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Rubriche

Erwin Olaf: la trasgressione patinata

Re-visioni di percorsi sotterranei e sperimentali. Rubrica a cura di Salvatore Insana

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La beatitudine domestica e la felicità coniugale scricchiolano sinistramente. Sofisticazione del costume e sobria provocazione si mescolano ad un’accattivante estetica da advertising dal lusso più gelidamente erotizzante. I film di Erwin Olaf, fotografo olandese pluripremiato (anche ai Lions di Cannes), autore di campagne pubblicitarie per Lavazza, Microsoft, Diesel, etc. e di progetti più espressamente autoriali, sono lavori di durata mai eccedente la manciata di minuti, calibrati per una fruizione intensa e concentrata. Ancora una volta e dichiaratamente, un urgente espediente per introdurre la dimensione/ossessione temporale oltre l’istante congelato di scatto, quegli scatti  in cui ama ritrarre dettagliatamente la seducente intimità dei soggetti scelti.

Olaf odia la realtà. Crede nella dispersione dello sguardo, viandante famelico ben oltre i limiti dell’immagine. Nel silenzioso insinuarsi di gangli non funzionanti laddove tutto sembra procedere idillicamente, in un’artefatta e leziosa pulizia di gesti e pose, tra modelli dal carattere di sculture semoventi piuttosto che tra attori scelti per le loro capacità espressive, i suoi lavori affondano nella dimensione privata, con una spiccata cura per la perfetta illuminazione, una ricerca scenografica e costumistica che ammicca a quel che oggi si suol chiamare vintage, e un gusto che per sua ammissione prende spunto da registi (diversissimi tra loro) come Lynch, Fellini, Pasolini, Almodovar.

In Separation (2003) lo scenario è tra il post-umamo e l’old 50’s. La famigliola ha la pelle interamente coperta da latex nero, la mdp si muove ad altezza terreno, uno sgocciolare di suoni cadenza l’attesa del pranzo. La carta da parati a fiori rende ancora più asettico e ansiogeno l’ambiente. Basta un frontman tv, anch’esso in latex, a calamitare l’attenzione “separata” di genitori e figli.

In Annoyed (2005) Olaf gioca con il tempo, facendo ricorso a tonalità e atmosfere care alla pittura di Hopper per ricreare un interno notturno in cui il malcapitato dormiente viene più volte svegliato dal fracasso sonoro proveniente dal piano di sopra. Nel ripetersi reiterato dei gesti – dal fastidioso dibattersi nel letto al tentativo di azzittire i disturbatori – la visione e la percezione per ripetizione e differenza dell’identico rimandano alla ciclicità perturbante e rischiosamente noiosa del nostro agire.

Nei due corti paralleli Dawn/Dusk (2009) sono più evidenti che altrove le cifre stilistiche peculiari dell’artista olandese: un forte ricorso al contrasto cromatico, quasi uno spiccato manicheismo; un simbolismo forte di azioni, oggetti; la scansione ritmicamente regolare del tempo; uno scarno uso della lingua parlata, la ricorrenza misteriosa e topica degli stessi elementi.

Carrelli lenti e sinuosi, e un uso strategico del rallenty così come di un suono rarefatto e dolciastro costruiscono quella trepidante attesa dell’evento/avvento che ironicamente Olaf dissimula nella maggior parte dei casi. Ci fa vedere qualcosa, privilegiando i primi piani e lavorando per occultamento dei corpi, accennando alle dinamiche che potrebbero coinvolgere le maschere-persone. Poi se ne sbarazza, tranciando bruscamente la visione.

Summa di questa perversione (eversione) dei canonici meccanismi thriller è Rain (2004). Il pollo è pronto la domestica lo porta verso la tavola. I convitati incrociano i loro sguardi. Piove.

 

Salvatore Insana

 

le dernier cri from Dennis Braunsdorf on Vimeo.

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