Su MUBI è disponibile il film di maggior successo di Leontine Sagan, Ragazze in uniforme (Mädchen in Uniform), girato nel 1931 con la supervisione di Carl Froelich e tratto da un testo teatrale di Christa Winsloe. Un dramma dal cast di sole donne, girato a basso budget in Germania e idolatrato in tutta Europa. Ma per la sua espressione di una passione saffica e la sofisticata denuncia alle coercizioni del potere teutonico incontrerà rimostranze e sarà osteggiato e boicottato dai nazisti fino al rogo dei negativi.
Una ricezione controcorrente
Sopravvissuto a innumerevoli censure (persino negli Stati Uniti, dove però fu riabilitato da Eleanor Roosevelt), Ragazze in uniforme sostenne l’identità omosessuale, influenzò mode e rituali sociali, dettò una spinta all’emancipazione di genere. Fu poi accolto come un sempiterno cult nei circuiti festivalieri, fino a plasmare un’altra pellicola amatissima come L’attimo fuggente di Peter Weir.
Sospeso in un impalpabile alone onirico e romantico, in bilico tra l’espressionismo di C. T. Dreyer e il magnetismo divistico negli anni della nuova stella Marlene Dietrich, è un film di vitalità femminista ante litteram, un’audace rivendicazione dell’amore lesbico (tra i primi sullo schermo), una galleria di collegiali ben caratterizzate tra cui, in vetta, la giovane protagonista Hertha Thiele.
Sinossi
A Potsdam (Prussia) nei primi anni Trenta un rinomato collegio per fanciulle accoglie l’ultima arrivata, la mesta e dolce Manuela, da poco orfana di madre, affidata alle cure di una zia. Nell’istituto sperimenta, come tutte le compagne, la solitudine, la rigidità disciplinare ferrea, l’intransigenza dogmatica della direttrice, la mancanza di empatia delle adulte.
Si discosta per disposizione all’ascolto e concessioni di gentilezza solo una delle insegnanti, la signorina von Bernburg, di cui Manuela si innamora. La ragazza, rivelando in un momento di allegra ubriachezza la casta complicità con l’insegnante, metterà a repentaglio se stessa in uno scandalo istituzionale, fino a una svolta tragica.
Lo spazio filmico del rigore e della trasgressione
Ragazze in uniforme è prima di tutto un film di rarefatte atmosfere di eros sussurrato e amore vagheggiato, dove il non detto flirta con le sfumature dell’impercettibile. Leontine Sagan con acume psicologico scolpisce un ambiente che si innalza a personaggio facendo trasudare fantasticherie e pulsioni che sgorgano inevitabilmente in opposizione alle gerarchie del potere e al livore spirituale di un’epoca sul precipizio dei totalitarismi. Non casualmente l’anno precedente, infatti, aveva trionfato L’angelo azzurro di Josef von Sternberg, con un’analoga trasposizione tetra dell’ambiente scolastico.
Le linee compositive delle inquadrature, tutte incentrate sulla verticalità e quindi sulla supremazia virile, si coalizzano con l’imponenza e la nitidezza neoclassica degli edifici, in un connubio di granitica compattezza e appiattimento dell’umano che la regista imprime fin dai piani di ambientazione in apertura.
È il pagliaio di marmo su cui verrà appiccata la miccia di una passione delicata e struggente, ma sono anche le ceneri di un impero da pochi decenni defunto, la sineddoche di uno Stato nell’orbita tedesca con nuove smanie imperialistiche e serpeggianti morbi antidemocratici. Lì allora si insinua con freschezza liberatoria la reazione anticonformista delle collegiali, la solidarietà per una pari punita ed emarginata da sistema intrinsecamente patriarcale, la disobbedienza nell’appropriazione di un sentimento.
Creature di trascendenza e sensualità
Leontine Sagan distilla l’aria della ribellione nei primi piani soffusi e contemplativi da cui traspare la malinconia della consapevolezza e l’utopia del sognare, nel gioco col fuori campo, nelle concessioni allucinate alla fantasia e all’impossibile (il bacio tra Manuela e l’insegnante), nella sinergia di sguardi e movenze leggiadre e infantili delle giovani interpreti, nelle suggestioni chiaroscurali espressioniste, in uno scontro tra luce e oscurità.
C’è una certa forza dell’iconicità in Ragazze in uniforme, senza che la pellicola resti prigioniera dell’artificio figurativo o raggelata da una regia troppo ambiziosa. Con apparente naturalezza la macchina da presa di Leontine Sagan (che – ricordiamo – fuggì dalla Germania in Inghilterra all’avvento di Hitler) sa costruire scene madri e momenti di grande cinema incastonati con continuità nell’economia del racconto, nella grazia composita della genuinità fanciullesca, dell’euforia più allegramente selvaggia, nel grido di rivolta sulle ali della sorellanza.
Attimi non fuggenti di grande cinema
Così, i primi piani ieratici e quasi astratti, intrisi di fulgore divistico, di Hertha Thiele (che anteporrà i suoi ideali democratici a offerte di lavoro dallo stesso Goebbels, fino a rifugiarsi in Svizzera) gareggiano per intensità con quelli della Giovanna d’Arco di Dreyer e rappresentano uno dei più scolpiti ritratti poetici della tristezza che si siano mai visti al cinema.
Mentre la scena cameratesca di giochi e buffoneria tra le collegiali è l’apice della deflagrazione contro il bieco autoritarismo, l’invasione liberatoria del dionisiaco più candido, l’irregolarità naturale nell’ordine delle cose, a cui – ci piace pensare – potrebbe essersi ispirato Jean Vigo per una scena quasi onirica di allegra ribellione di Zero in condotta (1933).
Non per ultima di importanza, si staglia il finale di commovente presa emotiva, dove la percezione della tragedia pare sconfinare in un misterioso e ineffabile senso del trascendentale (di cui forse si ricorderà Robert Bresson con la sua personale scrittura filmica in Mouchette). Concorre qui una fruizione inedita della verticalità dello spazio – quella degli scaloni – di cui si appropriano le ragazze con un metaforico spodestamento dell’autoritario appannaggio maschile.
L’eredità artistica ai posteri
Tra scene topiche, ammirevoli soluzioni visive, adesione partecipe alla materia narrata, Ragazze in uniforme, nella sua soavità e nel suo malinconico chiarore ultraterreno, vive nel miracoloso equilibrio di prodotto insieme sia eversivo, come audace precursore del cinema di genere, sia generatore di un immaginario duraturo (persino con un remake del 1958 con Romy Schneider). Alla prima visione del film, infatti, impossibile non pensare infatti all’influenza sistematica su un classico come L’attimo fuggente di Peter Weir e sui suoi figli minori, come Mona Lisa Smile di Mike Newell.
Sicuramente non si sarà dimenticato di questo film collegiale del 1931 ancora Peter Weir per l’alone di mistero e ancestrale sensualità in Picnic ad Hanging Rock (1975). Quest’ultimo, insieme a Ragazze in uniforme, prende parte di una rassegna di MUBI (“La ribellione delle brave ragazze”) con altre due opere a cui Leontine Sagan ha donato il suo lascito artistico: Olivia (1951) di Jacqueline Audry e The Falling (2014) di Carol Morley, con Florence Pugh. Tutti da riscoprire.