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Grotowski: l’utopia del teatro

“In occasione del decennale della scomparsa di Jerzy Grotowski, Marina Fabbri ha curato, in collaborazione con il Nuovo Cinema Aquila e con l’Istituto polacco di Roma, una esaudiente rassegna di buona parte di quello che oggi è (raramente) visibile in pellicola e in video riguardo l’eccezionale percorso umano e artistico del celebre regista teatrale”.

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In occasione del decennale della scomparsa di Jerzy Grotowski, Marina Fabbri ha curato, in collaborazione con il Nuovo Cinema Aquila e con l’Istituto polacco di Roma, una esaudiente rassegna di buona parte di quello che oggi è (raramente) visibile in pellicola e in video riguardo l’eccezionale percorso umano e artistico del celebre regista teatrale, rinnovando l’impresa impossibile – per citare la stessa Fabbri – di <<ermare nella memoria la storia a suo modo inafferrabile del Teatro Laboratorio e di Grotowski, chiedendo aiuto al mezzo cinematografico e al video, così lontano e talvolta vissuto come nemico dal regista polacco>>.

Offrendoci un excursus lungo quattro decenni che, dagli esordi d’inizio anni ’60 a Opole (Caino, Lettera da Opole, La prova) e passando dalle registrazioni dei suoi radicali spettacoli (Il principe costante, Akropolis, Apocalypsis con figuris con regia di Ermanno Olmi) e soprattutto dei cruciali momenti della pratica pre-spettacolare del training – per Grotowsi il “vero” momento d’avvicinamento allo studio dell’interiorità – (Laboratorium Grotowskiego; Training at the “Teatr Laboratorium” in Wroclaw), ci ha condotto fino a conoscere meglio, attraverso eterogenei documentari-intervista, lo stesso personaggio Grotowski (Grotowski ou…est-il Polonais? Di Jean-Marie Drot; Un’ora con Jerzy Growoski, a cura di Mario Raimondo; Jerzy Grotowski – prova di ritratto, con regia di Maria Zmarz-Koczanowicz), l’iniziativa ha trovato una esemplare conclusione con l’intervento nell’ultima giornata di Carla Pollastrelli, traduttrice italiana dei testi del regista polacco e sua collaboratrice nel Workcenter creato da Grotowski stesso a Pontedera negli anni ’80 e tuttora in vita grazie ai suoi “eredi”.

L’ultima intervista al regista ormai malato e incanutito, datata 1992 e curata da Marianne Ahrne per il Dipartimento Scuola Educazione della Rai, ha fatto da consuntivo di tutto un percorso artistico e spirituale, quello di chi ha trovato il teatro cercando altro – ovvero una via per interessarsi all’Io e agli altri – e, una volta presa la sua scelta, ha cominciato a spogliare la finzione della pratica spettacolare attraverso un’eliminazione progressiva di elementi, squalificando dai suoi lavori prima la musica, poi il decor e infine anche la storia, conservando in scena solo dei corpi dotati di voce e la cui gestualità veniva esaltata proprio da quell’essere privati di tutto il resto (incrociando, su tale metodo della sottrazione, il cinema di Bresson e poi di Straub-Huillet, l’arte povera e la musica di Cage).

Come fuori programma è stato proiettato un filmato in 16mm che Mercedes Gregory, filmaker sempre interessata al teatro sperimentale, girò nel 1989 registrando eccezionalmente le prove di una “Azione” non riservata allo spettacolo per un qualsivoglia pubblico, ma all’ “arte come veicolo a connessione verticale”, ultima fase della ricerca laboratoriale, in cui Mario Biagini e Thomas Richards, i più diretti collaboratori dell’ultimo Grotowski, sono colti, nella fissità della macchina da presa, a indagare attraverso il proprio corpo le possibilità del guardarsi dentro, non raccontando una storia né affidandosi all’improvvisazione, ma officiando qualcosa di fortemente strutturato, a metà tra rito sacro e un logorante, estatico dispendio di energie.

Il legame con il sacro, avvicinato a volte con necessaria blasfemia (<<‘unico modo per ritrovare qualcosa di vivo>>) d’altronde è sempre stato centrale nel teatro grotowskiano, nella religiosità a volte efferata del lavoro su sé stessi, nel rigore misto a vitalismo sfrenato, nella disciplina obbligata e rischiosissima che segna la vita di chi sceglie d’andare alla ricerca della verità.


Salvatore Insana


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