lo attuò anche nelle successive squadre allenate: Lazio e Roma.

Zemanlandia (2009) è una rievocazioni di quelle formidabili stagioni a Foggia tra il 1990 e il 1994, con la squadra pugliese che ottiene la storica promozione e nel 1994 sfiora l’accesso alla Coppa Uefa. Nel documentario, oltre al materiale d’archivio, ci sono anche gli interventi dei protagonisti di quel periodo: il Presidente Pasquale Casillo, il bomber Giuseppe Signori, le promesse Luigi Di Biagio e Francesco Mancini.

Due o tre cose che so di lui (2013), dal titolo godardiano, è più legato al presente. Quel Foggia portentoso è ormai un lontano ricordo, e la squadra milita in C1. Zeman è stato richiamato per risollevare le sorti, e cercare di ripetere il miracolo di vent’anni prima. Zeman è rimasto lo stesso, ma il Foggia è cambiato. I problemi economici della società, un mondo calcistico già divenuto meno puro. Il documentario diviene, pertanto, il mesto ritratto di un uomo del passato che non collima con il presente.

I biopic calcistici

In questi ultimi anni si stanno imponendo i documentari incentrati su alcuni calciatori che sono dei veri e propri idoli del calcio. Icone riconosciute, prima ancora che dai tifosi, dalla storia agonistica del calcio.

Sono documentari che, sebbene realizzati con un gusto tendente al cinematografico, allo spettacolo, sostanzialmente sono “usa e getta”. Opere evento che sono programmate nei cinema per qualche giorno (tipo una partita), e poi passano direttamente sulle piattaforme.

In questo “genere”, per fare qualche esempio, ci sono Messi – Storia di un campione (Messi, 2014) di Álex De la Iglesia; Cristiano Ronaldo – Il mondo ai suoi piedi (2014) di Tara Pirnia; Diego Maradona (2019) di Asif Kapadia; Mi chiamo Francesco Totti (2020) di Alex Infascelli; Zlatan (2021) di Jens Sjögren.

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